STORIA DI COGIA HASSAN ALHABBAL.

Principe dei credenti, - disse Cogia Hassan al califfo Harun-al- Rashid, - per far capire meglio a Vostra Maestà per quali strade sono arrivato alla grande fortuna di cui godo, devo prima di tutto cominciare a parlarvi di due intimi amici, cittadini di questa stessa città di Bagdad, che vivono ancora e possono confermare la verità di ciò che dico: devo a loro la mia fortuna, dopo che a Dio, primo autore di ogni bene e di ogni felicità. Questi due amici si chiamano uno Saadi e l'altro Saad. Saadi, che è straordinariamente ricco, ha sempre pensato che un uomo non può essere felice in questo mondo se non possiede beni e grandi ricchezze, per vivere senza dipendere da nessuno. Saad la pensa diversamente: egli ammette, è vero, che bisogna possedere le ricchezze necessarie per vivere; ma sostiene che la virtù deve costituire la felicità degli uomini, senza altro attaccamento ai beni del mondo se non per le loro necessità e per farne della beneficenza, secondo le loro possibilità. Saad fa parte di questi ultimi e vive molto felice e contento del suo stato. Sebbene Saadi sia, per così dire, infinitamente più ricco di lui, tuttavia la loro amicizia è molto sincera, e il più ricco non si considera migliore dell'altro. Sono sempre andati d'accordo su tutto a eccezione di questo solo punto; in tutte le altre cose, la loro unione è sempre stata perfetta. Un giorno, durante una loro conversazione all'incirca sullo stesso argomento, come ho saputo da loro stessi, Saadi sosteneva che i poveri erano poveri solo perché nati nella povertà, o che, nati nella ricchezza, l'avevano perduta o per dissolutezza o per qualcuna di quelle finalità impreviste che non sono un'eccezione. - Io penso, - diceva, - che i poveri sono tali solo perché non riescono ad accumulare una somma di denaro sufficiente per uscire dalla miseria dandosi da fare per farla fruttare; e sono del parere che, se riuscissero ad accumularla e facessero buon uso di questa somma, non solo raggiungerebbero la ricchezza, ma con il tempo, anche una grande opulenza. - Saad non fu d'accordo con quanto affermava Saadi. - Il mezzo che voi proponete, - replicò, - per far sì che un povero diventi ricco, non mi sembra tanto sicuro come credete voi. Quello che ne pensate è molto dubbio e potrei convalidare la mia opinione contro la vostra con parecchi buoni argomenti che mi porterebbero troppo lontano. Credo almeno, con uguale probabilità, che un povero possa diventare ricco anche senza possedere una somma di denaro, ma con un mezzo di tutt'altro tipo: spesso si raggiunge una fortuna più grande e più stupefacente per mezzo del caso, che non, come dite voi, per mezzo di una somma di denaro, nonostante l'oculatezza e l'economia impiegate per farla moltiplicare con un commercio ben amministrato. - Saad, - replicò Saadi, - mi rendo conto che non otterrei nulla insistendo a sostenere la mia opinione contro la vostra; voglio fare un esperimento per convincervene; e, per esempio, voglio dare in dono una somma come dico io a uno di quegli artigiani, poveri di padre in figlio, che ora vivono alla giornata, e che muoiono miserabili come sono nati. Se non ci riesco, vedremo se riuscirete meglio alla vostra maniera. Pochi giorni dopo questa discussione, mentre i due amici passeggiavano, passarono per caso nel quartiere dove io esercitavo il mio mestiere di cordaio, che avevo imparato da mio padre e che egli aveva imparato a sua volta da mio nonno, e quest'ultimo dai nostri antenati. Vedendo la mia attrezzatura e il mio abbigliamento, non ebbero difficoltà a capire la mia povertà. Saad, ricordandosi l'impegno preso da Saadi, gli disse: - Se non avete dimenticato ciò che vi siete impegnato con me di fare, quello è un uomo, - aggiunse indicandomi, - che vedo esercitare il mestiere di cordaio da molto tempo, e sempre nello stesso stato di povertà. E' una persona degna della vostra liberalità, e molto adatta all'esperimento di cui parlavate l'altro giorno. - Me ne ricordo tanto bene, - replicò Saadi - che ho con me il necessario per fare l'esperimento di cui parlate e aspettavo solo l'occasione di trovarci insieme e che voi ne foste testimone. Avviciniamoci a lui e informiamoci se ne ha veramente bisogno. I due amici mi si avvicinarono; e, vedendo che volevano parlarmi, interruppi il mio lavoro. Tutti e due mi rivolsero il consueto saluto augurandomi la pace; e Saadi, cominciando a parlare, mi chiese come mi chiamassi. Io rivolsi loro lo stesso saluto; e, per rispondere alla domanda di Saadi, gli dissi: - Signore, mi chiamo Hassan; e, a causa del mio mestiere sono comunemente conosciuto con il nome di Hassan Alhabbal. - Hassan - replicò Saadi, - poiché non c'è mestiere che non riesca a nutrire chi lo pratica, sono sicuro che il vostro vi faccia guadagnare di che vivere agiatamente, e mi stupisco che, da quando l'esercitate, non abbiate fatto qualche risparmio e non abbiate comprato una buona riserva di canapa per poter fare più lavoro, sia voi stesso sia gli uomini che avreste preso per aiutarvi e per vivere poco a poco più agiatamente. - Signore, - gli replicai, - non vi stupirete più che io non faccia dei risparmi e non segua la via di cui parlate per diventare ricco, quando saprete che, con tutto il lavoro che posso fare dalla mattina alla sera, riesco a fatica a guadagnare di che nutrire me e la mia famiglia di pane e di un po' di verdura. Ho una moglie e cinque figli, nessuno dei quali è in età di aiutarmi minimamente, bisogna mantenerli e vestirli; e, in una famiglia, per piccola che sia, vi sono sempre mille cose necessarie di cui non si può fare a meno. Anche se la canapa non è cara, serve però del denaro per comprarne, e non appena vendo i miei lavori per prima cosa ne metto da parte; se non facessi così, non sarebbe possibile far fronte alle spese di casa. Giudicate, signore, - aggiunsi, - se mi è possibile fare dei risparmi per vivere più agiatamente, io e la mia famiglia. Ci basta accontentarci del poco che Dio ci concede, e che egli non ci faccia conoscere e desiderare quello che ci manca, ma noi crediamo che non ci manchi niente, quando abbiamo per vivere quello che siamo abituati ad avere, e non siamo costretti a chiederne a nessuno.- Quando ebbi finito di raccontare tutto questo a Saadi, egli mi disse: - Hassan, non sono più stupito come prima, e capisco tutte le ragioni che vi costringono ad accontentarvi del vostro stato. Ma, se io vi regalassi una borsa con duecento monete d'oro, ne sapreste fare buon uso e non credete che con questa somma potreste in poco tempo diventare almeno tanto ricco quanto i più importanti vostri colleghi? - Signore, - ripresi io, - mi sembrate un uomo così onesto, che sono sicuro che non vorreste farvi giuoco di me, e che la vostra offerta è seria. Oso dunque dirvi, senza sembrare troppo presuntuoso, che mi basterebbe una somma molto inferiore, non solo per diventare ricco come i miei colleghi più importanti, ma anche per diventare, in poco tempo, più ricco io solo di tutti gli altri cordai messi insieme di questa grande città di Bagdad, per grande e popolosa che sia. Il generoso Saadi mi dimostrò subito che mi aveva parlato seriamente. Si tirò fuori dal petto la borsa, e, mettendomela tra le mani, disse: - Prendete, ecco la borsa; ci troverete esattamente duecento monete d'oro. Prego Dio di darvi la sua benedizione e di concedervi la grazia di farne il buon uso che mi auguro; e siate sicuro che il mio amico Saad, qui presente, e io saremo felicissimi quando sapremo che esse vi saranno servite a diventare più felice di quanto lo siate ora. Principe dei credenti, dopo aver ricevuto la borsa ed essermela subito messa in petto, fui preso da un impeto di gioia tanto grande, e mi sentii tanto pieno di riconoscenza, che mi mancò la parola, e non mi fu possibile darne altro segno al mio benefattore se non quello di tendere la mano per prendergli l'orlo della veste e baciarla; ma egli la ritrasse allontanandosi e continuò per la sua