STORIA DEL CAVALLO INCANTATO.

Sherazad, continuando a raccontare al sultano delle Indie le sue storie così piacevoli e che lo divertivano tanto, gli narrò quella del cavallo incantato. Sire, - disse, - come Vostra Maestà non ignora, il Nevrux, vale a dire il nuovo giorno, che è il primo dell'anno e della primavera, così detto per eccellenza, è una festa tanto solenne e antica in tutta la Persia, fin dai primi tempi dell'idolatria, che la religione del nostro profeta, che noi consideriamo come quella vera, nonostante la sua purezza non è riuscita fino ai nostri tempi ad abolirla, ancorché si possa dire che è una festa completamente pagana e le cerimonie che vi si osservano sono superstiziose. Senza parlare delle grandi città, non c'è cittadina, borgo, villaggio o casale dove non venga celebrata con festeggiamenti straordinari. Ma i festeggiamenti che vengono dati a corte li superano tutti di gran lunga per la varietà degli spettacoli sorprendenti e nuovi; e gli stranieri degli Stati vicini e anche quelli dei più lontani vi sono attratti dalle ricompense e dalla liberalità dei re nei confronti di quelli che si distinguono per le loro invenzioni e per il loro ingegno; tanto che nelle altre parti del mondo, non si vede niente che si avvicini a questa magnificenza. Durante una di queste feste, dopo che i più abili e più ingegnosi del paese, insieme con gli stranieri che erano andati a Shiraz, dove allora risiedeva la corte, ebbero offerto al re e a tutta la corte il divertimento dei loro spettacoli, dopo che il re ebbe loro dato i suoi doni, a ognuno secondo il suo merito e secondo quanto aveva inventato di più straordinario, di più meraviglioso e di più soddisfacente, distribuendoli con tanta imparzialità che non ce n'era uno che non si considerasse degnatamente ricompensato; mentre il sovrano si accingeva a ritirarsi e a sciogliere la numerosa assemblea, un Indiano si presentò ai piedi del suo trono spingendo un cavallo sellato, imbrigliato e riccamente bardato, imitato con tanta arte che, vedendolo, lo si sarebbe in un primo momento scambiato per un vero cavallo. L'indiano si prosternò davanti al trono; e quando si fu rialzato, mostrando il cavallo al re, disse: - Sire, anche se io mi presento per ultimo davanti a Vostra Maestà per entrare in lizza posso però assicurarvi che, in questo giorno di festa, non avete visto niente di tanto meraviglioso né di tanto sorprendente come il cavallo al quale vi supplico di rivolgere gli occhi. - Non vedo in questo cavallo, - gli disse il re, - nient'altro tranne l'arte e l'ingegnosità dell'artigiano nel dargli il più possibile un aspetto naturale. Ma un altro artigiano potrebbe farne uno simile, che lo superi perfino in perfezione. - Sire, - riprese l'indiano, - non voglio che Vostra Maestà consideri il mio cavallo una meraviglia per la sua struttura o per il suo aspetto esteriore, ma per l'uso che so farne e che ogni uomo, come me, può farne, grazie al segreto che io posso insegnargli. Quando lo monto, in qualsiasi lontano punto della terra io desideri essere trasportato attraverso l'aria, posso farlo in brevissimo tempo. In poche parole, Sire ecco in che cosa consiste la meraviglia del mio cavallo: meraviglia di cui nessuno ha mai sentito parlare e che mi offro di dimostrare a Vostra Maestà se mi sarà ordinato. Il re di Persia, che si interessava di tutto quello che aveva qualcosa di meraviglioso e che, dopo tante cose di questo genere che aveva visto, cercato di vedere e desiderato di vedere, non aveva visto niente che vi si avvicinasse, né sentito dire che avessero mai visto niente di simile, disse all'indiano che solo la dimostrazione che lui gli aveva proposto poteva convincerlo della superiorità del suo cavallo, e che era pronto a riscontrarne la verità. L'indiano mise subito il piede nella staffa, si lanciò sul cavallo con grande destrezza e, dopo aver messo il piede nell'altra staffa ed essersi ben assicurato alla sella, chiese al re di Persia dove doveva andare. Circa a tre leghe da Shiraz, c'era un'alta montagna che si vedeva tutta dalla grande piazza dove il re di Persia si trovava in quel momento davanti al suo palazzo, e che era piena di tutto il popolo che vi si era radunato. - Vedi quella montagna? - gli disse il re mostrandola all'indiano, - desidero che tu vada là: la distanza non è molta; ma è sufficiente a giudicare il tempo che impiegherai per andare e tornare. E, poiché non è possibile seguirti con lo sguardo fin là, devi portarmi, per prova sicura di esserci arrivato, un ramo di una palma che si trova ai piedi della montagna. Appena il re di Persia ebbe dichiarato la sua volontà con queste parole, l'indiano non fece altro che girare un cavicchio che sporgeva un po' alla base del collo del cavallo, vicino al pomo della sella. Immediatamente il cavallo s'innalzò da terra e sollevò in aria il cavaliere come un fulmine, così in alto che in pochi momenti anche quelli che avevano la vista più acuta non lo videro più; e questo avvenne con grande ammirazione del re e dei sui cortigiani e tra alte grida di stupore da parte di tutti gli spettatori riuniti. Non era passato neppure un quarto d'ora da quando l'indiano era partito, quando lo videro in aria che tornava con il ramo di palma in mano. Lo si vede arrivare sopra la piazza, dove fece parecchi caracolli, tra le acclamazioni di gioia del popolo che lo applaudiva, finché venne a posarsi davanti al trono del re, nello stesso posto da dove era partito, senza nessuna scossa del cavallo che potesse dargli fastidio. Scese a terra; e, avvicinandosi al trono, si prosternò e posò il ramo di palma ai piedi del re. Il re di Persia, che aveva assistito, con ammirazione uguale allo stupore, all'inaudito spettacolo offertogli dall'indiano, ebbe nel medesimo istante un grande desiderio di possedere il cavallo; e, convinto che non avrebbe incontrato difficoltà a trattarne l'acquisto con l'indiano, deciso ad accordargli qualsiasi somma egli chiedesse, lo considerava già come il pezzo più prezioso del suo tesoro che avrebbe così arricchito.. - A giudicare il tuo cavallo dall'aspetto esteriore, - disse all'indiano, - non capivo perché dovesse essere considerato tanto, quanto tu mi hai appena dimostrato che vale. Ti ringrazio di avermi fatto ricredere; e, per dimostrarti quanto lo valuto, se è in vendita, sono pronto a comprarlo. - Sire, - rispose l'indiano, - ero certo che voi, Maestà, che, tra tutti i re che regnano oggi sulla terra, passate per colui che sa giudicare meglio tutte le cose e stimarle secondo il loro giusto valore, avreste reso al mio cavallo la giustizia che gli rendete, appena vi avrei fatto conoscere il motivo per il quale esso è degno della vostra attenzione. Avevo anche previsto che non vi sareste accontentato di ammirarlo e di lodarlo, ma che avreste anche immediatamente desiderato di entrarne in possesso, come ora mi avete manifestato. Quanto a me, Sire, anche se io ne conosco il valore per quanto lo si possa conoscere, e anche se il suo possesso mi offre il modo di rendere il mio nome immortale nel mondo, tuttavia non mi preme tanto da non volermene privare per soddisfare il nobile desiderio di Vostra Maestà. Ma, facendovi questa dichiarazione, debbo farvene un'altra che riguarda la condizione senza la quale non posso decidermi a cederlo in altre mani, condizione che forse non prenderete bene. Permettetemi dunque, Maestà, di dirvi, aggiunse l'indiano, - che io non ho comprato questo cavallo: l'ho ottenuto da colui che l'ha inventato e costruito solo dandogli in moglie la mia unica figlia, che egli mi aveva chiesto; e, nello stesso tempo, egli pretese da me che io non lo vendessi e che, se avessi voluto dargli un altro padrone, avrei dovuto cederlo in cambio di qualsiasi cosa giudicassi opportuna. L'indiano voleva continuare; ma, alla parola cambio, il re di Persia lo interruppe: - Sono pronto, - replicò, - ad accordarti lo scambio che vorrai chiedermi. Tu sai che il mio regno è grande, che è pieno di grandi città, potenti, ricche e popolose. Lascio a tua scelta quella che vorrai scegliere, in piena potenza e sovranità per il resto dei tuoi giorni. Questo scambio sembrò davvero regale a tutta la corte di Persia; ma era molto inferiore a quanto l'indiano si era proposto. Egli aveva portato le sue mire a qualcosa di molto più alto. Rispose al re: - Sire, sono infinitamente grato a Vostra Maestà dell'offerta fattami, e non posso ringraziarvi abbastanza della vostra generosità. Tuttavia vi supplico di non offendervi se mi prendo l'ardire di dichiararvi che posso farvi entrare in possesso del mio cavallo soltanto ricevendo in sposa dalla vostra mano la principessa vostra figlia. Sono deciso a privarmene soltanto a questo prezzo. I cortigiani che circondavano il re di Persia non poterono impedirsi di scoppiare sonoramente a ridere per la stravagante richiesta dell'indiano. Ma il principe Firuz Shah, figlio maggiore del re e presunto erede al trono, non riuscì ad ascoltarla senza indignazione. Il re la pensò in modo ben diverso e credette di poter sacrificare la principessa di Persia all'indiano per soddisfare la propria curiosità. Tuttavia prima di risolversi a prendere questo partito, rimase un po' titubante Il principe Firuz Shah, vedendo che il re suo padre esitava sulla risposta da dare all'indiano, temette che accettasse la richiesta: cosa che lui avrebbe considerato come ugualmente ingiuriosa per la dignità regale, per la principessa sua sorella e per sé stesso. Cominciò dunque a parlare e, prevenendolo, disse: - Sire, Vostra Maestà mi perdoni se oso chiedervi se è possibile che esitiate un solo istante sul rifiuto che dovete opporre all'insolente domanda di un uomo da niente e di un infame ciarlatano, e che gli diate modo di lusingarsi per un attimo di imparentarsi con uno dei più potenti sovrani della terra. Vi supplico di considerare non solo quello che dovete a voi stesso, ma anche quello che dovete al vostro sangue e alla grande nobiltà dei vostri antenati. - Figlio mio, - rispose il re di Persia, - prendo bene la vostra rimostranza e vi sono molto grato dello zelo che dimostrate per conservare il lustro dei vostri natali nello stesso stato in cui lo avete ricevuto; ma voi non considerate abbastanza né l'eccellenza del cavallo, né che l'indiano, il