STORIA DI ALADINO O DELLA LAMPADA MERAVIGLIOSA.

Nella capitale di un regno della Cina, ricchissimo e vastissimo, il cui nome in questo momento mi sfugge, viveva un sarto di nome Mustafà, che altra distinzione non aveva tranne quella datagli dal suo mestiere. Mustafà il sarto era poverissimo, e il suo lavoro gli procurava a malapena lo stretto necessario per far vivere lui, sua moglie e un figlio che Dio gli aveva mandato. Il figlio, che si chiamava Aladino, era stato educato in maniera molto trascurata, e questo lo aveva spinto a prendere cattive abitudini. Era ribelle, testardo, disubbidiente con il padre e con la madre. Appena ebbe raggiunto l'età della ragione, i suoi genitori non riuscirono più a trattenerlo in casa; usciva la mattina e passava le giornate a giocare nelle strade e nelle pubbliche piazze, in compagnia di piccoli vagabondi anche più giovani di lui. Appena fu in età di imparare un mestiere, suo padre, che non era in condizione di insegnargliene un altro diverso dal suo, lo prese nella sua bottega e cominciò a mostrargli come doveva maneggiare l'ago, ma né con la dolcezza né con la minaccia di alcun castigo gli fu possibile rendere attenta la volubile mente del figlio: non riuscì a costringerlo a frenarsi e a diventare assiduo e attaccato al lavoro, come sperava. Appena Mustafà gli girava le spalle, Aladino se ne scappava senza tornare più per tutto il giorno. Il padre lo puniva; ma Aladino era incorreggibile, e, con grande rammarico, Mustafà fu costretto ad abbandonarlo al suo vagabondaggio. Questo lo fece soffrire molto; e il dolore di non poter far tornare il figlio al proprio dovere gli causò una malattia così ostinata, che dopo qualche mese ne morì. La madre di Aladino, vedendo che il figlio non prendeva la via di imparare il mestiere di suo padre, chiuse la bottega e, con il denaro ricavato dalla vendita di tutti gli arnesi del mestiere, insieme con quel poco che guadagnava filando il cotone, provvedeva a mantenere sé stessa e il figlio. Aladino, che non era più trattenuto dal timore del padre e si preoccupava così poco della madre che aveva perfino il coraggio di minacciare alla minima rimostranza che lei gli faceva, si abbandonò allora a un pieno vagabondaggio. Frequentava sempre più i ragazzi della sua età e non smetteva di giocare con loro, con più accanimento di prima. Continuò questo tipo di vita fino all'età di quindici anni, senza sentire interesse per niente, e senza riflettere a cosa sarebbe stato un giorno di lui. Era in questa situazione, quando un giorno, mentre giocava in mezzo a una piazza con un gruppo di vagabondi, come era solito fare, uno straniero che passava per quella piazza si fermò a guardarlo. Questo straniero era un famoso mago, che gli autori di questa storia chiamano mago africano: così lo chiameremo, tanto più volentieri in quanto era davvero nato in Africa ed era arrivato solo da due giorni. Forse perché il mago africano, che s'intendeva di fisionomie, aveva notato sul viso di Aladino tutto ciò che era assolutamente necessario all'esecuzione del piano che costituiva il motivo del suo viaggio, o per qualche altra ragione, si informò abilmente della sua famiglia, di chi fosse e delle sue inclinazioni. Quando ebbe saputo tutto quello che voleva, si avvicinò al giovanetto; e, tirandolo in disparte a qualche passo dai suoi compagni, gli chiese:
Figlio mio, vostro padre è per caso Mustafà il sarto?
Sì signore,
rispose Aladino;
ma è morto da molto tempo. A queste parole, il mago africano si gettò al collo di Aladino, lo abbracciò e lo baciò più volte, con le lacrime agli occhi ed emettendo sospiri. Aladino, notando le sue lacrime, gli chiese perché piangesse.