strada insieme con il suo amico. Riprendendo il lavoro, quando si furono allontanati, il primo pensiero che mi venne in mente fu di cercare un posto dove mettere la borsa perché fosse al sicuro. Nella mia piccola e povera casa non avevo né una cassaforte, né un armadio che si chiudesse, né nessun posto dove potessi essere certo che non sarebbe stata scoperta se io ve l'avessi nascosta. Preso da questa perplessità, poiché avevo l'abitudine, come la povera gente della mia condizione, di nascondere il mio poco denaro fra le pieghe del turbante, lasciai il lavoro e rientrai a casa con il pretesto di risistemarlo. Presi così bene le mie precauzioni che, senza che mia moglie e i miei figli se ne accorgessero, tirai fuori dieci monete d'oro dalla borsa, mettendole da parte per le spese più urgenti, e avvolsi il resto nelle pieghe della tela che circondava la mia testa. La spesa principale che feci, quello stesso giorno, fu di comprare una buona provvista di canapa. Poi, dato che nella mia famiglia non si vedeva carne da molto tempo, andai alla macelleria a comprarne un po' per la cena. Mentre tornavo a casa tenendo la carne in mano, un nibbio affamato, senza che io potessi difendermene, vi piombò addosso e me l'avrebbe strappata, se non avessi lottato contro di lui. Ma, ahimè! avrei fatto molto meglio a lasciargliela per non perdere la mia borsa. Quanto più resistevo tanto più quello si intestardiva a volermela portare via. Mi trascinava da una parte e dall'altra, mentre si sosteneva in aria senza lasciare la presa; ma disgraziatamente capitò che, sforzandomi per resistergli, il mio turbante cadde a terra. Subito il nibbio lasciò la presa e si gettò sul turbante prima che io avessi il tempo di raccoglierlo, e lo portò via. Io lanciai delle grida così alte, che gli uomini, le donne e i bambini del vicinato si spaventarono e unirono le loro grida alle mie per cercare di far lasciare la presa al nibbio. Spesso si riesce, in questo modo, a costringere questa specie di uccelli voraci a lasciare quello che hanno preso, ma le grida non spaventarono il nibbio: egli portò il mio turbante tanto lontano, che tutti lo perdemmo di vista prima che lo avesse lasciato cadere. Perciò, sarebbe stato inutile affannarmi e affaticarmi a corrergli dietro per recuperarlo. Ritornai a casa molto triste per aver perduto il mio turbante e il mio denaro. Tuttavia bisognò comprarne un altro, il che fece diminuire ancora le dieci monete d'oro che avevo preso dalla borsa. Ne avevo già spese per comprare la canapa, e quello che mi restava non bastava ad attuare le belle speranze che avevo concepito. La cosa che mi diede maggior pena fu il pensare alla scarsa soddisfazione del mio benefattore, per aver così mal impiegato la sua liberalità, quando avrebbe saputo della disgrazia capitatami, che forse avrebbe considerato incredibile, e perciò solo una vana scusa. Finché durarono le poche monete d'oro che mi restavano, la mia piccola famiglia e io ne risentimmo gli effetti; ma presto ricaddi nello stesso stato e nella stessa impossibilità di tirarmi fuori della miseria in cui ero prima. Tuttavia non me ne lamentavo. - Dio, - dicevo, - ha voluto mettermi alla prova, concedendomi del denaro quando meno me lo aspettavo, me lo ha tolto quasi contemporaneamente, perché così gli è piaciuto e perché era suo. Che egli ne sia lodato, come lo avevo lodato fino ad ora per i benefici che aveva voluto concedermi! Mi sottometto alla sua volontà. Ero in preda a questi sentimenti, mentre mia moglie, alla quale non avevo potuto evitare di raccontare la perdita che avevo subito e da che parte mi era venuta, era inconsolabile. Turbato com'ero, avevo sbadatamente detto ai miei vicini che, perdendo il mio turbante perdevo una borsa con centonovanta monete d'oro. Ma, poiché essi conoscevano la mia povertà e non potevano capire come avessi fatto a guadagnare una somma tanto grande con il mio lavoro, essi ne risero soltanto e i bambini più di loro. Erano passati circa sei mesi da quando il nibbio mi aveva provocato la disgrazia che ho raccontato a Vostra Maestà, quando i due amici passarono poco lontano dal quartiere in cui abitavo. La vicinanza fece sì che Saad si ricordasse di me. Egli disse a Saadi: - Non siamo lontani dalla strada in cui abita Hassan Alhabbal passiamoci e vediamo se le duecento monete d'oro che gli avete dato hanno contribuito in qualche modo a metterlo in grado di raggiungere una condizione almeno migliore di quella in cui lo abbiamo visto. - Volentieri, - rispose Saadi: - da qualche giorno, - aggiunse,pensavo a lui, rallegrandomi molto della soddisfazione che avrei provato facendovi riscontrare la verità della mia affermazione. Vedrete un gran cambiamento in lui, e penso che faticheremo a riconoscerlo. I due amici avevano già cambiato percorso ed entrarono nella mia via mentre Saadi parlava ancora. Saad, che mi vide per primo da lontano, disse al suo amico: - Mi sembra che voi consideriate vinta la vostra causa troppo presto. Io vedo Hassan Alhabbal, ma non noto nessun cambiamento nella sua persona. E' malvestito come lo era quando gli abbiamo parlato insieme. Noto come sola differenza che il suo turbante è un po' meno sporco. Guardate voi stesso se mi inganno. Avvicinandosi, Saadi, che mi aveva visto anche lui, si accorse che Saad aveva ragione; e non sapeva spiegarsi il modesto cambiamento che notava nella mia persona. Ne fu anche tanto stupito da non essere lui a parlarmi quando mi ebbero avvicinato. Saad, dopo avermi rivolto il consueto saluto, mi disse: - Ebbene, Hassan, non vi chiediamo come va il vostro piccolo commercio da quando non vi abbiamo visto: avrà certamente preso un andamento migliore; le duecento monete d'oro devono avervi contribuito. - Signori, - risposi io rivolgendomi a entrambi, - sono molto mortificato di dovervi informare che i vostri voti e le vostre speranze, così come le mie, non hanno avuto il successo che dovevate aspettarvi e che io mi ero ripromesso. Faticherete a credere all'avventura straordinaria che mi è capitata. Tuttavia vi assicuro, da uomo d'onore e voi dovete credermi, che niente è più vero di ciò che ora vi dirò. Allora raccontai loro la mia avventura, con gli stessi particolari che ho avuto ora l'onore di esporre a Vostra Maestà. Saadi non credette assolutamente al mio discorso: - Hassan, - disse, - voi vi fate gioco di me e volete ingannarmi. Quello che mi dite è incredibile. I nibbi non prendono di mira i turbanti, essi cercano solo di saziare la loro avidità. Voi avete fatto come tutte le persone della vostra condizione hanno l'abitudine di fare. Se capita loro qualche guadagno straordinario o qualche fortuna inaspettata, essi abbandonano il loro lavoro, si divertono, banchettano, sono ospitalissimi finché dura il denaro; e quando hanno consumato tutto, si ritrovano nella stessa povertà e nello stesso bisogno di prima. Imputridite nella vostra miseria solo perché lo meritate e perché vi rendete voi stesso indegno del bene che vi fanno. - Signore, - risposi, - sopporto tutti questi rimproveri e sono pronto ad accettarne altri ben più atroci che potreste rivolgermi, ma li sopporto con tanta maggiore pazienza in quanto credo di non averne meritato nessuno. La cosa è così risaputa nel quartiere, che non c'è nessuno che non possa confermarvela. Informatevene voi stesso, e vedrete che non vi inganno. Ammetto di non aver mai sentito dire che dei nibbi avessero rubato i turbanti, ma la cosa è successa a me, come un'infinità di altre cose che non sono mai successe, e che tuttavia capitano ogni giorno. Saad prese le mie parti e raccontò a Saadi tante altre storie di nibbi, non meno sorprendenti, qualcuna delle quali non gli era ignota, tanto che alla fine egli tirò fuori la sua borsa dal petto. Mi contò duecento monete d'oro in mano, che man mano mi misi a mia volta in petto, non avendo una borsa. Quando Saadi ebbe finito di contarmi questa somma, mi disse: - Hassan, voglio donarvi altre duecento monete d'oro; ma state attento