quale mi propone questa via per farmene entrare in possesso, può, se lo respingo, andare a fare la stessa proposta altrove, dove passeranno sopra al punto d'onore, e io sarei ridotto alla disperazione se un altro sovrano potesse vantarsi di avermi superato in generosità e di avermi privato della gloria di possedere questo cavallo, che considero la cosa più singolare e più degna di ammirazione che ci sia al mondo. Non voglio dire, tuttavia, che acconsento a quanto mi chiede. Forse egli stesso non si rende perfettamente conto dell'enormità della sua pretesa; e, a parte la principessa mia figlia, farò qualsiasi altro patto egli vorrà. Ma, prima di giungere alla conclusione dell'accordo, mi farebbe molto piacere se voi esaminaste il cavallo e lo provaste personalmente per dirmene la vostra opinione. Sono sicuro che ve lo permetterà. Poiché è naturale lusingarsi su ciò che si desidera, l'indiano, che credette di intravedere da questo discorso che il re di Persia non era del tutto contrario ad accoglierlo nella sua famiglia, accettando il cavallo a questo prezzo, e che il principe, invece di essergli ostile come aveva dimostrato, avrebbe potuto diventargli favorevole, ben lontano dall'opporsi al desiderio del re, ne fu contento; e, per dimostrare che vi acconsentiva con piacere, precedette il principe, avvicinandosi al cavallo, pronto ad aiutarlo a salire in sella e ad avvertirlo di quello che doveva fare per ben manovrarlo. Il principe Firuz Shah, con mirabile destrezza, salì sul cavallo senza l'aiuto dell'indiano; e, appena ebbe messo i piedi nelle staffe senza aspettare nessun consiglio dell'indiano, girò il cavicchio come aveva visto fare a lui qualche momento prima quando lo aveva montato a sua volta. Appena ebbe girato il cavicchio, il cavallo lo sollevò con la velocità di una freccia scoccata dall'arciere più forte e più abile; e così, in pochi istanti, il re, tutta la corte e tutta la numerosa assemblea lo persero di vista. Il cavallo e il principe Firuz Shah non si vedevano più in aria e il re di Persia si sforzava inutilmente di scorgerlo, quando l'indiano, inquieto per ciò che era successo, si prosternò davanti al trono e costrinse il re a rivolgere lo sguardo su di lui e a prestare attenzione al discorso che egli gli fece in questi termini: - Sire, - disse, - Vostra Maestà stessa ha visto che il principe mi ha impedito, con la sua precipitazione, di dargli le istruzioni necessarie per manovrare il mio cavallo. Basandosi su quanto mi aveva visto fare, ha voluto dimostrare di non aver bisogno del mio suggerimento per partire a sollevarsi in aria; ma egli ignora il suggerimento che dovevo dargli per far tornare indietro il cavallo e per farlo scendere nel posto da dove era partito. Perciò, Sire, chiedo a Vostra Maestà la grazia di non considerarmi responsabile di quello che potrà capitargli. Siete troppo equanime per imputarmi la disgrazia che può succedere. Il discorso dell'indiano rattristò molto il re di Persia, che capì che il pericolo in cui si trovava il principe suo figlio era inevitabile se, come diceva l'Indiano, per far tornare il cavallo esisteva veramente un segreto diverso da quello che lo faceva partire e sollevarsi in aria. Gli chiese perché non lo avesse richiamato nel momento in cui lo aveva visto partire. - Sire, - rispose l'indiano, - Vostra Maestà stessa è stata testimone della rapidità con la quale il cavallo e il principe sono stati portati via: lo stupore, del quale ero e del quale sono ancora preda, mi ha in un primo momento tolto la parola e, quando sono stato in condizione di servirmene, egli era già così lontano che non avrebbe udito la mia voce e, anche se l'avesse sentita, non avrebbe potuto manovrare il cavallo per farlo tornare indietro, poiché non ne conosceva il segreto e non ha avuto la pazienza di apprenderlo da me. Ma, Sire, - aggiunse, c'è tuttavia motivo di sperare che il principe, nell'imbarazzo in cui si troverà, si accorgerà di un altro cavicchio, girando il quale il cavallo smetterà subito di innalzarsi e scenderà verso terra, dove potrà posarsi nel posto che riterrà opportuno guidandolo con la briglia. Quantunque il ragionamento dell'indiano fosse del tutto attendibile, il re di Persia, preoccupato per l'evidente pericolo in cui si trovava il principe suo figlio riprese: - Supponiamo, cosa comunque molto incerta, che il principe mio figlio si accorga dell'altro cavicchio e che ne faccia l'uso che tu dici; il cavallo, invece di scendere fino a terra, non può cadere sulle rocce o precipitare insieme con lui negli abissi del mare? - Sire, - replicò l'indiano, - posso liberare Vostra Maestà da questo timore, assicurandovi che il cavallo passa i mari senza mai cadervi e che porta sempre il cavaliere dove egli ha l'intenzione di andare, e Vostra Maestà può essere sicura che se il principe si accorge dell'altro cavicchio di cui vi ho parlato, il cavallo lo porterà solo dove egli vorrà andare, e non è credibile che egli vada altrove se non in posto in cui potrà trovare aiuto e farsi riconoscere. - A queste parole dell'indiano: - Comunque sia, - replicò il re di Persia, - poiché non posso fidarmi della tua assicurazione, la tua testa risponderà della vita di mio figlio se, entro tre mesi, non lo vedrò tornare sano e salvo o se non saprò con certezza che egli è vivo. Ordinò di prenderlo e di rinchiuderlo in un'angusta prigione; poi si ritirò nel suo palazzo, grandemente addolorato che la festa del Nevrux, tanto solenne in Persia, si fosse conclusa in maniera così triste per lui e per la sua corte. Nel frattempo il principe Firuz Shah fu sollevato in aria con la rapidità che abbiamo detto e in meno di un'ora si vide tanto in alto da non distinguere più niente sulla terra, dove le montagne e le valli gli sembravano confuse con le pianure. Allora pensò di ritornare là da dove era partito. Pensò, che girando lo stesso cavicchio in senso opposto e girando nello stesso tempo la briglia, vi sarebbe riuscito, ma fu sommamente stupito quando vide che il cavallo continuava a innalzarlo con la stessa rapidità. Girò e rigirò parecchie volte il cavicchio, ma inutilmente. Solo allora riconobbe il grave errore che aveva commesso non facendosi dare dall'indiano tutte le informazioni necessarie per ben manovrare il cavallo, prima di salirvi in sella. In quel momento, capì la gravità del pericolo in cui si trovava, ma questa consapevolezza non gli fece perdere la testa: si raccolse in sé stesso, con tutto il buon senso di cui era capace, e, esaminando attentamente la testa e il collo del cavallo, vide un altro cavicchio, più piccolo e meno evidente del primo, vicino all'orecchio destro del cavallo. Girò il cavicchio; subito si rese conto di scendere verso terra con una traiettoria simile a quella con la quale era salito, ma meno velocemente. Da circa una mezz'ora le tenebre della notte ricoprivano la terra nel punto in cui il principe Firuz Shah si trovava perpendicolarmente quando girò il cavicchio. Ma, dato che il cavallo continuò a scendere, poco dopo il sole tramontò anche per lui finché egli si trovò completamente immerso nelle tenebre della notte. E così, ben lontano dallo scegliere un posto dove posarsi a suo agio, fu costretto ad allentare la briglia sul collo del cavallo, aspettando con pazienza che finisse di scendere, non senza inquietudine circa il posto in cui si sarebbe fermato, e cioè se si sarebbe trattato di un posto abitato, di un deserto, di un fiume o del mare. Finalmente il cavallo si fermò e si posò a terra. Era mezzanotte passata; e il principe Firuz Shah scese a terra in uno stato di grande debolezza che gli veniva dal non aver mangiato niente dalla mattina del giorno che era appena finito, prima di uscire dal palazzo con il re suo padre per assistere agli spettacoli della festa. La prima cosa che fece, nell'oscurità della notte, fu di cercare di capire dove fosse, e vide che si trovava sul tetto a terrazza di un magnifico palazzo, coronato da una balaustra di marmo che serviva da parapetto. Esaminando la terrazza trovò la scala, per cui vi si saliva dal palazzo, la cui porta non chiusa, ma accostata. Chiunque altro al posto del principe Firuz Shah non avrebbe forse osato scendere nella grande oscurità che regnava in quel momento nella scala; in più si presentava la difficoltà di non sapere se avrebbe trovato amici o nemici: considerazione che non fu capace di fermarlo. "Io non vengo per far del male a nessuno,- disse fra sé; - evidentemente quelli che mi vedranno per primi, vedendomi senza armi in pugno, avranno l'umanità di ascoltarmi prima di uccidermi". Aprì di più la porta, senza far rumore, e scese con grande precauzione per evitare di fare qualche passo falso il cui rumore avrebbe potuto svegliare qualcuno. Vi riuscì; e a un certo punto della scala trovò aperta la porta di un salone, nel quale la luce era accesa. Il principe Firuz Shah si fermò sulla porta; e, tendendo l'orecchio non sentì altro rumore se non quello di persone che dormivano profondamente e che russavano in diversi modi. Avanzò un po' nella sala, e, alla luce di una lanterna, vide che quelli che dormivano erano eunuchi negri, ciascuno con la sciabola sguainata al suo fianco; e questo gli fece capire che si trattava della guardia dell'appartamento di una regina o di una principessa; ed effettivamente era quello di una principessa. La camera in cui dormiva la principessa veniva dopo questa sala, e che la porta era aperta lo rivelava la forte luce da cui la stanza era illuminata e che traspariva da una portiera di stoffa di seta molto leggiera. Il principe Firuz Shah avanzò fino alla portiera in punta di piedi, senza svegliare gli eunuchi. L'aprì; e, quando fu entrato, senza fermarsi a considerare la magnificenza veramente regale della camera, circostanza che poco gli interessava nello stato in cui era, prestò soltanto attenzione a quello che più gli premeva. Vide parecchi giacigli, di cui uno soltanto era sul divano e gli altri a terra. In questi ultimi dormivano le ancelle della principessa per tenerle compagnia e assisterla nelle sue necessità, e nel primo dormiva la principessa. Da questa distinzione il principe Firuz Shah non ebbe dubbi sulla scelta che doveva fare per rivolgersi alla principessa in persona. Si avvicinò al suo letto senza svegliare