Ah! figlio mio,
esclamò il mago africano,
come potrei farne a meno? Io sono vostro zio, e vostro padre era il mio buon fratello. Sono in viaggio da molti anni e, nel momento in cui arrivo qui con la speranza di rivederlo e dargli la gioia del mio ritorno, voi mi dite che è morto. Vi assicuro che è un gran dolore per me vedermi privato della consolazione che mi aspettavo. Ma in parte il mio dolore è alleviato dal fatto che, per quanto posso ricordarmene, io riconosco i suoi lineamenti sul vostro viso, e vedo che non mi sono ingannato rivolgendomi a voi. Chiese ad Aladino, portando la mano alla borsa, dove abitasse sua madre. Subito Aladino rispose alla sua domanda, e allora il mago africano gli diede una manciata di spiccioli, dicendogli:
Figlio mio, andate da vostra madre, presentatele i miei omaggi e ditele che, se il tempo me lo consente, andrò a trovarla domani per avere la consolazione di vedere il posto in cui mio fratello è vissuto per tanto tempo e dove ha finito i suoi giorni. Appena il mago africano ebbe lasciato il nipote che si era egli stesso creato, Aladino corse dalla madre, ben felice per il denaro datogli dallo zio.
Mamma,
le disse arrivando
vi prego di dirmi se ho uno zio.
No, figlio mio,
gli rispose mia madre,
non avete nessuno zio, né da parte del defunto vostro padre, né da parte mia.
Tuttavia,
rispose Aladino,
ho appena visto un uomo che si dichiara mio zio da parte di mio padre, poiché è suo fratello, a quanto mi ha assicurato; si è anche messo a piangere e ad abbracciarmi quando gli ho dato la notizia che mio padre era morto. E, per dimostrarvi che dico la verità,
aggiunse facendole vedere gli spiccioli che aveva avuti,
guardate che cosa mi ha dato. Mi ha anche incaricato di salutarvi da parte sua e di dirvi che domani, se ne avrà il tempo, verrà a trovarvi, per vedere insieme la casa in cui mio padre è vissuto e morto.
Figlio mio,
replicò la madre,
è vero che vostro padre aveva un fratello; ma è morto da molto tempo, e non gli ho mai sentito dire che ne avesse un altro.
Non dissero di più sul mago africano. Il giorno dopo, il mago africano si avvicinò una seconda volta ad Aladino, mentre giocava in un'altra parte della città con altri ragazzi. Lo abbracciò, come aveva fatto il giorno prima; e mettendogli due monete d'oro in mano, gli disse:
Figlio mio, portatele a vostra madre; ditele che verrò a trovarla stasera e che compri il necessario per la cena, per mangiare insieme; ma indicatemi prima la strada di casa.
Egli gliela indicò e il mago africano lo lasciò andare. Aladino portò le due monete d'oro alla madre, e, appena le ebbe riferito l'intenzione dello zio, lei uscì per andare a spenderle e tornò con delle buone provviste; e poiché non aveva buona parte del vasellame di cui aveva bisogno, lo chiese in prestito ai vicini. Impiegò tutta la giornata per preparare la cena; e, verso sera, quando tutto fu pronto, disse ad Aladino:
Figlio mio, forse vostro zio non sa dov'è la nostra casa; andategli incontro e, se lo trovate, accompagnatelo qui. Sebbene Aladino avesse indicato la casa al mago africano, tuttavia stava per uscire quando bussarono alla porta. Aladino aprì e riconobbe il mago africano, che entrò carico di bottiglie di vino e di parecchie qualità di frutta che portava per la cena. Dopo aver messo ciò che portava fra le mani di Aladino, salutò la madre e la pregò di mostrargli il posto che suo fratello Mustafà aveva l'abitudine di occupare sul divano. Lei glielo mostrò; e subito il mago si prosternò e baciò ripetutamente quel posto, con le lacrime agli occhi, esclamando:
Mio povero fratello! Come sono disgraziato a non essere arrivato in tempo per abbracciarvi ancora una volta prima della vostra morte! Sebbene la madre di Aladino lo pregasse di farlo, egli non volle mai sedersi in quello stesso posto.
No,
disse,
me ne guarderò bene; ma permettetemi di mettermi qui, proprio di fronte, affinché, se sono privo della soddisfazione di vederlo di persona, come padre di una famiglia che mi è tanto cara, possa almeno fare come se fosse presente. La madre di Aladino non insistette e lo lasciò libero di sedersi dove voleva. Quando il mago africano si fu seduto al posto che aveva scelto, cominciò a conversare con la madre di Aladino.