a metterle in un posto così sicuro, che non vi capiti di nuovo la sfortuna di perderle come avete perso le altre, e fate in modo che esse vi diano il beneficio che avrebbero dovuto darvi le prime. Gli dissi che la gratitudine che gli dovevo per questa seconda grazia era tanto più grande in quanto non la meritavo dopo quello che mi era capitato, e che non avrei tralasciato niente per trarre profitto dal suo buon consiglio. Volevo continuare, ma non me ne diede il tempo. Mi lasciò e riprese la sua passeggiata con l'amico. Quando furono andati via, non ripresi il lavoro, rientrai a casa dove mia moglie e i miei figli in quel momento non c'erano. Misi da parte dieci delle duecento monete d'oro e avvolsi le altre centonovanta in un fazzoletto, che annodai. Dovevo ora nascondere il fazzoletto in un posto sicuro. Dopo averci pensato a lungo, decisi di metterlo in fondo a un vaso di terra, pieno di crusca, che era in un angolo, dove pensavo che né mia moglie né i miei figli andassero a cercarlo. Mia moglie tornò poco dopo: e, poiché mi restava solo pochissima canapa, senza parlarle dei due amici, le dissi che andavo a comprarne. Uscii; ma mentre andavo a fare questa spesa, un venditore ambulante di sabbia detergente usata dalle donne al bagno, passò per la nostra via e fece sentire il suo richiamo. Mia moglie, che non aveva più sabbia, chiamò il venditore, e, non avendo denaro, gli chiese se voleva darle un po' della sua sabbia in cambio di crusca. Il venditore chiede di vedere la crusca; mia moglie gli mostra il vaso: il baratto si fa, si conclude. Lei riceve la sabbia detergente, e il venditore porta via il vaso con la crusca. Io tornai, carico di tutta la canapa che potevo portare, seguito da cinque facchini, carichi come me della stessa mercanzia. Misi tutta la canapa in un soppalco che avevo preparato nella mia casa, pagai i facchini per il loro lavoro e, quando furono andati via, rivolsi lo sguardo verso l'angolo in cui avevo lasciato il vaso di crusca, e non lo vidi più. Non posso esprimere a Vostra Maestà quale fu la mia meraviglia, né l'effetto che essa produsse su di me in quel momento. Chiesi precipitosamente a mia moglie che cosa fosse successo, e lei mi raccontò l'affare che aveva concluso, come se si fosse trattato di una cosa da cui avesse ricavato molto profitto. - Ah! sventurata, - esclamai, - voi ignorate il male che avete fatto a me, a voi stessa e ai vostri figli, facendo questo baratto che ci rovina irrimediabilmente! Avete creduto di vendere soltanto della crusca e con quella crusca, avete arricchito il vostro venditore di sabbia detergente, di centonovanta monete d'oro che Saadi, accompagnato dal suo amico, mi aveva appena donato per la seconda volta. Poco mancò che mia moglie non impazzisse quando seppe il grave sbaglio che aveva commesso per ignoranza. Si lamentò, si colpì il petto e si strappò i capelli: e, stracciandosi la veste che aveva indosso, esclamò: - Disgraziata che sono! Sono degna di vivere dopo un errore così crudele? Dove andrò a cercare quel venditore di sabbia? Non lo conosco, è passato per la nostra via soltanto questa volta, e forse non lo rivedrò mai più. Ah! marito mio, - aggiunse, - voi avete un gran torto, perché siete stato così riservato con me in una faccenda di tanta importanza? Questo non sarebbe successo se mi aveste informata del vostro segreto. Non finirei mai se dovessi riferire a Vostra Maestà tutto quello che il dolore le mise sulle labbra in quel momento. Voi non ignorate quanto siano eloquenti le donne nella loro afflizione. - Moglie mia, - le dissi, - calmatevi, non capite che con le vostre grida e i vostri pianti richiamerete i nostri vicini? Non c'è bisogno che essi sappiano le nostre disgrazie. Ben lungi dal prendere parte alla nostra sventura o di consolarci, essi si divertirebbero a farsi gioco della vostra semplicità e della mia. La miglior cosa da fare è di nascondere questa perdita, di sopportarla pazientemente, in modo che non se ne sappia nulla, e di sottometterci alla volontà di Dio. Benediciamolo, piuttosto, perché, delle duecento monete d'oro che ci aveva donato ne ha riprese soltanto centonovanta, e perché ce ne ha lasciate generosamente dieci che ho appena impiegato in modo tale da ottenere certamente un po' di sollievo. Per buone che fossero le mie ragioni, in un primo momento mia moglie ebbe molta difficoltà ad apprezzarle. Ma il tempo, che attenua i mali più grandi e che sembrano i meno sopportabili, fece sì che alla fine lei si arrendesse. - Noi viviamo poveramente, - le dicevo, - è vero; ma che hanno i ricchi che noi non abbiamo? Non respiriamo la stessa aria? Non godiamo della stessa luce e dello stesso calore del sole? Qualsiasi comodità essi abbiano più di noi potrebbe farci invidiare la loro fortuna, se essi non morissero come moriamo noi. Tutto sommato, con il timore di Dio che dobbiamo avere sopra ogni cosa, il privilegio che essi hanno più di noi è così poco considerevole, che non dobbiamo farci caso. Non annoierò oltre Vostra Maestà con le mie riflessioni morali. Mia moglie e io ci consolammo e continuai il mio lavoro, con l'animo sgombro come se non avessi patito delle perdite così mortificanti, a poca distanza l'una dall'altra. La sola cosa che mi rattristava, e questo capitava spesso, era il pensiero di come avrei potuto sostenere la presenza di Saadi, quando sarebbe venuto a chiedermi conto dell'uso che avevo fatto delle sue duecento monete d'oro e dell'aumento del mio capitale grazie alla sua liberalità; e non vi vedevo altro rimedio se non quello di rassegnarmi alla vergogna che ne avrei provato, anche se questa volta, come la prima, non ero minimamente colpevole della mia disgrazia. I due amici lasciarono passare più tempo dell'altra volta prima di venire a chiedere notizie della mia sorte. Saad ne aveva parlato spesso a Saadi, ma Saadi aveva sempre rimandato. - Quanto più rimandiamo, - diceva, - tanto più Hassan si sarà arricchito e tanto maggiore sarà la mia soddisfazione. Saad non la pensava le stesse cose sull'effetto della liberalità del suo amico. - Voi pensate dunque, - rispondeva, - che il vostro dono sia stato impiegato da Hassan meglio della prima volta? Vi consiglio di non lusingarvi troppo per non provare una mortificazione più acuta, se doveste accorgervi che è accaduto il contrario. - Ma, - replicava Saadi, - non succede ogni giorno che un nibbio rubi un turbante. Hassan ci è cascato una volta e ora avrà preso le sue precauzioni per non ricascarci una seconda. - Non ne dubito, - replicò Saad; - ma, - aggiunse, potrà essergli capitato un incidente di un altro genere che né voi né io possiamo immaginare. Ve lo dico ancora una volta: moderate la vostra gioia e smettetela di propendere per la fortuna di Hassan piuttosto che per la sua sfortuna. Per dirvi quello che ne penso io e quello che ne ho sempre pensato, per quanto poco grato possiate essermi per la mia convinzione, ho il presentimento che voi non siate riuscito, e che io riuscirò meglio di voi, a provare che un uomo povero può diventare ricco in altro modo che non con il denaro. Infine, un giorno in cui Saad si trovava in casa di Saadi, dopo una lunga discussione, quest'ultimo disse: - Questo è troppo: voglio sapere oggi stesso come stanno le cose. E' l'ora della passeggiata; non lasciamola passare e andiamo a vedere chi di noi due ha perso la scommessa. I due amici uscirono, e io li vidi arrivare da lontano. Ne fui molto turbato e fui sul punto di lasciare il lavoro e di andare a nascondermi per non incontrarmi con loro. Intento al mio lavoro, feci finta di non averli visti; e alzai gli occhi per guardarli solo quando furono vicinissimi a me, e, avendo sentito il saluto di pace che mi rivolgevano, non potei dispensarmene per cortesia; ma subito abbassai gli occhi; e, raccontando la mia ultima disgrazia con tutti i particolari, feci loro conoscere la ragione per la quale mi trovavano ancora così povero come la prima volta che mi avevano visto. Quando ebbi finito, aggiunsi: - Potreste dirmi che non dovevo nascondere le centonovanta monete d'oro in un vaso di crusca che quello stesso giorno doveva essere portato via dalla mia casa. Ma quel vaso era lì da molti anni, destinato a quell'uso e tutte le volte in cui mia moglie aveva venduto la crusca non appena il vaso era pieno, esso era sempre rimasto lì. Potevo indovinare che, proprio quel giorno, in mia assenza, un venditore ambulante di sabbia detergente sarebbe passato al momento giusto; che mia moglie si sarebbe trovata senza denaro e avrebbe fatto con lui questo baratto? Potreste dirmi che dovevo avvertire mia moglie, ma non crederò mai che delle persone così sagge, come sono convinto che voi siate, mi avrebbero dato questo consiglio. Quanto al fatto di non averle nascoste in un altro posto, che certezza potevo avere che vi sarebbero state più al sicuro? Signore, - dissi rivolgendomi a Saadi, - Dio non ha voluto che la vostra liberalità servisse ad arricchirmi, per uno di quegli imperscrutabili segreti che non dobbiamo approfondire. Egli mi vuole povero e non ricco. Vi sono egualmente grato come se la vostra liberalità avesse avuto tutto il suo effetto, secondo le vostre speranze. Tacqui; e Saadi, cominciando a parlare, mi disse: - Hassan, anche se volessi convincermi che tutto quanto ci avete detto è vero, come voi pretendete di farci credere, e non è invece una scusa per nascondere le vostre dissolutezze o la vostra cattiva amministrazione, come sarebbe possibile, mi guarderei bene tuttavia dal continuare e dall'ostinarmi a fare un'esperienza capace di rovinarmi. Non rimpiango le quattrocento monete d'oro di cui mi sono privato per cercare di tirarvi fuori della povertà; l'ho fatto per amore verso Dio, senza aspettarmi altra ricompensa da parte vostra se non il piacere di avervi fatto del bene. L'unica cosa capace di farmene pentire sarebbe quella di essermi rivolto a voi piuttosto che a un altro, che forse ne avrebbe approfittato meglio. - E, rivolgendosi al suo amico, continuò: - Saad, dal mio discorso potete capire che non vi do completamente causa vinta. Tuttavia potete fare l'esperimento di quello che da tanto tempo affermate contro la mia opinione. Fatemi vedere se vi sono altri mezzi, oltre al denaro, capaci di fare la fortuna di un uomo povero nel modo in cui l'intendo io e l'intendete voi, e scegliete come oggetto lo stesso Hassan. Qualunque cosa vogliate dargli, non posso convincermi che egli diventi più ricco di quanto non ha potuto fare con quattrocento monete d'oro. Saad aveva un pezzo di piombo in mano, e lo mostrò a Saadi. - Voi mi avete visto raccogliere ai miei piedi questo pezzo di piombo; - disse, ora lo darò a Hassan: vedrete che cosa gli frutterà. Saadi scoppiò in una risata, burlandosi di Saad. - Un pezzo di piombo! - esclamò. - Già! che cosa può fruttare a Hassan se non un soldo, e che farà con un soldo? Saad, dandomi il pezzo di piombo, mi disse: - Lasciate che Saadi rida, e prendetelo ugualmente. Un giorno ci darete notizie della fortuna che esso vi avrà procurato. Pensai che Saad non parlasse seriamente e che facesse così soltanto per divertirsi. Accettai lo stesso il pezzo di piombo e ringraziai; e, per accontentarlo, me lo misi in seno, tanto per disobbligarmi. I due amici mi lasciarono per continuare la loro passeggiata, e io ripresi il mio lavoro. La sera, mentre mi spogliavo per andare a letto, mi tolsi la cintura, e il pezzo di piombo che mi aveva dato Saad e al quale non avevo più pensato da allora, cadde a terra; lo raccolsi e lo misi nel primo posto che mi capitò. La stessa notte, capitò che un pescatore mio vicino, mentre aggiustava le sue reti, vide che vi mancava un pezzo di piombo; egli non ne aveva altri per sostituirlo, e non poteva mandarlo a comprare, poiché le botteghe erano chiuse. Tuttavia, se voleva procurarsi il necessario per vivere il giorno dopo, lui e la sua famiglia, doveva andare a pescare due ore prima dell'alba. Egli manifesta la sua contrarietà alla moglie, e la manda a chiedere nel vicinato un pezzo di piombo per sostituire quello mancante. La moglie ubbidisce al marito: va di porta in porta, dai due lati della strada, e non trova niente. Riferisce la risposta al marito che, nominandole parecchi vicini, le chiede se avesse bussato alle loro porte. Lei rispose di sì. - Ma scommetto, - aggiunse il marito, - che non siete stata da Hassan Alhabbal. - E' vero, - replicò la moglie, - non sono stata fin là perché è troppo lontano; e, quand'anche me ne fossi data la pena, credete che avrei trovato il piombo? Quando non si ha bisogno di niente, allora si deve andare proprio da lui: lo so per esperienza. - Non importa, - continuò il pescatore, - siete una pigra, voglio che ci andiate. Siete stata cento volte da lui senza trovare quello che cercavate; forse oggi ci troverete il piombo di cui ho bisogno: ancora una volta voglio che ci andiate. La moglie del pescatore uscì mormorando e brontolando e venne a bussare alla mia porta. Io stavo già dormendo da un po' di tempo; mi svegliai e chiesi che cosa volessero. - Hassan Alhabbal, - disse la donna, alzando la voce, - mio marito ha bisogno di un po' di piombo per aggiustare le sue reti, se per caso ne avete, egli vi prega di darglielo. Il ricordo del pezzo di piombo datomi da Saad era così fresco, soprattutto dopo quello che era successo mentre mi spogliavo, che non potevo averlo dimenticato. Risposi alla vicina di averlo e di aspettare un momento, ché mia moglie gliene avrebbe dato un pezzo. Mia moglie, che si era svegliata pure lei al rumore, si alza, cerca a tastoni il piombo nel posto che le avevo indicato, socchiude la porta e lo dà alla vicina. La moglie del pescatore, felice per non essere venuta inutilmente, dice a mia moglie: - Vicina, il piacere che fate a mio marito e a me, è tanto grande, che vi prometto tutto il pesce che mio marito pescherà con la prima retata; e vi assicuro che egli non mi sconfesserà. Il pescatore, felice di aver trovato, quando non lo sperava più, il piombo che gli mancava, approvò la promessa fattaci dalla moglie. - Vi sono molto grato, - disse, - di aver prevenuto in questo modo la mia intenzione. Egli finì di aggiustare le sue reti e andò a pescare due ore prima dell'alba, come era solito fare. Con la prima retata pescò un solo pesce ma lungo più di un braccio e grosso in proporzione. Le molte altre retate furono tutte fortunate; ma di tutto il pesce che prese, non ce n'era uno solo lontanamente paragonabile al primo. Quando il pescatore ebbe terminato la sua pesca, tornato a casa, il suo primo pensiero fu per me, e, mentre lavoravo, fui grandemente stupito di vederlo presentarsi davanti a me, portando il pesce. - Vicino, - mi disse, - mia moglie vi ha promesso questa notte il pesce che avrei preso con la prima retata, in riconoscenza del piacere che ci avete fatto, e io ho approvato la sua promessa. Dio mi ha mandato per voi soltanto questo pesce, che vi prego di gradire. Se egli mi avesse fatto riempire le reti, tutto il pesce sarebbe stato lo stesso vostro. Accettatelo, vi prego, quale è, come se fosse più considerevole. - Vicino, - risposi, - il pezzo di piombo che vi ho inviato è così poca cosa da non meritare che voi lo valutiate a un prezzo tanto alto. I vicini devono aiutarsi a vicenda nelle loro piccole necessità; non ho fatto per voi se non quello che potevo aspettarmi da voi in un'occasione simile. Perciò rifiuterei il vostro dono se non fossi convinto che me lo fate di buon cuore; penserei anche di offendervi se non facessi così. Lo accetto dunque, poiché lo volete, e vi faccio i miei ringraziamenti. Il nostro scambio di cortesie finì lì, e io portai il pesce a mia moglie. - Prendete, - le dissi, - questo pesce che il pescatore mio vicino mi ha portato in riconoscenza del pezzo di piombo che ci ha mandato a chiedere la scorsa notte. E', credo, tutto quello che possiamo sperare dal dono che Saad mi fece ieri, promettendomi che mi avrebbe portato fortuna. Allora le parlai del ritorno dei