né lei né alcuna delle sue ancelle. Quando fu abbastanza vicino, vide una fanciulla di una bellezza straordinaria e così sorprendente, che ne fu incantato e infiammato d'amore al primo sguardo. "Cielo! esclamò fra sé, - il destino mi ha portato in questo posto per farmi perdere la libertà, che fino a questo momento ho conservato interamente? Non devo forse aspettarmi una sicura schiavitù appena lei aprirà gli occhi, se questi occhi, come devo presumere, completano lo splendore e la perfezione di un insieme di attrattive e di grazie così meravigliose? Devo decidermi a parlarle, poiché ritirarmi significherebbe uccidermi e poiché la necessità ordina così". Nel finire queste riflessioni sullo stato in cui si trovava e sulla bellezza della principessa, il principe Firuz Shah si mise in ginocchio e, prendendo l'orlo della manica pendente della camicia della principessa da cui usciva un braccio ben tornito e bianco come la neve, la tirò molto leggermente. La principessa aprì gli occhi e, grandemente stupita nel vedersi davanti un uomo tanto ben fatto, elegante e di bell'aspetto, si turbò, senza mostrare tuttavia nessun segno di terrore o di spavento. Il principe approfittò di questo momento favorevole; abbassò la testa fin quasi al tappeto e, rialzandola, disse: - Rispettabile principessa, la più straordinaria e meravigliosa avventura che si possa immaginare ha portato ai vostri piedi un supplichevole principe, figlio del re di Persia, che ieri mattina si trovava vicino al re suo padre tra i divertimenti di una festa solenne e che ora si trova in un paese sconosciuto, dove corre il pericolo di morire se voi non avrete la bontà e la generosità di assisterlo con il vostro aiuto e la vostra protezione. Imploro questa protezione, adorabile principessa con la fiducia che non me la negherete. Oso sperare questo con tanto più fondamento in quanto non è possibile che l'inumanità si unisca con tanta bellezza, tante grazie e tanta maestà. La principessa, alla quale il principe Firuz Shah si era così fortunatamente rivolto, era la principessa del Bengala, figlia primogenita del re di quel regno, che le aveva fatto costruire a poca distanza dalla capitale un palazzo dove lei veniva spesso per distrarsi lontano dalla città. Dopo averlo ascoltato con tutta la benevolenza che egli poteva desiderare, gli rispose con pari bontà: - Principe, rassicuratevi; non siete in un paese barbaro, l'ospitalità e la cortesia non sono meno osservate nel regno del Bengala che nel regno di Persia. Non sono io a concedervi la protezione che mi chiedete; l'avete trovata già pronta non solo nel mio palazzo, ma anche in tutto il regno: potete credermi e fidarvi della mia parola. Il principe di Persia voleva ringraziare la principessa del Bengala per la cortesia e per la grazia che gli concedeva così gentilmente, e aveva già chinato molto profondamente la testa per rivolgerle la parola, ma lei non gli diede il tempo di parlare: - Nonostante il mio forte desiderio di sapere da voi per quale prodigio avete impiegato così poco tempo per venire qui dalla capitale della Persia, e per quale incantesimo siete potuto penetrare in questo palazzo e presentarvi davanti a me tanto cautamente da ingannare la vigilanza della mia guardia, poiché, tuttavia, non è possibile che non abbiate bisogno di mangiare, e considerandovi come un ospite gradito, preferisco rimandare la mia curiosità a domani mattina e dare ordine alle mie ancelle di assegnarvi una delle mie camere, di offrirvi una buona cena e di lasciarvi riposare e rimettere in sesto finché non sarete in condizione di soddisfare la mia curiosità e finché io non sarò in condizione di ascoltarvi. Le ancelle della principessa, che si erano svegliate alle prime parole rivolte dal principe Firuz Shah alla principessa loro padrona, tanto più stupite di vederlo al capezzale del suo letto, in quanto non riuscivano a capire in che modo avesse potuto arrivarvi senza svegliare né loro né gli eunuchi; le ancelle, dicevo, appena ebbero compreso l'intenzione della principessa, si vestirono in fretta e furono pronte ad eseguire subito i suoi ordini. Ognuna di loro prese una delle lampade che illuminavano in gran numero la camera della principessa, e, quando il principe ebbe preso congedo dalla loro padrona ritirandosi molto rispettosamente, esse lo precedettero e lo portarono in una bellissima camera, dove alcune gli prepararono un letto, mentre altre andarono in cucina e nella dispensa. Nonostante l'ora inopportuna, le ancelle della principessa del Bengala non fecero aspettare molto il principe Firuz Shah. Portarono diverse qualità di cibi in grande abbondanza. Egli scelse ciò che volle e, dopo aver mangiato a sufficienza secondo la propria necessità, le ancelle sparecchiarono e lo lasciarono libero di coricarsi, dopo avergli mostrato parecchi armadi dove avrebbe trovato tutte le cose che potevano servirgli. La principessa del Bengala, continuando a pensare alle attrattive, allo spirito, alla gentilezza e a tutte le altre belle qualità del principe di Persia, che l'avevano colpita durante la loro breve conversazione non era ancora riuscita a riaddormentarsi quando le sue ancelle rientrarono nella camera per coricarsi. Chiese loro se avevano avuto buona cura di lui; se lo avevano lasciato soddisfatto; se non gli mancava niente e, soprattutto, che cosa pensavano di questo principe. Le ancelle della principessa, dopo aver risposto alle sue prime domande, risposero all'ultima: - Principessa, - dissero, - noi non sappiamo che cosa ne pensiate voi. Quanto a noi, vi considereremmo molto fortunata se il re vostro padre vi desse in sposo un principe così attraente. Non ce n'è uno alla corte del Bengala che possa stargli alla pari, e non sappiamo se neppure negli Stati vicini ce ne sia qualcuno degno di voi. Questo lusinghiero discorso non dispiacque alla principessa del Bengala; ma, poiché non voleva manifestare il proprio sentimento, impose loro silenzio. - Siete delle chiacchierone, - disse; - rimettetevi a letto e lasciatemi dormire. Il giorno dopo, la principessa, non appena si fu alzata, si mise davanti allo specchio. Fino a quel momento non aveva mai avuto tanta cura come quel giorno nel pettinarsi e acconciarsi, consultando il suo specchio. Le sue ancelle non avevano mai avuto bisogno di tanta pazienza per fare e disfare parecchie volte la stessa cosa finché non fu soddisfatta. "Non sono dispiaciuta al principe di Persia in camicia, me ne sono accorta benissimo, - diceva tra sé la principessa: - egli vedrà ben altro quando avrò indossato tutti i miei ornamenti". Si ornò il capo con i diamanti più grossi e più splendenti, e si mise una collana, dei braccialetti e una cintura con le stesse pietre preziose, il tutto di inestimabile valore; e il vestito che indossò era della più ricca stoffa di tutte le Indie, che veniva tessuta soltanto per i re, i principi e le principesse, e di un colore che la presentava degnamente in tutte le sue attrattive. Dopo aver consultato ancora diverse volte il suo specchio, e aver chiesto alle ancelle se mancava qualcosa al suo abbigliamento, mandò a chiedere se il principe di Persia era sveglio, e nel caso fosse già pronto, poiché era sicura che egli altro non chiedeva se non di vederla, ordinò di dirgli che sarebbe andata lei stessa da lui e che aveva le sue ragioni per agire così. Il principe di Persia, che aveva guadagnato sul giorno quello che aveva perso della notte, e che si era perfettamente rimesso dal suo faticoso viaggio, aveva appena finito di vestirsi, quando ricevette il buon giorno della principessa del Bengala da una delle sue ancelle. Il principe, senza dare all'ancella il tempo di comunicargli quello che doveva dirgli, le chiese se la principessa fosse in condizione di ricevere i suoi doveri e i suoi omaggi. Ma quando l'ancella gli ebbe comunicato l'ordine ricevuto dalla principessa, egli disse: - La principessa è la padrona, e io sono in casa sua solo per eseguire i suoi ordini. Appena la principessa del Bengala ebbe saputo che il principe di Persia l'aspettava, andò da lui. Dopo i reciproci complimenti, da parte del principe che le chiese mille volte perdono per averla svegliata nel più profondo del suo sonno, e da parte della principessa che gli chiese come avesse passato la notte e come stesse, la principessa si sedette sul divano e il principe seguì il suo esempio, sedendosi per rispetto a una certa distanza. Allora la principessa, cominciando a parlare, disse: - Principe, avrei potuto ricevervi nella camera dove questa notte mi avete vista coricata; ma, poiché il capo dei miei eunuchi è libero di entrarvi e, invece, non entra mai qui senza il mio permesso, impaziente come sono di apprendere da voi la sorprendente avventura che mi procura il piacere di vedervi, ho preferito venire ad ascoltarla qui, in un posto dove non saremo interrotti. Vi scongiuro di farmi la cortesia di soddisfare la mia richiesta. Per accontentare la principessa del Bengala, il principe Firuz Shah cominciò il suo racconto dalla festa solenne e annuale del Nevrux in tutto il regno di Persia, raccontandole tutti gli spettacoli degni della sua curiosità che avevano divertito la corte di Persia e quasi tutta la città di Shiraz. Poi le parlò del cavallo incantato e glielo descrisse. Il racconto delle meraviglie compiute dall'indiano in sella al suo cavallo, davanti a una così celebre assemblea, convinse la principessa che al mondo non si poteva immaginare niente di più sorprendente in questo genere. - Principessa, - continuò il principe di Persia, - voi capite bene che il re mio padre, che non risparmia nessuna spesa per accrescere i suoi tesori con le cose più rare e più curiose delle quali sente parlare, deve essere stato acceso da un gran desiderio di aggiungervi un cavallo di questa natura. Così fu infatti, e non esitò a chiedere all'indiano quanto lo valutasse. La risposta dell'indiano fu delle più stravaganti. Egli disse di non aver comprato il cavallo, ma di averlo avuto in cambio della sua unica figlia; e, poiché non poteva privarsene se non alla stessa condizione, poteva cederglielo solo sposando, con il suo consenso, la principessa mia sorella. La folla dei cortigiani che circondavano il trono del re mio padre, sentendo questa stravagante proposta, lo