Mia buona sorella,
le diceva,
non vi stupite di non avermi visto per tutto il tempo che siete stata sposata con mio fratello Mustafà, di felice memoria; ho lasciato da quarant'anni questo paese che è il mio come era quello del defunto mio fratello. Da allora, dopo aver viaggiato nelle Indie in Persia, in Arabia, in Siria, in Egitto, e soggiornato nelle più belle città di quei paesi, passai in Africa dove ho abitato più a lungo. Alla fine, poiché è naturale che l'uomo, per lontano che sia dal suo paese natale, non lo dimentichi mai, così come non dimentica i suoi parenti e quelli che l'hanno allevato, mi è venuto il desiderio tanto forte di rivedere il mio paese e di venire ad abbracciare il mio caro fratello, quando avevo ancora la forza e il coraggio sufficienti per intraprendere un viaggio così lungo, che non ho indugiato a fare i miei preparativi e a mettermi in viaggio. Non vi dico niente di tutto il tempo che ci ho messo, di tutti gli ostacoli che ho incontrato e di tutte le fatiche che ho sopportato per arrivare fin qui; vi dirò solo che niente mi ha tanto mortificato e addolorato, nel corso di tutti i miei viaggi, quanto il venire a sapere della morte di un fratello che avevo sempre amato e amavo con affetto veramente fraterno. Ho notato i suoi lineamenti sul volto di mio nipote vostro figlio, e questo me lo ha fatto distinguere fra tutti gli altri ragazzi con i quali era in compagnia. Egli vi avrà detto in che modo ho avuto la triste notizia che mio fratello non era più al mondo; ma bisogna lodare Dio per tutte le cose. Mi consolo di ritrovarlo in un figlio che ne conserva i lineamenti più notevoli. Il mago africano, accorgendosi che la madre di Aladino si commuoveva al ricordo del marito, rinnovando il suo dolore, cambiò discorso e, rivolgendosi ad Aladino, gli chiese il suo nome.
Mi chiamo Aladino,
gli rispose.
Ebbene, Aladino,
riprese il mago,
di che cosa vi occupate? Conoscete qualche mestiere? A questa domanda, Aladino abbassò gli occhi e rimase sconcertato; ma sua madre, rispondendo al suo posto, disse:
Aladino è un fannullone. Suo padre ha fatto tutto il possibile, mentre era in vita, per insegnargli il suo mestiere, e non è potuto giungere a niente. Da quando il padre è morto, nonostante tutto quello che ho potuto dirgli e ripetergli ogni giorno, egli non fa altro mestiere salvo quello del vagabondo e passa tutto il tempo a giocare con i ragazzi, come voi avete visto, senza considerare che non è più un bambino; e se voi non gli fate una ramanzina ed egli non ne approfitta, dispero che possa mai valere qualcosa. Egli sa che suo padre non ha lasciato nessun bene; e vede benissimo che, filando cotone per tutto il giorno, come faccio io, a malapena riesco a guadagnare di che procurarci un po' di pane. Quanto a me, sono decisa a chiudergli la porta in faccia uno di questi giorni, e a mandarlo a cercarne altrove. Quando la madre di Aladino ebbe detto queste parole scoppiando a piangere, il mago africano disse ad Aladino:
Questo non sta bene, nipote mio; dovete pensare ad aiutare voi stesso e a guadagnarvi la vita. Ci sono mestieri di ogni tipo; guardate se ce n'è qualcuno al quale siete più portato che agli altri. Forse quello di vostro padre non vi piaceva e vi adattereste meglio a un altro; non dissimulate i vostri sentimenti con me, io cerco solo di aiutarvi.
Vedendo che Aladino non rispondeva, aggiunse:
Se siete contrario a imparare un mestiere, e volete essere un uomo onesto, io vi aprirò una bottega di ricche stoffe e tele fini; vi metterete in condizione di venderle e, con il denaro che guadagnerete, comprerete altre mercanzie, e in questo modo vivrete onorevolmente. Pensateci su e ditemi francamente che cosa ve ne pare; mi troverete sempre pronto a mantenere la mia promessa. Questa offerta allettò molto Aladino, al quale non piaceva il lavoro manuale, tanto più che gli risultava che le botteghe di questa specie di mercanzie erano eleganti e frequentate, e che i mercanti erano ben vestiti e molto considerati. Dichiarò al mago africano, che lui credeva suo zio, che la sua inclinazione lo portava a questo tipo di lavoro più che a ogni altro, e che gli sarebbe stato riconoscente per tutta la vita del bene che voleva fargli.