due amici e di ciò che c'era stato fra loro e me. Mia moglie fu imbarazzata vedendo un pesce così grande e così grosso. - Che volete che ne facciamo? - disse. - La nostra gratella è adatta solo per pesci piccoli, e non abbiamo teglie abbastanza grandi per lessarlo. - E' affare vostro, - le dissi, - preparatelo come volete; che sia arrostito o bollito, ne sarò contento lo stesso. - E dette queste parole tornai al mio lavoro. Mentre preparava il pesce mia moglie trovò nei suoi visceri un grosso diamante che, dopo averlo pulito, scambiò per vetro. Lei aveva sentito parlare di diamanti; e, se ne aveva visti o maneggiati, non li conosceva abbastanza per distinguerli. Lo diede al nostro figlio più piccolo affinché ci giocasse insieme con i fratelli e le sorelle, che volevano vederlo e toccarlo a loro volta, passandoselo l'un l'altro per ammirarne la bellezza, lo splendore e la luce. La sera, quando accendemmo la lampada, i nostri bambini, che continuarono il loro gioco, passandosi tra di loro il diamante per guardarlo, si accorsero che esso emanava luce ogni volta che mia moglie toglieva loro la luce della lampada, mentre andava e veniva per preparare la cena; e questo spingeva i bambini a strapparselo a vicenda per fare l'esperimento. Ma i piccoli piangevano quando i più grandi non lo lasciavano loro per tutto il tempo desiderato, e questi furono costretti a ridarglielo per calmarli. Poiché una piccolezza è capace di divertire i bambini e di causare bisticci fra di loro, e questo succede abitualmente, né mia moglie né io prestammo attenzione a ciò che provocava il chiasso e il baccano con cui ci stordivano. Finalmente smisero quando i più grandi si furono seduti a tavola per cenare con noi, e quando mia moglie ebbe dato a ognuno dei più piccoli la sua porzione. Dopo cena i bambini si riunirono e cominciarono lo stesso chiasso di prima. Allora volli conoscere la causa del loro bisticcio. Chiamai il maggiore e gli chiesi per quale motivo facessero tanto chiasso. Egli mi disse: - Papà, è un pezzo di vetro che emana luce quando lo guardiamo girando la schiena alla lampada. Me lo feci portare e feci la prova. Il fatto mi sembrò straordinario e mi spinse a chiedere a mia moglie che cosa fosse quel pezzo di vetro. - Non so, - mi rispose, - è un pezzo di vetro che ho trovato nella pancia del pesce mentre lo preparavo. Non immaginavo, non diversamente da lei, che si trattasse di qualcosa di diverso dal vetro; tuttavia spinsi oltre l'esperimento. Dissi a mia moglie di nascondere la lampada nel camino; lei lo fece, e io vidi che il preteso pezzo di vetro emanava una luce così intensa che per coricarci potevamo fare a meno della lampada. La feci spegnere e misi io stesso il pezzo di vetro sull'orlo del camino affinché ci facesse luce. - Questo, - dissi, - è un altro vantaggio che il pezzo di piombo datomi dall'amico Saadi ci procura, facendoci risparmiare la spesa dell'olio. Quando i miei figli videro che avevo fatto spegnere la lampada e che il pezzo di vetro la sostituiva, a questa meraviglia lanciarono grida di ammirazione tanto alte e tanto fragorose che si sentirono ben lontano nel vicinato. Mia moglie ed io, a furia di gridare per farli tacere, aumentammo il baccano e riuscimmo ad avere completamente la meglio su di loro quando furono a letto e si furono addormentati, dopo aver parlato a lungo, a modo loro, della luce meravigliosa del pezzo di vetro. Mia moglie ed io ci coricammo dopo di loro; e il giorno dopo, di buon mattino, senza più pensare al pezzo di vetro, andai a lavorare come al solito. Non ci si deve stupire che questo sia capitato a un uomo come me, abituato a vedere il vetro, e che non aveva mai visto diamanti; e, se li avevo visti, non avevo fatto attenzione a riconoscerne il valore. A questo punto, vorrei far notare a Vostra Maestà che la mia casa era divisa da quella del mio vicino soltanto da un sottilissimo tramezzo in legno e in muratura. Questa casa apparteneva a un ebreo molto ricco, gioielliere di professione; e la camera in cui dormivano lui e sua moglie si trovava dall'altro lato del tramezzo. Essi erano già a letto addormentati quando i miei figli avevano fatto tutto quel chiasso. Questo li aveva svegliati e avevano impiegato molto tempo per riaddormentarsi. Il giorno dopo, la moglie dell'ebreo venne a lamentarsi con mia moglie da parte di suo marito e sua, perché erano stati interrotti nel primo sonno. - Mia buona Rachele, - disse mia moglie alla moglie dell'ebreo che così si chiamava, - mi dispiace molto per quello che è successo, e vi chiedo scusa. Voi sapete come sono i bambini: un niente li fa ridere, come una piccolezza li fa piangere. Entrate, vi mostrerò l'oggetto che ha provocato le vostre lagnanze. L'ebrea entrò, e mia moglie prese il diamante, poiché insomma era tale e di grande singolarità. Esso era ancora sul camino; e mostrandoglielo, mia moglie disse: - Vedete: questo pezzo di vetro è la causa di tutto il chiasso che avete sentito ieri sera. Mentre l'ebrea, che conosceva ogni tipo di pietra preziosa, esaminava con ammirazione il diamante, mia moglie le raccontò di averlo trovato nella pancia del pesce e tutto quello che era successo. Quando mia moglie ebbe finito, l'ebrea, che conosceva il suo nome, le disse rimettendole il diamante tra le mani: - Aishach, credo come voi che sia solo vetro, ma è più bello del vetro ordinario; e poiché io ne ho un pezzo quasi uguale con cui mi orno qualche volta, e che s'intonerebbe benissimo a questo, se volete vendermelo, lo comprerei volentieri. I miei figli, sentendo parlare di vendere il loro passatempo, interruppero la conversazione protestando e pregando la madre di conservarlo per loro; ed lei fu costretta a prometterlo per calmarli. L'ebrea, costretta a rinunciare, uscì; e, prima di lasciare mia moglie, che l'aveva accompagnata alla porta, la pregò, parlando a voce bassa, di non far vedere a nessuno il pezzo di vetro prima di parlarne a lei, se si fosse decisa a venderlo. L'ebreo era andato alla sua bottega di buon mattino nel quartiere dei gioiellieri. La moglie andò da lui e gli annunciò la scoperta che aveva fatto; gli descrisse la grandezza, all'incirca il peso, la bellezza, la bell'acqua e lo splendore del diamante, e soprattutto la sua singolarità, che consisteva nell'emanare luce al buio, a quanto le aveva detto mia moglie, racconto tanto più credibile in quanto era ingenuo. L'ebreo congedò la moglie con l'ordine di trattare con la mia e di offrirle prima poco, quanto avrebbe giudicato opportuno, e di aumentare in proporzione alla difficoltà che avrebbe incontrato e infine di concludere l'affare a qualsiasi prezzo. L'ebrea, secondo l'ordine del marito, parlò in privato a mia moglie senza aspettare che lei si fosse decisa a vendere il diamante, e le chiese se ne volesse venti monete d'oro. Mia moglie giudicò la somma considerevole per un pezzo di vetro, come lei pensava che fosse. Tuttavia non volle rispondere né sì e né no. Disse soltanto all'ebrea che non poteva fare niente prima di avermene parlato. Intanto io avevo lasciato il mio lavoro, e, mentre rientravo in casa per pranzare, le trovai intente a parlare sulla porta. Mia moglie mi ferma e mi chiede se sono d'accordo a vendere all'ebrea nostra vicina per venti monete d'oro il pezzo di vetro che aveva trovato nella pancia del pesce. Io non risposi subito: pensai alla sicurezza con la quale Saad, nel darmi il pezzo di piombo, mi aveva promesso che avrebbe fatto la mia fortuna; e l'ebrea credette, poiché non rispondevo, che io disprezzassi la somma che mi aveva offerto. - Vicino, - mi disse, - ve ne darò cinquanta: siete contento? Vedendo che da venti monete d'oro l'ebrea saliva così rapidamente fino a cinquanta, tenni duro e le dissi che era ben lontana dal prezzo al quale volevo venderlo. - Vicino, - ribatté, - accettate cento monete d'oro: è molto. Non so neppure se mio marito mi approverà. A questo nuovo aumento, le dissi che volevo ricavarne centomila monete d'oro, che sapevo bene che