STORIA DI SINDBAD IL MARINAIO.

Sotto il regno del califfo Harun-al-Rashid, viveva a Bagdad un povero facchino di nome Hindbad. Un giorno di gran caldo, mentre trasportava un pesantissimo carico da una parte all'altra della città, si sentì molto stanco per la strada già percorsa. Poiché gliene restava da fare ancora molta, arrivato in una via dove soffiava un dolce venticello e il cui acciottolato era bagnato di acqua di rose, non potendo desiderare un vento più favorevole per riposarsi a riprender nuove forze, posò il suo carico in terra e vi si sedette sopra, vicino a una grande casa. Presto si rallegrò di essersi fermato in quel posto: infatti, il suo odorato fu piacevolmente colpito da uno squisito profumo di legno di aloe e di altri aromi, che usciva dalle finestre di quel palazzo e che, mescolandosi all'odore dell'acqua di rose, contribuiva a profumare l'aria. A parte questo, sentì venire dall'interno un concerto di diversi strumenti accompagnati dall'armonioso cinguettio di un gran numero di usignoli e di altri uccelli tipici del clima di Bagdad. Questa graziosa melodia e l'odore che emanava il fumo di molte qualità di carni gli fecero giudicare che vi si stesse svolgendo un festino e che ci si divertisse. Volle sapere chi abitava in quella casa che non conosceva bene, non avendo avuto modo di passare spesso per la via. Per soddisfare la sua curiosità, si avvicinò ad alcuni domestici, magnificamente vestiti, che stavano sulla porta e a uno di loro chiese chi fosse il padrone del palazzo. - Eh! come! - gli rispose il domestico, - abitate a Bagdad e ignorate che questa è la casa del signor Sindbad il marinaio, di quel famoso viaggiatore che ha percorso tutti i mari su cui splende il sole? Il facchino, che aveva sentito parlare delle ricchezze di Sindbad, non poté fare a meno di invidiare un uomo la cui condizione gli sembrava tanto felice quanto trovava deplorevole la sua. Con l'animo inasprito dai suoi pensieri, alzò gli occhi al cielo, e disse a voce abbastanza alta da essere udito: - Potente creatore di tutte le cose, considerate la differenza che esiste tra Sindbad e me; io sopporto tutti i giorni mille fatiche e mille pene, e devo affannarmi per nutrire me e la mia famiglia con del cattivo pane d'orzo; mentre il fortunato Sindbad spende a profusione immense ricchezze e conduce una vita piena di delizie. Che cosa ha fatto per ottenere da voi un destino così felice? Dette queste parole, batté il piede a terra, come un uomo interamente posseduto dal suo dolore e dalla sua disperazione. Era ancora in preda ai suoi tristi pensieri, quando vide uscire dal palazzo un servo che gli si avvicinò e che, prendendolo per un braccio, gli disse: - Venite, seguitemi; il signor Sindbad, mio padrone, vuole parlarvi. Hindbad fu non poco stupito della cortesia che gli riservavano. Dopo il discorso che aveva fatto, aveva ragione di temere che Sindbad lo mandasse a chiamare per fargli una cattiva accoglienza; perciò cercò di scusarsi, dicendo che non poteva abbandonare il suo carico in mezzo alla strada. Ma il servo di Sindbad gli assicurò che ne avrebbero avuto cura, e lo incitò tanto a eseguire l'ordine ricevuto, che il facchino fu costretto a cedere alle sue insistenze. Il servo lo introdusse in un salone, dove c'erano molte persone riunite intorno a una tavola imbandita con ogni specie di cibi delicati. Al posto d'onore, si vedeva un personaggio serio, di bell'aspetto e venerando per una lunga barba bianca; dietro di lui, c'era in piedi una folla di ufficiali e di domestici molto premurosi nel servirlo. Questo personaggio era Sindbad. Il facchino, ancora più turbato vedendo tante persone e un banchetto così sontuoso, salutò tremante la compagnia. Sindbad gli disse di avvicinarsi e, dopo averlo fatto sedere alla sua destra, gli servì lui stesso da mangiare, e gli fece dare da bere un eccellente vino di cui la dispensa era abbondantemente fornita. Verso la fine del pranzo, Sindbad, notando che i suoi convitati non mangiavano più, prese la parola e, rivolgendosi a Hindbad da fratello, secondo il costume degli Arabi quando si parlano familiarmente, gli chiese come si chiamava e quale era la sua professione. - Signore, - rispose quello, - mi chiamo Hindbad. - Sono molto contento di vedervi, - riprese Sindbad, - e vi assicuro che anche la compagnia vi vede con piacere; ma desidererei sapere da voi stesso quello che poco fa dicevate in strada. Sindbad, prima di mettersi a tavola, aveva sentito tutto il suo discorso dalla finestra; proprio questa ragione l'aveva spinto a farlo chiamare. A questa domanda, Hindbad, pieno di confusione, abbassò la testa e rispose: - Signore, vi confesso che la mia stanchezza mi aveva messo di cattivo umore, e mi è sfuggita qualche parola indiscreta che vi supplico di perdonarmi. - Oh! non crediate, - riprese Sindbad, - che io sia tanto ingiusto da portarne rancore. Mi immedesimo con la vostra situazione e, invece di rimproverarvi per le vostre critiche, vi compiango. Ma devo togliervi da un errore in cui mi sembrate caduto nei miei confronti. Voi vi immaginate senza dubbio che io abbia ottenuto senza pena e senza fatica tutte le comodità e il riposo di cui vedete che io godo: disingannatevi. Sono arrivato a uno stato così felice solo dopo aver sopportato per parecchi anni tutte le pene del corpo e dello spirito che l'immaginazione può concepire. Sì, signori, - aggiunse rivolgendosi a tutta la compagnia, - posso assicurarvi che queste fatiche sono così straordinarie da essere capaci di togliere agli uomini più avidi di ricchezze il fatale desiderio di attraversare i mari per conquistarle. Forse avete sentito parlare solo confusamente delle mie singolari avventure, e dei pericoli che ho corso sul mare durante i miei sette viaggi; e, poiché se ne presenta l'occasione, ve ne farò un fedele racconto: credo che non vi dispiacerà ascoltarlo. Poiché Sindbad voleva raccontare la sua storia soprattutto a causa del facchino, prima di cominciarla ordinò di far portare nel posto indicato da Hindbad il carico che aveva lasciato in strada. Fatto ciò, parlò in questi termini.