derise ad alta voce; e, quanto a me, fui preso da un'indignazione così grande che mi fu impossibile nasconderla, tanto più che mi accorsi che il re mio padre esitava su quanto doveva rispondere. Infatti, a un certo punto, mi sembrò che egli stesse per accordare all'indiano quanto questi chiedeva se non gli avessi fatto notare vivacemente il torto che stava per commettere contro la propria gloria. La mia rimostranza non fu tuttavia capace di fargli abbandonare completamente il disegno di sacrificare la principessa mia sorella a un uomo così spregevole. Egli pensò che se fossi riuscito a capire come lui quanto il cavallo valesse per la sua singolarità, avrei forse condiviso la sua opinione. Con questo intento, volle che io lo esaminassi, lo montassi e lo provassi personalmente. Per assecondare il re mio padre, salii sul cavallo e, appena mi fui sistemato in sella, dato che avevo visto l'indiano toccare un cavicchio e girarlo per farsi sollevare con il cavallo, senza chiedergli altre istruzioni feci lo stesso, e immediatamente fui sollevato in aria con una velocità molto superiore a quella di una freccia scoccata dall'arciere più robusto e più esperto. In poco tempo mi trovai tanto lontano dalla terra, che non distinguevo più nessun oggetto; e mi sembrava di avvicinarmi tanto alla volta celeste, che temetti di andarmici a rompere la testa. Per il rapido movimento che mi trasportava, restai a lungo come fuori di me e incapace di fare attenzione al pericolo presente al quale ero esposto in diversi modi. Volli girare in senso inverso il cavicchio che avevo girato prima ma non vidi l'effetto che mi ero aspettato. Il cavallo continuò a trasportarmi verso il cielo e in questo modo ad allontanarmi sempre più dalla terra. Infine mi accorsi di un altro cavicchio, lo girai e il cavallo invece di continuare a salire cominciò a scendere verso terra: e, poiché mi trovai in breve tempo immerso nelle tenebre della notte e non era possibile manovrare il cavallo in modo da farmi deporre in un posto dove non corressi pericolo, tenni la briglia sempre nella stessa posizione e mi rimisi alla volontà di Dio su quanto la sorte mi avrebbe riservato. Infine il cavallo si posò, scesi a terra e, esaminando il posto, mi trovai sulla terrazza di questo palazzo. La porta della scala era socchiusa; scesi senza far rumore e vidi una porta aperta dalla quale usciva un po' di luce. Sporsi la testa; e, appena ebbi visto degli eunuchi addormentati e una forte luce attraverso una portiera, l'urgente necessità in cui mi trovavo, nonostante l'inevitabile pericolo che mi avrebbe minacciato se gli eunuchi si fossero svegliati, mi diede l'ardire, per non dire la temerarietà, di avanzare leggermente e di aprire la portiera. Non c'è bisogno di dirvi il resto, - aggiunse il principe; - lo sapete. Mi resta solo da ringraziarvi per la vostra bontà e la vostra generosità, e supplicarvi di dirmi come posso dimostrarvi la mia riconoscenza per un così grande piacere, in modo che voi ne siate soddisfatta. Poiché, secondo il diritto degli uomini, io sono già vostro schiavo e non posso quindi offrirvi la mia persona, mi resta solo il mio cuore. Che dico, principessa! Non è più mio questo cuore; voi me lo avete rapito con le vostre grazie tanto che, ben lontano dal richiedervelo, ve lo abbandono. Perciò, permettetemi di dichiararvi che vi riconosco padrona del mio cuore oltre che delle mie azioni. Il principe Firuz Shah pronunciò queste ultime parole con un tono e un'aria tali da non permettere alla principessa del Bengala di dubitare un solo istante dell'effetto che, come lei si era aspettata, le sue grazie avevano prodotto. Non fu scandalizzata dalla dichiarazione del principe di Persia considerandola troppo precipitosa. Il rossore che le si diffuse sul viso servì solo a renderla più bella e più desiderabile agli occhi del principe. Quando il principe Firuz Shah ebbe finito di parlare: - Principe, - rispose la principessa del Bengala, - se mi avete fatto un immenso piacere raccontandomi le cose sorprendenti e meravigliose che ora ho ascoltato, non posso d'altra parte immaginarvi senza terrore nella più alta regione dell'aria; e anche se, mentre parlavate, io avevo la gioia di vedervi sano e salvo davanti a me, tuttavia ho continuato lo stesso a temere per voi finché non mi avete detto che il cavallo dell'indiano era venuto a posarsi così felicemente sulla terrazza del mio palazzo. Egli avrebbe potuto fermarsi in mille altri posti: ma sono felice che il caso mi abbia dato la preferenza e l'occasione di farvi conoscere che lo stesso caso poteva portarvi altrove, ma non potevate essere accolto meglio e con maggior piacere. Perciò, principe, mi giudicherei grandemente offesa se credessi che mi avete espresso seriamente il pensiero di essere mio schiavo, e non lo attribuissi alla vostra cortesia piuttosto che a un sentimento sincero; e l'accoglienza che vi feci ieri deve farvi sufficientemente capire che qui non siete meno libero che alla corte di Persia. Quanto al vostro cuore, - aggiunse la principessa del Bengala in un chiaro tono di rifiuto, - poiché sono ben convinta che non avete aspettato fino ad ora per disporne e dovete aver già scelto una principessa che lo merita, mi dispiacerebbe molto darvi l'occasione di esserle infedele. Il principe Firuz Shah volle protestare alla principessa del Bengala che era venuto dalla Persia padrone del proprio cuore; ma, mentre stava per parlare, una delle ancelle della principessa, che aveva quest'ordine, venne ad avvertire che il pranzo era pronto. Questa interruzione evitò al principe e alla principessa una spiegazione che li avrebbe imbarazzati entrambi e di cui non avevano bisogno. La principessa del Bengala restò pienamente convinta della sincerità del principe di Persia; e, quanto al principe, anche se la principessa non si era spiegata, egli ritenne tuttavia, dalle sue parole e dal modo favorevole in cui lo aveva ascoltato, che aveva motivo di considerarsi contento della sua fortuna. L'ancella della principessa teneva la portiera aperta e la principessa del Bengala, alzandosi, disse al principe di Persia, che seguì il suo esempio, di non avere l'abitudine di pranzare così presto; ma, non dubitando che gli avessero fatto fare una cattiva cena, aveva dato l'ordine di servire il pranzo più presto del solito, e, dicendo queste parole, lo portò in un magnifico salone, dove la tavola era preparata e imbandita con una grande quantità di cibi prelibati. Si misero a tavola e, appena si furono seduti, un folto gruppo di schiave della principessa, belle e riccamente abbigliate, iniziarono un piacevole concerto vocale e strumentale, che continuò per tutta la durata del pranzo. Poiché il concerto era molto dolce ed eseguito in modo da non impedire al principe e alla principessa di conversare, una buona parte del pranzo passò mentre la principessa serviva il principe invitandolo a mangiare, e il principe serviva a sua volta alla principessa quello che gli sembrava migliore per prevenirla con modi e parole che gli attiravano nuove cortesie e nuovi complimenti da parte di lei; e, in questo reciproco scambio di gentilezze e di attenzioni, l'amore fece più progressi in entrambi di quanto ne avrebbe fatto in un colloquio prestabilito. Infine i due giovani si alzarono da tavola. La principessa portò il principe di Persia in un salone grande e magnifico per la sua architettura e per l'oro e il turchino che l'ornavano con simmetria, e riccamente arredato. Si sedettero sul divano da cui si godeva una bellissima vista del giardino del palazzo, che suscitò l'ammirazione del principe Firuz Shah per la varietà dei fiori, degli arbusti e degli alberi, molto diversi da quelli persiani, ma ugualmente belli. Cogliendo questa occasione per riprendere la conversazione con la principessa, il principe disse: - Principessa, avevo creduto che al mondo soltanto la Persia avesse palazzi splendidi e mirabili giardini, degni della maestà dei re: ma vedo che, dovunque vi siano grandi re, i re sanno farsi costruire abitazioni adatte alla loro grandezza e alla loro potenza; e, se pure c'è una differenza nel modo di costruire e nei particolari, esse si assomigliano per grandiosità e per magnificenza. - Principe, - rispose la principessa del Bengala, - poiché io non ho alcuna idea dei palazzi di Persia, non posso esprimere il mio giudizio sul paragone che voi ne fate con il mio; ma, per sincero che possiate essere, fatico a convincermi che esso sia giusto; permettetemi di credere che nel vostro giudizio c'è una buona parte di compiacenza. Non voglio tuttavia disprezzare il mio palazzo davanti a voi: siete troppo buon conoscitore e avete troppo buon gusto da non giudicare con verità e saggezza, ma vi assicuro che a me sembra molto mediocre quando lo paragono a quello del re mio padre, che lo supera infinitamente in grandezza, in bellezza e in ricchezza. Mi direte voi stesso che cosa ne pensate quando lo avrete visto. Poiché il caso vi ha portato fino alla capitale di questo regno, sono sicura che vorrete vederla e salutare il re mio padre, affinché egli vi renda gli onori dovuti a un principe del vostro grado e del vostro merito. Facendo nascere nel principe di Persia la curiosità di vedere il palazzo reale del Bengala e di salutare il re suo padre, la principessa sperava che, se ci fosse riuscita, suo padre, vedendo un principe così ben fatto, così saggio e così compito in ogni cosa, si sarebbe forse potuto decidere a proporgli di unire le loro due famiglie, offrendogli di concedergli lei in sposa; e, in questo modo, essendo ben convinta di non essere indifferente al principe e che il principe non avrebbe rifiutato questa proposta, sperava di vedere esauditi i suoi desideri, mantenendo il decoro adeguato a una principessa che voglia sembrare sottomessa alla volontà del re suo padre. Ma il principe di Persia non le rispose su questo punto conformemente a quanto ella aveva pensato. - Principessa, - riprese il principe, - sono pienamente convinto dopo quanto mi dite che il palazzo del re del Bengala merita che voi lo preferiate al vostro. Quanto alla proposta che mi fate di rendere i miei rispetti al re vostro padre, sarebbe per me non solo un piacere, ma anche un grande onore poterlo fare. Ma, principessa, - aggiunse, - faccio