Poiché questa professione vi piace,
riprese il mago africano,
domani mattina vi porterò con me, e vi farò vestire con decoro ed eleganza, secondo la condizione di uno dei più importanti mercanti di questa città; e, dopodomani, penseremo ad aprire una bottega come dico io. La madre di Aladino, che fino ad allora non aveva creduto che il mago africano fosse fratello di suo marito, non ne ebbe più nessun dubbio dopo tutto il bene che egli prometteva di fare a suo figlio. Lo ringraziò delle sue buone intenzioni e dopo aver esortato Aladino a rendersi degno di tutti i beni che suo zio gli faceva sperare, servì la cena. La conversazione si aggirò sullo stesso argomento per tutta la durata della cena, finché il mago, vedendo che la notte era inoltrata, prese congedo dalla madre e dal figlio e si ritirò. La mattina dopo, il mago africano non mancò di ritornare dalla vedova di Mustafà il sarto, come aveva promesso. Prese Aladino con sé e lo portò da un ricco mercante, che vendeva solo abiti già confezionati di ogni tipo di belle stoffe, per le diverse età e condizioni. Se ne fece mostrare di adatti alla statura di Aladino, e, dopo aver messo da parte tutti quelli che gli piacevano di più e scartato gli altri che non erano belli come voleva, disse ad Aladino:
Nipote mio, scegliete fra tutti questi abiti quello che più vi piace. Aladino, incantato dalle prodigalità del nuovo zio, ne scelse uno, il mago lo comprò insieme con tutti gli accessori, e pagò il tutto senza mercanteggiare. Quando si vide così splendidamente vestito da capo a piedi Aladino rivolse allo zio tutti i ringraziamenti immaginabili; e il mago gli promise ancora una volta di non abbandonarlo e di tenerlo sempre con sé. Infatti, lo portò nei posti più frequentati della città, soprattutto in quelli dove si trovavano le botteghe dei ricchi mercanti; e, arrivati nella via dove c'erano le botteghe delle più ricche stoffe e di tele fini disse ad Aladino:
Poiché sarete presto mercante come questi che vedete, è bene che voi li frequentiate e che essi vi conoscano. Gli fece anche vedere le moschee più belle e più grandi lo portò nei "khan" dove alloggiavano i mercanti stranieri, e in tutti i posti del palazzo del sultano dov'era consentito entrare. Infine, dopo aver percorso insieme tutti i bei luoghi della città, arrivarono nel "khan" dove il mago aveva preso un appartamento. Trovarono alcuni mercanti con i quali aveva cominciato a fare amicizia dopo il suo arrivo e che aveva espressamente riuniti per offrire loro un buon banchetto e, nello stesso tempo, presentare loro il suo preteso nipote. Il banchetto finì solo verso sera. Aladino volle congedarsi dallo zio per tornarsene a casa; ma il mago africano non volle lasciarlo andare solo e lo riaccompagnò dalla madre. Appena la donna vide suo figlio così ben vestito, fu estasiata dalla gioia; e non smetteva di rivolgere mille benedizioni al mago che aveva sostenuto una così forte spesa per suo figlio.
Generoso parente,
gli disse,
non so come ringraziarvi per la vostra prodigalità. Io so che mio figlio non merita il bene che gli fate e che sarebbe assolutamente indegno se non vi sarà riconoscente e se trascurerà di rispondere alla buona intenzione che avete di dargli una professione così dignitosa. Quanto a me,
aggiunse,
ve ne ringrazio ancora di tutto cuore, e vi auguro una vita abbastanza lunga da poter essere testimone della riconoscenza di mio figlio, che non può dimostrarvela meglio se non comportandosi secondo i vostri buoni consigli.
Aladino,
rispose il mago africano,
è un buon ragazzo, mi sta abbastanza a sentire, e credo che ne faremo qualcosa di buono. Mi dispiace solo di non poter fare domani quello che gli avevo promesso. E' venerdì, le botteghe saranno chiuse e non sarà possibile prenderne una in affitto e arredarla, mentre i mercanti penseranno solo a divertirsi. Perciò rimanderemo la cosa a sabato, ma domani verrò a prenderlo per portarlo a passeggio nei giardini dove il bel mondo è solito incontrarsi. Forse non ha ancora visto come ci si diverte lì. Finora ha frequentato solo dei bambini, deve vedere degli uomini. Il mago africano prese congedo dalla madre e dal figlio, e se ne andò. Intanto Aladino, che era già molto contento vedendosi così ben vestito, pregustò anche la gioia della passeggiata nei giardini appena fuori della città. Infatti, non era mai uscito dalle porte e non aveva mai visto i dintorni, che erano molto belli e ridenti. Il giorno dopo, Aladino si alzò e si vestì di buon mattino, per essere pronto a uscire quando lo zio sarebbe venuto a prenderlo. Dopo un'attesa che gli sembrò molto lunga, l'impazienza lo spinse ad aprire la porta e a restare sulla soglia per vedere se stesse arrivando. Appena lo vide avvertì la madre; e, salutandola, chiuse la porta e corse verso di lui per raggiungerlo. Il mago africano fece molta festa ad Aladino, quando lo vide.