il diamante valeva di più; ma che, per far piacere a lei e a suo marito, come nostri vicini, mi accontentavo di questa somma, che intendevo avere assolutamente e, che, se essi lo rifiutavano a quel prezzo, altri gioiellieri me ne avrebbero dato di più. L'ebrea stessa mi confermò nella mia risoluzione per la premura che dimostrò di concludere l'affare, offrendomi a più riprese fino a cinquantamila monete d'oro, che rifiutai. - Non posso offrirvi di più, - mi disse, - senza il consenso di mio marito. Egli tornerà stasera; vi chiedo la grazia di aver pazienza finché non vi avrà parlato e non avrà visto il diamante. Io glielo promisi. La sera, quando l'ebreo fu tornato a casa, seppe da sua moglie che lei non aveva ottenuto niente né con mia moglie né con me, seppe della sua offerta di cinquantamila monete d'oro e del favore che mi aveva chiesto. L'ebreo stette attento all'ora in cui lasciai il mio lavoro per rientrare a casa. - Vicino Hassan, - disse avvicinandosi, - vi prego di farmi vedere il diamante che vostra moglie ha mostrato alla mia. - Lo feci entrare e glielo mostrai. Poiché era molto buio e la lampada non era ancora accesa, si accorse subito, dalla luce e dal grande splendore che il diamante emanava dal palmo della mia mano, rischiarandola, che sua moglie gli aveva fatto un racconto fedele. Egli lo prese; e, dopo averlo esaminato a lungo continuando ad ammirarlo, disse: - Ebbene, vicino, mia moglie, a quanto mi ha detto, vi ha offerto cinquantamila monete d'oro; perché siate contento, ve ne offro ventimila in più. - Vicino, - replicai, - vostra moglie vi avrà detto che io ne ho chiesto centomila: o me le date, o il diamante resterà a me: non c'è via di mezzo. Egli mercanteggiò a lungo, con la speranza che glielo cedessi a qualcosa di meno; ma non riuscì a ottenere nulla; e il timore che io lo facessi vedere ad altri gioiellieri, come avrei fatto, lo indusse a non lasciarmi prima di concludere l'acquisto al prezzo da me richiesto. Egli mi disse di non avere le centomila monete d'oro a casa; ma che il giorno dopo mi avrebbe consegnato tutta la somma prima che fosse giunta la stessa ora; e lo stesso giorno me ne portò due borse, di mille monete ciascuna per concludere l'affare. Il giorno dopo, non so se l'ebreo avesse chiesto un prestito ai suoi amici o se si fosse associato con altri gioiellieri; comunque sia, egli riunì la somma di centomila monete d'oro e me le portò entro l'ora che aveva stabilito e io gli misi in mano il diamante. Conclusa così la vendita del diamante, e diventato infinitamente più ricco di quanto potessi sperare, ringraziai Dio della sua bontà e della sua liberalità, e sarei andato a gettarmi ai piedi di Saad per manifestargli la mia riconoscenza, se avessi saputo dove abitava. Avrei fatto lo stesso con Saadi, al quale dovevo prima che a ogni altro essere grato della mia fortuna, anche se lui non era riuscito nella sua buona intenzione verso di me. Poi pensai al buon uso che dovevo fare di una somma così notevole. Mia moglie, con l'animo già pieno della vanità propria del suo sesso, mi propose per prima cosa di comprare ricchi vestiti per sé e per i suoi figli, di acquistare una casa e di arredarla riccamente. - Moglie mia, - le dissi, - non dobbiamo cominciare proprio con spese del genere. Lasciate fare a me: quello che chiedete verrà con il tempo. Anche se il denaro è fatto soltanto per essere speso, tuttavia bisogna fare in modo che esso produca dei fondi dai quali poter attingere senza esaurirlo. Sto pensando proprio a questo e domani stesso comincerò a costituire questi fondi. Il giorno dopo, passai la giornata andando da diverse persone che facevano il mio mestiere, che non erano in migliori condizioni di quanto ero stato io fino a quel momento; e, dando loro una somma anticipata, li impegnai a produrre per me vari tipi di lavori di corderie, ognuno secondo la propria abilità e la propria possibilità, promettendo di non farli aspettare e di ricompensarli bene e puntualmente per la loro opera, man mano che mi avessero consegnato il lavoro. Il giorno dopo impegnai a lavorare per me anche gli altri cordai nelle stesse condizioni, e, da allora, tutti i cordai di Bagdad continuano questo lavoro molto soddisfatti della mia puntualità nel mantenere la parola che ho dato loro. Poiché questo gran numero di operai doveva produrre lavori in proporzione, presi in affitto dei depositi in diverse zone; e in ognuno misi un commesso, sia per ricevere il lavoro, sia per la vendita all'ingrosso e al minuto; e in breve con questa organizzazione mi procurai un guadagno e una rendita notevoli. Poi, per riunire in un unico posto tanti depositi sparsi, comprai una grande casa, che occupava una vasta area e che stava cadendo in rovina. La feci radere al suolo; e, al suo posto, feci costruire quella che Vostra Maestà ha visto ieri. Ma, per quanto sia di grande apparenza, essa è costituita soltanto da depositi, che mi sono necessari, e dagli alloggi di cui ho bisogno per me e per la mia famiglia. Avevo abbandonato la mia vecchia e piccola casa già da un po' di tempo per andare ad abitare nella nuova, quando Saadi e Saad, che fino a quel momento non avevano più pensato a me, se ne ricordarono. Decisero un giorno per la loro passeggiata; e, passando per la strada in cui mi avevano visto, furono molto stupiti di non vedermi intento al mio modesto lavoro di cordaio, come mi avevano già visto. Chiesero che ne fosse stato di me, se fossi vivo o morto. Il loro stupore aumentò quando ebbero saputo che quello del quale chiedevano notizie era diventato un grosso mercante e che non lo chiamavano più semplicemente Hassan, ma Cogia Hassan Alhabbal, cioè il mercante Hassan il cordaio, e che si era fatto costruire, in una strada che venne loro indicata, una casa che aveva l'apparenza di un palazzo. I due amici vennero a cercarmi in questa strada, e, lungo la via, poiché Saadi non poteva immaginare che il pezzo di piombo datomi da Saad fosse la causa di una così grande fortuna: - Sono assolutamente felice, - disse a Saad, - di aver fatto la fortuna di Hassan Alhabbal; ma non posso approvare che mi abbia mentito due volte per sottrarmi quattrocento monete d'oro invece di duecento; infatti non posso proprio attribuire la sua fortuna al pezzo di piombo che gli donaste; e nessun altro potrebbe attribuirgliela. - Voi la pensate così, - rispose Saad, - ma io no, e non vedo perché vogliate fare a Cogia Hassan l'ingiustizia di considerarlo un bugiardo. Mi permetterete di credere che egli ci ha detto la verità, che non ha pensato affatto a nascondercela e che l'unica causa della sua fortuna è il pezzo di piombo che gli diedi. Di questo Cogia Hassan ben presto darà chiarimenti a tutti e due. I due amici arrivarono nella strada dov'era la mia casa, facendo questi discorsi. Chiesero dove fosse e gliela indicarono, e, considerandone la facciata, essi faticarono a credere che fosse proprio quella. Bussarono alla porta e il mio portinaio aprì. Saadi, che aveva paura di commettere una scortesia scambiando la casa di qualche signore di riguardo per quella che cercava, disse al portinaio: - Ci hanno detto che questa casa appartiene a Cogia Hassan Alhabbal; diteci se non ci inganniamo. - No, signore, non vi ingannate, - rispose il portinaio aprendo di più la porta; - è proprio questa. Entrate; egli è nella sala, e tra gli schiavi ne troverete qualcuno che vi annuncerà. I due amici mi furono annunciati, e io li riconobbi. Appena li vidi, mi alzai dal mio posto, corsi loro incontro e cercai di prendere l'orlo delle loro vesti per baciarle. Essi me lo impedirono e, mio malgrado, dovetti acconsentire che mi abbracciassero. Li invitai ad accomodarsi su un grande divano, mostrandogliene uno più piccolo, per quattro persone, che si affacciava sul mio giardino. Li pregai di sedersi, e loro vollero che io mi mettessi al posto d'onore. - Signori, - dissi, - non ho dimenticato di essere il povero Hassan Alhabbal; e anche se fossi tutt'altra persona e non