giudicare a voi stessa: mi consigliereste di presentarmi davanti alla maestà di un così grande sovrano come un avventuriero senza seguito e senza un corteo degno del mio grado? - Principe, - replicò la principessa, - questo non vi deve preoccupare; basta che lo vogliate, non vi mancherà il denaro per formare il corteo che vorrete: ve lo fornirò io. Vivono qui numerosi negozianti della vostra nazione, potete sceglierne quanti ne giudicate opportuni per formarvi un seguito che vi farà onore. Il principe Firuz Shah capì l'intenzione della principessa del Bengala; e il tangibile segno, che in questo modo lei gli dava del suo amore, accrebbe la passione che già nutriva per lei; ma nonostante la sua intensità, essa non gli fece dimenticare il suo dovere. Replicò senza esitare: - Principessa, accetterei volentieri la cortese offerta che mi fate, e non ho parole sufficienti per dimostrarvi la mia riconoscenza, se l'inquietudine in cui deve essere il re mio padre per la mia scomparsa non me lo impedisse assolutamente. Sarei indegno della bontà e dell'affetto che egli ha sempre avuto per me, se non tornassi al più presto e non andassi da lui per dissiparla. Io lo conosco; e, mentre io ho la felicità di godere la compagnia di una principessa così affascinante, sono sicuro che è in preda a un mortale dolore e che ha perso la speranza di rivedermi. Spero che mi rendiate la giustizia di capire che non posso, senza commettere un'ingratitudine e anche un delitto dispensandomi dall'andare a rendergli la vita, che un ritorno rimandato per troppo tempo potrebbe fargli perdere. Fatto questo, principessa, - continuò il principe di Persia, se mi giudicate degno di aspirare alla felicità di diventare vostro sposo, poiché il re mio padre mi ha sempre dichiarato di lasciarmi libero di scegliere la sposa che avrei voluto, non avrò difficoltà a ottenere da lui il permesso di ritornare qui, non come uno sconosciuto, ma come principe a chiedere da parte sua al re del Bengala di imparentarsi con lui per mezzo del nostro matrimonio. Sono convinto che me lo chiederà lui stesso, quando lo avrò informato della generosità con la quale mi avete accolto nella mia disgrazia. Da come si era espresso il principe di Persia, la principessa del Bengala, che era molto ragionevole, capì che era inutile insistere per indurlo a presentarsi al re del Bengala e a fare qualcosa contro il proprio dovere e il proprio onore; ma si preoccupò per l'imminente partenza che, a quanto le sembrò, egli meditava, e temette che, se il principe avesse preso così presto congedo da lei, ben lontano dal mantenere la promessa che le faceva, l'avrebbe dimenticata non appena avesse smesso di vederla. Per distoglierlo dal suo intento disse: - Principe, proponendovi il mio aiuto per mettervi in condizione di presentarvi al re mio padre, non avevo l'intenzione di oppormi a una ragione così legittima come quella che mi dite e che non avevo previsto. Mi renderei io stessa complice della vostra colpa se lo pensassi: ma non posso approvare la vostra intenzione di partire così presto come sembrate esservi riproposto. Accordate alle mie preghiere almeno la grazia che vi chiedo, di avere il tempo di rendervi bene conto delle cose; e, poiché la mia fortuna ha voluto che voi siate arrivato nel regno del Bengala piuttosto che in mezzo a un deserto o sulla cima di una montagna così scoscesa che vi sarebbe stato impossibile discenderne, promettetemi di restarvi il tempo sufficiente da riportarne notizie un po' particolareggiate alla corte di Persia. Lo scopo del discorso della principessa del Bengala era che, inducendo il principe Firuz e restare per qualche tempo con lei, egli sentisse sempre di più il fascino delle sue grazie, e sperava che, con questo mezzo, l'ardente desiderio di ritornare in Persia ch'e lei notava in lui si affievolisse, e che allora si sarebbe forse deciso ad apparire in pubblico e a presentarsi al re del Bengala. Il principe di Persia non poté, senza mostrarsi scortese, negarle quanto lei gli chiedeva, dopo essere stato accolto e ricevuto così favorevolmente da lei. Acconsentì, e la principessa ad altro non pensò più se non a rendergli piacevole il soggiorno con tutti i divertimenti che poté immaginare. Per parecchi giorni vi furono soltanto feste, balli, concerti, festini o merende magnifiche, passeggiate nei giardini e cacce nel parco del palazzo, dove c'era ogni specie di animali selvatici: cervi, cerve, daini, caprioli, e altra selvaggina simile, caratteristica del regno del Bengala, la cui caccia, non pericolosa, si confaceva alla principessa. Alla fine di queste cacce, il principe e la principessa si trovavano in qualche punto del parco, dove i domestici stendevano per loro un tappeto e dei cuscini, affinché fossero seduti più comodamente. Là, riprendendo fiato e rilassandosi dopo il faticoso esercizio al quale si erano dedicati, si intrattenevano su svariati argomenti. La principessa del Bengala aveva soprattutto molta cura di far cadere la conversazione sulla grandezza, la potenza, le ricchezze e il governo della Persia, affinché dal discorso del principe Firuz Shah potesse cogliere a sua volta l'occasione per parlargli del regno del Bengala e delle sue prerogative e, in questo modo, indurlo a fermarvisi; ma successe il contrario di quanto lei si era proposta. Il principe di Persia, infatti, senza esagerare niente, le fece un racconto così lusinghiero della grandezza del regno di Persia, della magnificenza e dell'opulenza che vi regnavano, delle sue forze militari, del suo commercio terrestre e marittimo che si estendeva fino ai paesi più lontani, alcuni dei quali le erano sconosciuti, e delle sue numerosissime grandi città quasi altrettanto popolose di quella in cui egli aveva stabilito la sua residenza, nelle quali aveva persino dei palazzi completamente arredati pronti a riceverlo, secondo le differenti stagioni, in modo che aveva la possibilità di godere di un'eterna primavera; le fece un racconto tanto lusinghiero, dicevo, che, prima che avesse finito, la principessa considerò il regno del Bengala molto inferiore, per molti aspetti, a quello di Persia. Accadde anche che, quando egli ebbe finito il suo discorso e l'ebbe pregata di parlargli a sua volta delle prerogative del regno del Bengala, non poté decidersi a farlo se non dopo parecchie insistenze da parte del principe. La principessa del Bengala diede dunque questa soddisfazione al principe Firuz Shah, ma sorvolando su parecchie prerogative per le quali il regno del Bengala superava indubbiamente il regno di Persia. Lei gli fece così ben capire quanto fosse disposta ad accompagnarlo in Persia, che il principe ritenne che avrebbe acconsentito a seguirlo la prima volta che glielo avesse proposto; ma pensò che non sarebbe stato opportuno proporglielo prima di aver passato un lungo periodo con lei, per farla sentire in torto nel caso che avesse voluto trattenerlo più a lungo e impedirgli di adempiere l'indispensabile dovere di andare dal re suo padre. Per due interi mesi, il principe Firuz Shah si abbandonò completamente ai desideri della principessa del Bengala, prendendo parte a tutti i divertimenti che lei poté immaginare e volle offrirgli, come se egli altro non avesse dovuto fare se non passare la vita con lei in questo modo. Ma allo scadere di questo termine le dichiarò seriamente che stava venendo meno al proprio dovere da anche troppo tempo, e la pregò di concedergli infine la libertà di compierlo, rinnovandole la promessa di tornare al più presto con un seguito degno di lei e degno di lui per chiederla in moglie, nella dovuta forma, al re del Bengala. - Principessa, - aggiunse il principe, - forse le mie parole vi sembreranno sospette e può darsi anche che, a causa del permesso che vi chiedo, voi mi abbiate già messo nel numero di quei falsi amanti che dimenticano l'oggetto del loro amore appena ne sono lontani: ma, per dimostrarvi la passione vera e sincera con la quale sono convinto che la mia vita non può essere felice se non accanto a una principessa attraente come voi, e che mi ama, come non voglio dubitarne, oserei chiedervi la grazia di portarvi con me, se non temessi di offendervi con la mia proposta. Appena il principe Firuz Shah si fu accorto che la principessa era arrossita a queste ultime parole e che, senza dare nessun segno di collera, esitava sul partito da prendere, continuò: - Principessa, per quanto riguarda il consenso del re mio padre e l'accoglienza con la quale vi riceverà nella nostra famiglia come sua nuora, posso garantirveli. Per quanto riguarda il re del Bengala, dopo tutte le manifestazioni di tenerezza, di amicizia e di considerazione che ha sempre avuto e continua ad avere per voi, egli dovrebbe essere molto diverso da come me lo avete descritto, cioè nemico della vostra pace e della vostra felicità se non ricevesse con benevolenza gli ambasciatori che il re mio padre gli invierà per ottenere il suo consenso al nostro matrimonio.. La principessa del Bengala non rispose niente al discorso del principe di Persia; ma il suo silenzio e i suoi occhi bassi gli fecero capire meglio di qualsiasi altra dichiarazione che lei non era contraria ad accompagnarlo in Persia e che avrebbe acconsentito. Sembrò trovare un'unica difficoltà: che il principe di Persia non fosse abbastanza esperto nel manovrare il cavallo, perciò temeva di trovarsi con lui nello stesso imbarazzo di quando lo aveva cavalcato. Ma il principe Firuz Shah dissipò così bene questo timore, convincendola che poteva fidarsi di lui e che, dopo quanto gli era successo, egli poteva sfidare l'indiano stesso a manovrarlo con più abilità di lui, che lei ad altro non pensò se non ad accordarsi con lui per partire così segretamente, che nessuno del suo palazzo potesse avere il minimo sospetto del loro piano. Ci riuscì: e, la mattina dopo, un po' prima dell'alba, quando tutto il suo palazzo era ancora immerso in un sonno profondo, appena fu andata sulla terrazza insieme con il principe, in un posto in cui la principessa poteva salire in sella senza difficoltà, il principe girò il cavallo verso la Persia. Egli salì per primo; e, quando la principessa si fu seduta a suo agio dietro di lui, gli ebbe cinto il corpo con un braccio per maggiore sicurezza e gli ebbe detto che poteva partire, girò lo stesso cavicchio che aveva girato nella capitale della Persia, e il cavallo si sollevò in aria. Il cavallo salì con la solita rapidità; e il principe Firuz Shah lo manovrò in modo che circa due ore e mezzo dopo vide la capitale della Persia. Non volle scendere nella grande piazza da dove era partito né nel palazzo del sultano, ma in un palazzo di campagna, poco distante dalla città. Portò la principessa nel più bell'appartamento e le disse che, per farle rendere i dovuti onori, sarebbe andato ad avvertire il sultano suo padre del loro arrivo, e sarebbe subito tornato: e, intanto, dava ordine al portinaio del palazzo, che era presente, di non lasciarle mancare niente di tutte le cose di cui poteva aver bisogno. Dopo aver lasciata la principessa nell'appartamento, il principe Firuz Shah ordinò al portinaio di far sellare un cavallo. Il cavallo gli fu portato ed egli salì in sella: e, dopo aver rimandato il portinaio dalla principessa con l'ordine, prima di tutto, di farle far colazione con quanto avrebbe potuto prepararle al più presto, partì: e, durante il tragitto e nelle vie della città che attraversò per recarsi a palazzo, fu accolto dalle acclamazioni del popolo, che cambiò la propria tristezza in gioia avendo disperato di mai più rivederlo, da quando era scomparso. Il sultano suo padre teneva udienza quando lui si presentò al suo cospetto, in mezzo ai componenti del suo consiglio, che erano tutti in abito da lutto, come il sultano, dal giorno in cui il cavallo lo aveva portato via. Il sultano lo accolse abbracciandolo con lacrime di gioia e di tenerezza; gli chiese con premura che cosa fosse accaduto del cavallo dell'indiano. Questa domanda diede modo al principe di cogliere l'occasione per raccontare al sultano suo padre l'imbarazzo e il pericolo in cui si era trovato dopo che il cavallo lo ebbe sollevato in aria; in che modo se l'era cavata e come era poi arrivato al palazzo della principessa del Bengala; la buona accoglienza che lei gli aveva fatto; il motivo che lo aveva costretto a restare da lei più di quanto avrebbe dovuto, e la compiacenza che lei aveva avuto di non contraddirlo fino al punto di acconsentire a venire in Persia con lui, dopo che egli aveva promesso di sposarla. - E, Sire, - aggiunse il principe per concludere, - dopo averle anche promesso che voi non mi avreste negato il vostro consenso, l'ho portata con me sul cavallo dell'indiano. Aspetta in uno dei palazzi di campagna di Vostra Maestà, dove l'ho lasciata, che io vada ad annunciarle che non le ho fatto invano la mia promessa. A queste parole, il principe si prosternò davanti al sultano suo padre per ottenerne il consenso; ma il sultano glielo impedì, lo trattenne e, abbracciandolo una seconda volta, disse: - Figlio mio, non solo acconsento al vostro matrimonio con la principessa dei Bengala, voglio anche andarle personalmente incontro per dimostrarle la gratitudine che anch'io le devo, portarla nel mio palazzo e celebrare oggi stesso le vostre nozze. Così il sultano, dopo aver dato ordini per l'accoglienza che voleva tributare alla principessa del Bengala, ordinò di smettere gli abiti da lutto e di dare inizio ai pubblici festeggiamenti con un concerto di timpani, trombe e tamburi, insieme con gli altri strumenti marziali; ordinò anche di far uscire l'indiano di prigione e di portarglielo. Quando l'indiano fu portato davanti a lui, il sultano gli disse: - Ti avevo fatto arrestare affinché la tua vita, che tuttavia non non sarebbe stata un olocausto sufficiente alla mia collera e al mio dolore, rispondesse di quella del principe mio figlio. Ringrazia Iddio che l'ho ritrovato. Va', riprendi il tuo cavallo e non comparire mai più davanti a me. Quando fu lontano dallo sguardo del sultano di Persia, l'indiano, che aveva saputo dagli uomini che lo avevano fatto uscire di prigione che il principe Firuz Shah era tornato con la principessa portandola con sé sul cavallo incantato, il posto dove era sceso e dove l'aveva lasciata, e che il sultano si preparava ad andare a prenderla per condurla a palazzo, non esitò a prevenire lui e il principe di Persia e, senza perdere tempo andò in tutta fretta al palazzo di campagna; rivolgendosi al portinaio disse che veniva da parte del sultano e del principe di Persia a prendere la principessa del Bengala e in sella al cavallo condurla a volo dal sultano che l'aspettava, così diceva, nella piazza del palazzo, per riceverla e offrire quello spettacolo alla corte e alla città di Shiraz. Il portinaio conosceva l'indiano e sapeva che il sultano lo aveva fatto arrestare; perciò, vedendolo libero, non ebbe difficoltà a prestare fede alla sua parola. L'indiano si presentò alla principessa del Bengala e appena la principessa ebbe saputo che egli veniva da parte del principe di Persia, acconsentì a seguirlo, convinta che si trattasse di un desiderio del principe. L'indiano, felicissimo dentro di sé per la facilità che incontrava nell'esecuzione del suo malvagio piano, salì sul cavallo, prese in sella la principessa con l'aiuto del portinaio, girò il cavicchio, e subito il cavallo sollevò entrambi nelle più alte sfere dell'aria. In quello stesso istante il sultano di Persia, seguito dai suoi cortigiani, usciva da palazzo per andare al palazzo di campagna e il principe di Persia lo stava precedendo per preparare la principessa del Bengala a riceverlo. Intanto l'indiano passava ostentatamente sulla città con la sua preda, per sfidare il sultano e il principe e per vendicarsi dell'ingiusto trattamento che, a suo avviso, gli era stato inflitto. Quando il sultano di Persia ebbe visto e riconosciuto il rapitore, si fermò con uno stupore tanto più forte e tanto più doloroso in quanto gli era impossibile punirlo per il grave affronto che gli faceva in modo così strepitoso. Lo coprì di mille imprecazioni con i suoi cortigiani e con tutti quelli che furono testimoni di un'insolenza così manifesta e di una malvagità senza pari. L'indiano poco colpito da queste maledizioni il cui suono arrivò fino a lui, proseguì la sua strada mentre il sultano rientrava nel palazzo, estremamente mortificato di ricevere un'ingiuria così sanguinosa e di vedersi nell'impossibilità di punirne l'artefice. Ma quale fu il dolore del principe Firuz Shah, quando vide che l'indiano gli rapiva sotto i suoi propri occhi, e senza che glielo potesse impedire, la principessa del Bengala che egli amava così appassionatamente da non poter più vivere senza di lei! A quella vista così inattesa rimase completamente paralizzato; e, prima che avesse il tempo di decidere se scagliarsi con ingiurie contro l'indiano o se compiangere la deplorevole sorte della principessa, chiedendole perdono della poca precauzione che aveva preso per proteggerla, lei che si era abbandonata a lui in modo tale da dimostrare chiaramente quanto lo amasse, il cavallo che trasportava entrambi con incredibile rapidità li aveva sottratti alla sua vista. Che decisione prendere? Tornare a palazzo dal sultano suo padre? rinchiudersi nel suo appartamento per immergersi nel dolore, senza far niente per inseguire il rapitore? liberare la principessa dalle sue mani e punirlo come merita? La sua generosità, il suo amore, il suo coraggio non glielo permettono. Continua a camminare fino al palazzo di campagna. Al suo arrivo, il portinaio, che si era accorto della propria credulità e di essersi lasciato ingannare dall'indiano, si presenta davanti al principe con le lacrime agli occhi, si getta ai suoi piedi, si accusa personalmente del crimine che crede di aver commesso e si condanna alla morte, che aspetta dalla sua mano. - Alzati, - gli dice il principe, - non incolpo te del rapimento della mia principessa; la colpa è soltanto mia e della mia ingenuità. Senza perdere tempo vai a cercarmi un abito da derviscio e stai attento a non dire che è per me. Poco lontano dal palazzo di campagna c'era un convento di dervisci, il cui sceicco, o superiore, era amico del portinaio. Il portinaio andò la lui; e, facendogli una falsa confidenza sulla disgrazia a un dignitario di corte piuttosto importante, al quale egli doveva molto e che era ben felice di aiutare per dargli modo di sottrarsi alla collera del sultano, non ebbe difficoltà a ottenere quello che chiedeva: portò al principe Firuz Shah un abbigliamento completo da derviscio. Il principe lo indossò, dopo essersi tolto il suo. Travestito così, e provvisto della scatola di perle e diamanti destinata alla principessa del Bengala, per le spese e le necessità del viaggio che stava per intraprendere, uscì dal palazzo di campagna sul far della notte; e, non sapendo che strada prendere, ma deciso a non tornare finché non avesse ritrovato la sua principessa e finché non potesse riportarla con sé, si mise in cammino. Torniamo all'indiano: egli manovrò il cavallo incantato in modo che, nello stesso giorno, arrivò di buon'ora in un bosco vicino alla capitale del regno di Kashmir. Avendo bisogno di mangiare e ritenendo che la principessa del Bengala dovesse avere lo stesso bisogno, scese a terra in quel bosco, e lasciò la principessa sull'erba, vicino a un ruscello di acqua molto fresca e limpida. Durante l'assenza dell'Indiano, la principessa del Bengala, che si vedeva in potere di un indegno rapitore, del quale temeva la violenza, aveva pensato di fuggire e di cercare un asilo; ma poiché, al suo arrivo al palazzo di campagna aveva mangiato molto leggermente, si sentì tanto debole, quando volle mettere in atto il suo piano, che fu costretta ad abbandonarlo e a restare senz'altra risorsa tranne il suo coraggio, con la ferma risoluzione di affrontare la morte piuttosto che venire meno alla fedeltà al principe di Persia. Perciò non aspettò che l'indiano l'invitasse una seconda volta a mangiare: mangiò e si rimise abbastanza in forze da rispondere coraggiosamente agli insolenti discorsi che quello cominciò a farle dopo aver mangiato. Dopo parecchie minacce, vedendo che l'indiano si preparava a violentarla, si alzò per resistergli, levando alte grida. Queste grida attirarono in un momento un gruppo di cavalieri che circondarono lei e l'indiano. Si trattava del sultano del regno di Kashmir che, tornando dalla caccia con il suo seguito, per fortuna della principessa del Bengala passava da quelle