avessi con voi gli obblighi che ho, conosco quello che vi è dovuto: vi supplico di non mettermi ancora in imbarazzo. Essi presero il posto che era loro dovuto, e io presi il mio di fronte a loro. Allora Saadi, cominciando a parlare e rivolgendosi a me, disse: - Cogia Hassan, non riesco a esprimere la mia gioia vedendovi all'incirca nella condizione che mi auguravo quando vi regalai, senza farvene un rimprovero, le duecento monete d'oro, sia la prima sia la seconda volta, e sono convinto che le quattrocento monete d'oro hanno operato in voi il meraviglioso cambiamento della vostra fortuna, che vedo con piacere. Una sola cosa mi addolora, non capisco quale ragione abbiate avuto di nascondermi la verità due volte, facendomi credere di aver subito delle perdite per dei contrattempi che mi sembrarono e mi sembrano ancora incredibili. Forse, quando vi vedemmo l'ultima volta, vi vergognaste di ammettere che i vostri affari erano progrediti così poco sia con le prime sia con le seconde duecento monete d'oro? Voglio credere fin da ora che sia così e aspetto che mi confermiate nella mia opinione. Saad ascoltò il discorso di Saadi con grande impazienza, per non dire indignazione; e la manifestò tenendo gli occhi bassi e scuotendo la testa. Tuttavia lo lasciò parlare fino alla fine, senza aprire bocca. Quando ebbe finito, disse: - Saadi, scusatemi se, prima che Cogia vi risponda, io lo prevengo per dirvi che mi stupisce il vostro pregiudizio contro la sua sincerità e la vostra insistenza a non voler prestare fede alle cose che lui vi ha appena detto. Vi ho già detto, e ve lo ripeto, che io gli ho creduto subito, dal semplice racconto dei due incidenti che gli sono capitati, e, qualunque opinione possiate averne, sono convinto che sono veri. Ma lasciamolo parlare; sapremo da lui stesso chi di noi due gli rende giustizia. Dopo le parole dei due amici cominciai a parlare e, rivolgendomi a entrambi, dissi: - Signori, mi condannerei a un perpetuo silenzio su quanto volete sapere di me, se non fossi certo che la discussione che avete avuto su di me non è tale da rompere il vincolo d'amicizia che unisce i vostri cuori. Ora dunque vi spiegherò tutto, poiché lo volete; ma devo prima dichiararvi che lo farò con la stessa sincerità con cui vi ho precedentemente esposto quello che mi era capitato. Allora raccontai la cosa punto per punto, come Vostra Maestà l'ha sentita, senza tralasciare la minima circostanza. Le mie affermazioni non fecero molta impressione sull'animo di Saadi per guarirlo dalla sua prevenzione. Quando ebbi finito di parlare: - Cogia Hassan, - egli riprese, - l'avventura del pesce e del diamante trovato nel suo ventre al momento giusto, mi sembra così poco credibile come il furto del vostro turbante da parte di un nibbio e il vaso di crusca scambiato con sabbia detergente. Comunque sia, sono perfettamente convinto che voi non siete più povero, ma ricco, com'era mia intenzione farvi diventare col mio aiuto e me ne rallegro molto sinceramente. Poiché era tardi, si alzò insieme con Saad per congedarsi. Anch'io mi alzai e, trattenendoli, dissi: - Signori, permettetemi di chiedervi una grazia e di supplicarvi di non negarmela, concedendomi l'onore di offrirvi una cena frugale e poi un letto, per portarvi domani, per via d'acqua, in una casetta di campagna che ho comprato per andare a prendervi l'aria ogni tanto; e poi vi riporterò lo stesso giorno per via di terra, ognuno su un cavallo della mia scuderia. - Se Saad non ha affari che lo chiamano altrove, - disse Saadi,io accetto volentieri. - Non ne ho affatto, - ribatté Saad, - poiché si tratta di godere della vostra compagnia. Bisogna dunque, - continuò, mandare ad avvertire in casa vostra e in casa mia di non aspettarci. Chiamai uno schiavo per loro e, mentre essi lo incaricavano di questa commissione, ne approfittai per dare gli ordini per la cena. Aspettando l'ora di cena, feci vedere ai miei benefattori la mia casa e tutto quello che la compone, ed essa sembrò loro ben studiata per la mia condizione. Io li chiamavo entrambi miei benefattori, senza distinzione, perché senza Saadi, Saad non mi avrebbe dato il pezzo di piombo, e senza Saad, Saadi non si sarebbe rivolto a me per darmi le quattrocento monete d'oro alle quali faccio risalire la fonte della mia fortuna. Li riportai nella sala, dove mi rivolsero svariate domande sui particolari del mio commercio, e io risposi in modo tale, che sembrarono contenti della mia condotta. Infine vennero ad avvisarmi che la cena era servita. Poiché la tavola era apparecchiata in un'altra sala, ve li feci passare. Essi rimasero stupiti del modo in cui era illuminata, della sua eleganza, della dispensa e dei cibi, che furono di loro gusto. Li intrattenni con un concerto vocale e strumentale durante il pasto e, quando questo fu terminato, con un gruppo di danzatori e danzatrici, e con altri divertimenti cercando di far loro capire, per quanto mi era possibile, come fossi pieno di riconoscenza verso di loro. Il giorno dopo, poiché avevo deciso con Saadi e Saad di partire di buon mattino per goderci il fresco, andammo in riva al fiume prima dello spuntare del sole. Ci imbarcammo su un battello elegantissimo e ornato di tappeti che ci stava aspettando e, grazie all'abilità di sei buoni rematori e alla corrente favorevole, arrivammo alla mia casa di campagna dopo circa un'ora e mezzo di navigazione. Scendendo a terra, i due amici si fermarono, non tanto per valutarne la bellezza dall'esterno, quanto per ammirarne la posizione favorevole, con una bella vista, né troppo limitata, né troppo ampia, che la rendeva piacevole da tutte le parti. Li portai negli appartamenti, ne feci notare loro gli accessori, gli annessi e le comodità, che fecero giudicare la casa molto ridente e graziosissima. Poi entrammo nel giardino, dove quello che più di tutto piacque loro fu una selva di aranci e limoni di tutte le specie, carichi di frutti e di fiori che profumavano l'aria, piantati in filari a uguale distanza e irrorati, di albero in albero, da un rigagnolo perenne di acqua viva derivato dal fiume. L'ombra, la frescura nell'ora in cui il sole era più ardente, il dolce mormorio dell'acqua, l'armonioso cinguettio di un'infinità di uccelli e parecchie altre cose piacevoli li colpirono tanto, che si fermavano quasi a ogni passo, ora per esprimermi la riconoscenza che avevano per me di averli portati in un posto così delizioso, ora per felicitarsi con me dell'acquisto che avevo fatto e farmi altri cortesi complimenti. Li guidai fino in fondo al giardino, che è molto lungo e molto esteso, e lì feci loro notare un bosco di alti alberi che limita il mio giardino. Li portai fino a un chiosco aperto da tutti i lati, ma ombreggiato da un boschetto di palmizi che non nascondevano la vista, e li invitai a entrarvi e a riposarsi sopra un divano ornato di tappeti e di cuscini. Due dei miei figli, che avevamo trovato nella casa, dove li avevo mandati da qualche tempo con il loro precettore affinché prendessero aria, ci avevano lasciati per inoltrarsi nel bosco; e, dato che cercavano nidi di uccelli, ne videro uno fra i rami di un grande albero. Provarono subito di arrampicarvisi, ma, poiché non avevano né la forza né l'abilità per farlo, lo fecero vedere a uno schiavo al quale li avevo affidati e che non li abbandonava mai e gli dissero di snidare gli uccelli. Lo schiavo salì sull'albero e, raggiunto il nido, fu molto stupito vedendo che era stato fatto in un turbante. Prende il nido così com'è scende dall'albero e mostra il turbante ai miei figli ma, avendo la certezza che anch'io sarei stato felicissimo di vederlo, lo disse loro e diede il turbante al maggiore affinché me lo portasse. Li vidi arrivare da lontano, con la gioia consueta dei bambini che hanno trovato un nido; e, porgendomelo, il maggiore mi disse: - Padre mio, vedete questo nido in un turbante? Saadi e Saad non furono meno stupiti di me di quella novità; ma io lo fui molto più di loro accorgendomi che il turbante