parti ed era accorso al rumore che aveva sentito. Si rivolse all'indiano e gli chiese chi fosse e che cosa pretendesse dalla dama lì presente. L'indiano rispose con impudenza che era sua moglie e che nessuno aveva il diritto di conoscere il soggetto del loro bisticcio. La principessa, che non conosceva né il grado né la dignità di colui che si presentava così a proposito per liberarla, smentì l'indiano. - Signore, - disse, - chiunque voi siate, che il Cielo manda in mio soccorso, abbiate compassione di una principessa e non prestate fede a un impostore: Dio mi guardi dall'essere moglie di un Indiano così vile e così spregevole! E' un abominevole mago, che oggi mi ha rapito al principe di Persia, al quale ero destinata in sposa, e che mi ha portato qui su questo cavallo incantato. La principessa del Bengala non ebbe bisogno di dire altro per convincere il sultano di Kashmir della verità di ciò che diceva. La sua bellezza, la sua aria aristocratica e le sue lacrime parlavano per lei. Lei volle continuare; ma, invece di ascoltarla, il sultano di Kashmir, giustamente indignato dall'insolenza dell'indiano, lo fece subito circondare e ordinò di tagliargli la testa. L'ordine fu eseguito tanto più facilmente in quanto l'indiano, che aveva compiuto il rapimento appena uscito di prigione, non aveva nessun'arma per difendersi. La principessa del Bengala, liberata dalla persecuzione dell'indiano, cadde in un'altra che non fu meno dolorosa per lei. Il sultano, dopo averle fatto dare un cavallo, la portò al suo palazzo, le assegnò l'appartamento più splendido dopo il suo, e le diede un gran numero di schiave che le stessero accanto e la servissero, e degli eunuchi per difenderla. La accompagnò lui stesso in quell'appartamento dove, senza darle il tempo di ringraziarlo, così come lei aveva pensato, per il grande servigio che le aveva reso, le disse: - Principessa, sono certo che avete bisogno di riposo; vi lascio libera di coricarvi. Domani sarete in condizioni migliori per raccontarmi le circostanze della strana avventura che vi è capitata. Dette queste parole si ritirò. La principessa del Bengala era in preda a una gioia inesprimibile vedendosi, in così poco tempo, liberata dalla persecuzione di un uomo che non poteva considerare se non con orrore; e si lusingò che il sultano di Kashmir avrebbe voluto portare al colmo la sua generosità rimandandola dal principe di Persia quando lei gli avesse detto per quale circostanza era destinata a lui e lo avesse supplicato di concederle questa grazia: ma era ben lontana dal vedere esaudita la speranza che aveva concepito. Infatti il re di Kashmir aveva stabilito di sposarla il giorno dopo e aveva fatto annunciare i festeggiamenti fin dall'alba, al suono dei timpani, dei tamburi, delle trombe e di altri strumenti adatti a ispirare la gioia, che risuonavano non solo nel palazzo ma anche in tutta la città. La principessa del Bengala fu svegliata da questi fragorosi concerti e ne attribuì la causa a tutt'altro motivo di quello per il quale erano stati ordinati. Ma quando il sultano di Kashmir, che aveva dato ordine di avvertire appena lei fosse stata in condizione di riceverlo, si fu recato da lei e quando, dopo essersi informato della sua salute, le ebbe comunicato che le fanfare che sentiva suonavano per rendere più solenni le loro nozze, e nello stesso tempo l'ebbe pregata di prendervi parte, lei ne fu così costernata da cadere svenuta. Le ancelle della principessa, che erano presenti, accorsero in suo aiuto, e il sultano stesso si adoperò per farla rinvenire; ma lei rimase a lungo in quello stato prima di riprendere i sensi. Infine si riebbe e allora, piuttosto che venir meno alla fedeltà che aveva promesso al principe Firuz Shah, acconsentendo alle nozze che il sultano di Kashmir aveva stabilito senza consultarla, prese la decisione di fingere che, a causa dello svenimento, le avesse dato di volta il cervello. Subito cominciò a dire delle stravaganze in presenza del sultano; si alzò anche come per gettarsi su di lui: e il sultano fu molto stupito e addolorato da questo spiacevole contrattempo. Vedendo che lei non accennava a rinsavire, la lasciò con le sue ancelle raccomandando loro di non abbandonarla e di aver molto cura di lei. Durante la giornata si preoccupò di mandare più volte a chiedere sue notizie e ogni volta gli riferirono o che era nello stesso stato o che il male aumentava invece di diminuire. Verso sera il male sembrò molto peggiorato rispetto alla giornata; e quindi il sultano di Kashmir non fu, quella notte, felice come si era ripromesso. La principessa del Bengala continuò non solo il giorno dopo i suoi discorsi stravaganti e a dare altri segni di una grave alienazione mentale: fece la stessa cosa anche i giorni seguenti, finché il sultano di Kashmir fu costretto a riunire i medici della sua corte, a parlare loro della malattia e a chiedere se conoscessero qualche rimedio per guarirla. I medici, dopo essersi consultati tra loro, risposero di comune accordo che esistevano parecchie specie e parecchi stadi di questa malattia, che a volte poteva essere guarita, e altre volte era incurabile; e che essi non potevano giudicare di quale natura fosse quella della principessa del Bengala se non l'avessero prima vista. Il sultano ordinò agli eunuchi di introdurli nella camera della principessa, gli uni dopo gli altri, secondo il loro grado. La principessa aveva previsto quanto stava accadendo, e temette che, se si fosse lasciata avvicinare dai medici e se questi le avessero tastato il polso, anche il meno esperto si sarebbe accorto che era in buona salute e che la sua malattia era una finzione; via via che essi entravano, fingeva degli attacchi di collera così violenti, pronta a sfigurarli se si fossero avvicinati, che neppure uno di loro ebbe il coraggio di esporvisi. I medici che si consideravano più abili degli altri e che si vantavano di riconoscere le malattie anche a prima vista, le prescrissero delle pozioni che lei ebbe tanto meno difficoltà a prendere in quanto era sicura di potere essere ammalata finché avesse voluto e finché lo giudicasse opportuno, e che queste pozioni non potevano farle male. Quando il sultano di Kashmir vide che i medici della sua corte non avevano fatto niente per la guarigione della principessa, chiamò quelli della sua capitale, la cui scienza, abilità ed esperienza non ebbero miglior successo. Poi fece chiamare i medici delle altre città del suo regno, particolarmente i più rinomati nell'esercizio della loro professione. La principessa non fece loro una migliore accoglienza che ai primi, e tutto quello che essi le prescrissero non ebbe nessun effetto. Infine mandò dei corrieri negli Stati, nei regni e nelle corti dei principi vicini con messaggi nelle debite forme da distribuire ai medici più celebri, con la promessa di ben pagare il viaggio di quelli che si sarebbero recati nella capitale del Kashmir e di una magnifica ricompensa per colui che avrebbe guarito la malata. Parecchi di questi medici intrapresero il viaggio; ma nemmeno uno poté vantarsi di essere stato più fortunato di quelli della corte e del regno del sultano di Kashmir; nemmeno uno poté farla rinsavire; cosa che non dipendeva né da loro né dallo loro scienza, ma solo dalla volontà della principessa. Nel frattempo il principe Firuz Shah, travestito da derviscio, aveva percorso parecchie province e le principali città di queste province, tanto più preoccupato, senza tener conto delle fatiche del viaggio, in quanto ignorava se stesse percorrendo una strada opposta a quella che avrebbe dovuto prendere per avere notizie di colei che cercava. Facendo attenzione alle notizie che circolavano in ogni posto per il quale passava, arrivò infine in una grande città delle Indie dove si parlava molto di una principessa del Bengala alla quale aveva dato di volta il cervello lo stesso giorno che il sultano di Kashmir aveva destinato alla celebrazione delle sue nozze con lei. Nel sentire il nome di principessa del Bengala, supponendo che fosse quella per la quale aveva intrapreso il suo viaggio, maggiormente perché, a quanto sapeva, alla corte del Bengala non esisteva un'altra principessa oltre la sua, e prestando fede alla voce comune che si era diffusa, si diresse verso il regno e la capitale di Kashmir. Al suo arrivo in questa capitale prese alloggio in un "khan" dove, lo stesso giorno, seppe la storia della principessa del Bengala e la triste fine dell'indiano (come si era meritato) che l'aveva portata lì sul cavallo incantato: circostanze che gli fecero capire, con assoluta certezza, che la principessa era colei che stava cercando, e infine, l'inutile spesa che il sultano aveva fatto per pagare i medici che non erano riusciti a guarirla. Il principe di Persia, informato di tutti questi particolari, il giorno dopo si fece fare un vestito da medico: e, con questo vestito e la lunga barba che si era lasciato crescere durante il viaggio, si presentò come medico, facendosi notare per le strade della città. Impaziente com'era di vedere la sua principessa, non indugiò ad andare al palazzo del sultano, dove chiese di parlare con un ufficiale. Lo indirizzarono al capo degli uscieri al quale disse che forse potevano considerarlo temerario se veniva a presentarsi come medico per cercare di guarire la principessa dopo che tanti altri prima di lui non c'erano riusciti: ma che sperava, in virtù di alcuni rimedi specifici che conosceva e che aveva sperimentato, di procurarle la guarigione che gli altri non avevano potuto darle. Il capo degli uscieri gli disse che era il benvenuto e che il sultano lo avrebbe visto con piacere; e che, se fosse riuscito a dargli la soddisfazione di vedere la principessa ristabilita come prima, poteva aspettarsi una ricompensa adeguata alla liberalità del sultano, suo signore e padrone. - Aspettatemi, - aggiunse, - torno da voi fra un momento. Da parecchio tempo non si era presentato nessun medico: e il sultano di Kashmir, con grande dolore, aveva perso la speranza di rivedere la principessa del Bengala nello stato di salute in cui l'aveva vista la prima volta e di poterle così dimostrare, sposandola, fino a che punto l'amava. Questo fece sì che egli ordinasse al capo degli uscieri di portargli subito il medico che gli aveva