era quello rubatomi dal nibbio. Nel mio stupore, dopo averlo ben esaminato e girato da tutti i lati, chiesi ai due amici: - Signori, avete la memoria abbastanza buona da ricordarvi che questo è il turbante che portavo il giorno in cui mi faceste l'onore di parlarmi per la prima volta? - Non credo, - rispose Saad, - che Saadi vi abbia fatto maggiore attenzione di me; ma né lui né io potremo dubitarne, se vi si trovano le centonovanta monete d'oro. - Signore, - ripresi io, - siate certo che è lo stesso turbante; a parte il fatto che lo riconosco benissimo, mi accorgo anche dalla pesantezza che non è un altro, e ve ne accorgerete voi stessi, se vi darete la pena di prenderlo in mano. Dopo averne tolto gli uccelli e averli dati ai miei figli, diedi loro il turbante; Saad lo prese in mano e lo porse a Saadi, per fargli giudicare quanto potesse pesare. - Voglio credere che si tratti del vostro turbante, - mi disse Saadi, - però ne sarò più convinto quando vedrò le centonovanta monete d'oro in denaro sonante. - In ogni modo, signori, - aggiunsi dopo aver ripreso il turbante, - vi supplico di osservare bene, prima che io lo tocchi, che non si trova sull'albero da oggi; la condizione in cui lo vedete e il nido che vi è stato così accuratamente preparato, senza che mano d'uomo sia intervenuta, sono dei segni sicuri che ci si trovava fin dal giorno in cui il nibbio me lo ha preso e l'ha lasciato cadere o posato su quest'albero, i cui rami gli hanno impedito di cadere a terra. E non vi sia sgradito che io vi faccia fare questa osservazione: sono oltremodo interessato a togliervi ogni sospetto di frode da parte mia. Saad assecondò il mio disegno. - Saadi, - disse poi, - questo riguarda voi e non me, che sono ben convinto che Cogia Hassan non ci inganna. Mentre Saad parlava, levai la tela che avvolgeva in parecchi giri la berretta che faceva parte del turbante, e ne tirai fuori la borsa, che Saadi riconobbe come quella che mi aveva donato. La vuotai sul tappeto davanti a loro e dissi: - Signori, ecco le monete d'oro; contatele voi stessi e guardate se il conto torna. Saadi le dispose per dozzine, fino al numero di centonovanta; e allora, non potendo negare una verità così lampante, Saadi cominciò a parlare e, rivolgendosi a me, disse: - Cogia Hassan ammetto che queste centonovanta monete d'oro non sono potute servire ad arricchirvi; ma le altre centonovanta, che, come volete darmi a bere, avete nascosto in un vaso di crusca, hanno potuto contribuirvi. - Signore, - replicai, - vi ho detto la verità circa quest'ultima somma come riguardo alla prima. Voi non vorrete che io ritratti per dire una bugia. - Cogia Hassan - mi disse Saad, - lasciate Saadi nella sua opinione. Acconsento volentieri che egli creda che dovete a lui metà della vostra fortuna per l'ultima somma che vi ha dato; ma deve convenire che io ho contribuito a procurarvene per l'altra metà, con il pezzo di piombo che vi ho dato, e non deve mettere in dubbio il prezioso diamante trovato nel ventre del pesce. - Saad, - rispose Saadi, - io voglio quello che volete voi, purché mi lasciate la libertà di credere che il denaro si accumula solo con il denaro. - Come! - replicò Saad, - se per caso io trovassi un diamante di cinquantamila monete d'oro, e me lo pagassero l'equivalente, avrei forse acquisito questa somma con il denaro? La contestazione finì lì. Ci alzammo e, rientrando a casa poiché il pranzo era servito, ci mettemmo a tavola. Dopo pranzo, lasciai i miei ospiti liberi di riposarsi durante la canicola, mentre io andavo a dare ordini al mio portinaio e al mio giardiniere. Poi li raggiunsi e ci intrattenemmo su cose indifferenti, finché non fu passata l'ora più calda e potemmo ritornare in giardino, dove restammo al fresco fin quasi al tramonto. Allora i due amici e io salimmo a cavallo e, seguiti da uno schiavo, arrivammo a Bagdad verso le due di notte, con un bel chiaro di luna. Non so per quale negligenza dei miei servi, non trovammo in casa orzo per i cavalli. I depositi erano chiusi; ed erano troppo lontani per andarvi a fare provvista tanto tardi. Cercando nel vicinato, uno dei miei schiavi trovò un vaso di crusca in una bottega; comprò la crusca e la portò via col vaso, al patto di riportare e restituire il vaso il giorno dopo. Lo schiavo vuotò nella mangiatoia la crusca; e, stendendola affinché tutti i cavalli avessero la loro parte, sentì sotto la mano un fazzoletto legato, che era pesante. Mi portò il fazzoletto senza toccarlo e nello stato in cui l'aveva trovato e me lo diede dicendomi che forse era il fazzoletto di cui mi aveva spesso sentito parlare, quando raccontavo la mia storia agli amici. Pieno di gioia dissi ai miei benefattori: - Signori, Dio non vuole che vi separiate da me prima di essere pienamente convinti della verità, che non ho mai smesso di affermarvi. Ecco, - continuai rivolgendomi a Saadi, - le altre centonovanta monete d'oro che ho ricevuto dalla vostra mano: le riconosco dal fazzoletto che vedete. Slegai il fazzoletto e contai la somma davanti a loro. Mi feci anche portare il vaso, lo riconobbi o lo mandai a mia moglie per chiederle se lo avesse mai visto, con l'ordine di non dirle niente di ciò che era successo. Lei lo riconobbe subito e mandò a dirmi che si trattava dello stesso vaso che aveva scambiato pieno di crusca con la sabbia detergente. Saadi si arrese di buon grado; e, ricredutosi del suo scetticismo, disse a Saad: - Mi arrendo, e riconosco con voi che il denaro non è sempre un mezzo sicuro per accumularne altro e per diventare ricco. Quando Saadi ebbe finito, gli dissi: - Signore, non oserei proporvi di riprendervi le trecentottanta monete che Dio ha voluto farmi ritrovare oggi per disingannarvi dall'opinione sulla mia mala fede. Sono convinto che voi non me le donaste con l'intenzione che io ve le restituissi. Da parte mia non voglio approfittarne, contento di ciò che mi sono procurato per un'altra via; ma spero che voi approviate che le distribuisca domani ai poveri affinché Dio ce ne dia la ricompensa, a voi e a me. I due amici dormirono ancora da me quella notte; e il giorno seguente, dopo avermi abbracciato, tornarono ognuno a casa propria, contentissimi dell'accoglienza che avevo fatto loro e di avere riscontrato che non abusavo della fortuna di cui ero debitore a loro dopo che a Dio. Non ho mancato di andare a ringraziarli a casa loro ognuno in particolare e, da allora, considero un grande onore il permesso che mi hanno dato di coltivare la loro amicizia e di continuare a vederli. Il califfo Harun-al-Rashid prestava a Cogia Hassan un'attenzione tanto grande da accorgersi soltanto dal suo silenzio che la sua storia era finita. Egli disse: - Cogia Hassan, da tanto tempo non avevo sentito niente che mi facesse tanto piacere quanto conoscere le vie veramente meravigliose, per mezzo delle quali Dio ha voluto renderti felice in questo mondo. Devi continuare a rendergli grazie, facendo buon uso, come fai, dei suoi benefici. Sono felice di dirti che il diamante che ha fatto la tua fortuna fa ora parte del mio tesoro; e, quanto a me, sono felice di sapere in che modo vi sia entrato. Ma, poiché può essere che Saadi abbia ancora qualche dubbio sulla singolarità di questo diamante, che considero la cosa più preziosa e più degna di essere ammirata di tutto ciò che possiedo, voglio che tu lo porti qui insieme con Saad affinché la guardia del mio tesoro glielo mostri; e, per quanto poco sia ancora incredulo, voglio che riconosca che il denaro non è sempre un mezzo sicuro per un uomo povero per accumulare grandi ricchezze in poco tempo e senza molta fatica. Devi anche raccontare la tua storia alla guardia del mio tesoro affinché la faccia mettere per iscritto e sia conservata insieme con il diamante. Dette queste parole, dopo che il califfo ebbe manifestato con un cenno della testa a Cogia Hassan, a Sidi Numan e a Babà-Abdallà che era contento di loro, essi si congedarono prosternandosi davanti al suo trono; dopo di che si ritirarono.