annunciato. Il principe di Persia, travestito da medico, fu presentato al sultano di Kashmir, e il sultano, senza perdere tempo in inutili discorsi, dopo avergli dichiarato che la principessa del Bengala non poteva sopportare la vista di un medico senza essere presa da eccessi nervosi che servivano solo ad aggravare il suo male, lo fece salire in un soppalco dal quale poteva vederla attraverso una persiana senza essere visto. Il principe Firuz Shah salì e vide la sua bella principessa seduta con noncuranza, intenta a cantare con le lacrime agli occhi una canzone con la quale deplorava il suo infelice destino che forse la privava per sempre dell'uomo che amava così teneramente. Il principe, commosso per il triste stato in cui vide la sua cara principessa, non ebbe bisogno di altro per capire che la sua malattia era finta e che si trovava in una costrizione tanto penosa per amor suo. Scese dallo stanzino; e, dopo aver informato il sultano di quale natura fosse la malattia della principessa e averlo assicurato che non era incurabile, gli disse che, per riuscire a guarirla, doveva parlarle in privato e da solo a solo; e, quanto agli attacchi che l'affliggevano alla vista dei medici, egli sperava che lei lo avrebbe ricevuto e ascoltato favorevolmente. Il sultano fece aprire la porta della camera della principessa e il principe Firuz Shah entrò. Appena la principessa lo vide apparire, scambiandolo per un medico dato che ne indossava il vestito, si alzò come una furia minacciandolo e caricandolo di ingiurie. Questo non gli impedì di avvicinarsi a lei; e, quando le fu abbastanza vicino per ben intendersi, poiché voleva essere sentito solo da lei, le disse in tono basso e con aria rispettosa: - Principessa, io non sono medico. Riconoscete, ve ne supplico il principe di Persia che viene a liberarvi. Riconoscendo insieme la voce e i lineamenti del viso del principe, nonostante la lunga barba che si era lasciato crescere, la principessa del Bengala si calmò: e subito fece apparire sul suo viso la gioia che la cosa che più si desidera e meno ci si aspetta è capace di provocare. La piacevole sorpresa che provò le tolse la parola per qualche tempo e diede modo al principe Firuz Shah di raccontarle la disperazione che aveva provato nel momento in cui aveva visto l'indiano rapirla e sottrarla al suo sguardo; la decisione che egli aveva subito preso di abbandonare ogni cosa per cercarla in qualunque posto della terra potesse essere, e di continuare a cercarla finché non l'avesse trovata e strappata dalle mani del perfido; e per quale fortuna, infine, dopo un viaggio noioso e stancante, egli avesse avuto la soddisfazione di ritrovarla nel palazzo del sultano di Kashmir. Quando ebbe finito con il minor numero di parole possibile, egli pregò la principessa di informarlo di quello che le era capitato dal momento in cui era stata rapita fino al momento in cui egli aveva la felicità di parlarle, dichiarandole che voleva conoscere tutto al fine di prendere i provvedimenti necessari per non lasciarla ancora più a lungo sotto la tirannia del sultano di Kashmir. La principessa del Bengala non doveva fare un lungo discorso al principe di Persia, poiché doveva soltanto raccontargli in che modo il sultano di Kashmir, che tornava dalla caccia, l'aveva salvata dalla violenza dell'indiano, ma come fosse stata trattata crudelmente il giorno dopo, quando il sultano le aveva comunicato la sua precipitosa decisione di sposarla quello stesso giorno, senza averle fatto la cortesia di chiederle il suo consenso; condotta violenta e tirannica, che le aveva causato uno svenimento dopo il quale lei non aveva trovato miglior partito da prendere per restare fedele al principe al quale aveva dato il suo cuore, se non quello di morire piuttosto che darsi a un sultano che non amava e non poteva amare. Il principe di Persia, al quale la principessa non aveva in effetti altro da dire, le chiese se sapeva che fine avesse fatto il cavallo incantato dopo la morte dell'indiano. - Ignoro, - rispose lei, - che ordine il sultano può aver dato a questo proposito; ma, dopo quanto gli ho detto del cavallo, immagino che non lo abbia trascurato. Il principe Firuz Shah, non dubitando che il sultano di Kashmir avesse fatto custodire accuratamente il cavallo, comunicò alla principessa la sua intenzione di servirsene per riportarla in Persia. Dopo essersi messo d'accordo con lei sui provvedimenti da prendere per riuscirvi affinché niente ne impedisse l'esecuzione, e dopo averle caldamente raccomandato di non farsi trovare il giorno dopo in vestaglia, come era in quel momento, per ricevere degnamente il sultano, quando egli lo avrebbe portato nel suo appartamento, senza essere tuttavia costretta a parlargli, il principe di Persia si ritirò. Il sultano di Kashmir provò una grande gioia quando il principe di Persia lo ebbe informato di quello che aveva fatto fin dalla prima visita per portare verso la guarigione la principessa del Bengala. Il giorno dopo, lo considerò il primo medico del mondo, quando la principessa lo ebbe ricevuto in maniera tale da convincerlo che veramente la sua guarigione era a buon punto, come egli gli aveva lasciato intendere. Trovandola in questo stato, egli si accontentò di dichiararle quanto fosse felice di vederla in condizione di riacquistare ben presto la sua buona salute; e, dopo averla esortata a collaborare con un medico tanto abile, per portare a termine quello che egli aveva tanto bene iniziato, dandogli tutta la fiducia, si ritirò senza aspettare da lei nessuna risposta. Il principe di Persia, che aveva accompagnato il sultano di Kashmir, uscì con lui dalla camera della principessa; e, accompagnandolo, gli chiese se, senza venir meno al rispetto che gli era dovuto, poteva chiedergli per quale avventura una principessa del Bengala si trovasse sola nel regno di Kashmir, così lontana dal suo paese, come se lo avesse ignorato e la principessa non gli avesse detto niente; egli rivolse questa domanda per far cadere il discorso sul cavallo incantato e sapere dalle sue labbra che cosa ne avesse fatto. Il sultano di Kashmir, che non poteva immaginare per quale motivo il principe di Persia gli rivolgesse quella domanda, non ne fece un mistero: gli disse all'incirca quanto aveva saputo dalla principessa del Bengala; e, in quanto al cavallo incantato, gli disse di averlo fatto portare nel suo tesoro, come una grande rarità, sebbene ignorasse come potersene servire. - Sire, - rispose il finto medico, - le notizie che apprendo da Vostra Maestà mi forniscono il mezzo per guarire completamente la principessa. Poiché lei è stata portata su questo cavallo, e questo cavallo è incantato, lei è sotto l'effetto dell'incantesimo che può essere dissipato solo con certi profumi che conosco. Sire, se volete avere questo piacere, e offrire uno dei più sorprendenti spettacoli alla vostra corte e al popolo della vostra capitale, domani dovrete far portare il cavallo in mezzo alla piazza, davanti al vostro palazzo e affidarvi a me per il resto: prometto di mostrare ai vostri occhi e a quelli di tutta l'assemblea, in pochissimi istanti, la principessa del Bengala tanto sana di mente e di corpo come non è mai stata in vita sua; e affinché la cosa avvenga con tutto lo sfarzo necessario, è opportuno che la principessa indossi un magnifico vestito e si orni con i gioielli più preziosi di Vostra Maestà. Il sultano di Kashmir avrebbe fatto cose ben più ardue di quelle che gli proponeva il principe di Persia, per giungere al compimento dei suoi desideri, che egli considerava così imminente. Il giorno dopo, il cavallo incantato fu preso dal tesoro per ordine del sultano e messo di buon mattino nella grande piazza del palazzo; e presto si diffuse la voce in tutta la città che si stava preparando nella piazza qualcosa di straordinario, e tutto il popolo vi accorse da ogni quartiere. Le guardie del sultano si disposero nella piazza per impedire il disordine e lasciare un grande vuoto intorno al cavallo. Il sultano di Kashmir apparve; e, quando ebbe preso posto su un palco circondato dai più importanti signori e ufficiali di corte, la principessa del Bengala, accompagnata da tutte le ancelle che il sultano le aveva assegnato, si avvicinò al cavallo incantato, e le sue ancelle l'aiutarono a salire in sella. Quando si fu sistemata, con i piedi nelle staffe e una briglia in mano, il finto medico fece disporre intorno al cavallo parecchie pentoline piene di fuoco; e, girandovi intorno, gettò in ognuna di esse un profumo composto di parecchi aromi tra i più squisiti. Poi, raccolto in sé stesso, con gli occhi bassi e le mani sul petto, girò tre volte intorno al cavallo, facendo finta di pronunciare delle parole; e, nel momento in cui le pentoline cominciarono insieme a esalare un fumo molto denso e profumatissimo, che circondava la principessa in modo che si faticava a vedere sia lei sia il cavallo, egli scelse il momento opportuno, si gettò agilmente in sella, dietro la principessa, portò la mano sul cavicchio per la partenza e lo girò; e, nel momento in cui il cavallo li sollevava entrambi in aria, pronunciò a voce alta queste parole così distintamente che il sultano stesso le sentì: - Sultano di Kashmir, quando vorrai sposare delle principesse che implorano la tua protezione, impara prima a chiedere il loro consenso. Fu così che il principe di Persia ritrovò e liberò la principessa del Bengala e quello stesso giorno la riportò in poco tempo nella capitale della Persia, dove non scese nel palazzo di campagna, ma in mezzo al palazzo reale, davanti all'appartamento del re suo padre; e il re di Persia non rimandò la solennità del matrimonio di suo figlio con la principessa del Bengala se non il tempo necessario per i preparativi, allo scopo di rendere la cerimonia più fastosa e di dimostrare meglio la sua gioia. Appena il numero dei giorni stabiliti per i festeggiamenti fu passato, il primo pensiero del re di Persia fu di nominare e inviare una solenne ambasciata al re del Bengala per riferirgli tutto quanto era successo e per chiedergli l'approvazione e la ratificazione della parentela che aveva contratto con lui per mezzo di questo matrimonio; ratificazione che il re del Bengala, ben informato di tutto, ebbe l'onore e il piacere di accordare.