Andiamo, caro ragazzo,
gli disse con aria sorridente,
oggi vi farò vedere delle belle cose. Lo fece uscire da una porta della città che portava a delle case belle e grandi, o meglio a magnifici palazzi, ognuno dei quali aveva bellissimi giardini il cui ingresso era libero. A ogni palazzo che incontravano, il mago chiedeva ad Aladino se gli sembrasse bello; e Aladino, prevenendolo appena ne vedeva un altro, diceva:
Zio, questo è più bello di quelli che abbiamo già visti. Intanto, continuavano a inoltrarsi sempre più nella campagna; e l'astuto mago, che voleva spingersi più lontano per mettere in atto il disegno che aveva in mente, colse l'occasione per entrare in uno di questi giardini. Si sedette accanto a una grande fontana, la cui acqua limpidissima scorreva da una bocca di leone di bronzo, e finse di essere stanco per far riposare Aladino.
Nipote mio,
gli disse,
dovete essere stanco come lo sono io; riposiamoci qui per riprendere le forze; avremo più animo per continuare la nostra passeggiata. Quando si furono seduti, il mago africano tirò fuori da un panno legato alla sua cintura dei dolci e parecchie qualità di frutta di cui aveva fatto provvista, e lo stese sull'orlo della vasca. Divise un dolce a metà con Aladino e, quanto alla frutta, lo lasciò libero di scegliere quella che più gli piaceva. Durante questa merendina, diede al preteso nipote molti consigli che tendevano a esortarlo a staccarsi dalla compagnia dei ragazzi e ad avvicinarsi piuttosto agli uomini saggi e prudenti, ad ascoltarli e ad avvalersi dei loro discorsi.
Tra non molto sarete uomo come loro,
gli diceva,
e non sarà mai troppo presto perché vi abituiate a dire cose sagge, seguendo il loro esempio. Quando ebbero finito di mangiare, si alzarono e ripresero a passeggiare attraverso i giardini che erano separati gli uni dagli altri soltanto da fossatelli che ne segnavano i limiti, ma che non impedivano il passaggio. La buona fede faceva sì che i cittadini di quella capitale non prendessero precauzioni più grandi per impedire di nuocersi a vicenda. A poco a poco, il mago africano portò Aladino molto lontano, oltre i giardini, e gli fece attraversare dei campi che lo portarono quasi vicino alle montagne. Aladino, che in vita sua non aveva mai percorso tanta strada, si sentì stanchissimo di una così lunga passeggiata.
Zio,
disse al mago africano,
dove andiamo? Abbiamo lasciato i giardini molto dietro di noi, e vedo solo montagne. Se andiamo ancora avanti, non so se avrò la forza sufficiente per ritornare fino in città.
Fatevi coraggio, nipote mio,
gli disse il falso zio, voglio farvi vedere un altro giardino che supera tutti quelli che avete visto fino ad ora; non è lontano da qui, sono soltanto pochi passi; e, quando vi saremo arrivati, voi stesso mi direte se non vi sarebbe dispiaciuto di non averlo visto, dopo esserci arrivato tanto vicino. Aladino si lasciò convincere, e il mago lo fece camminare ancora a lungo, raccontandogli diverse storie divertenti, per rendergli la strada meno noiosa e la stanchezza più sopportabile. Arrivarono infine fra due montagne, non molto alte e quasi uguali separate da una valle molto stretta. Era questo il fatidico posto dove il mago aveva voluto portare Aladino per attuare di un grande progetto che l'aveva fatto venire dall'estremità dell'Africa fino in Cina.
Ci fermiamo qui,
disse ad Aladino,
voglio farvi vedere delle cose straordinarie e sconosciute a tutti i mortali; e, quando le avrete viste, mi ringrazierete di essere stato testimone di tante meraviglie che nessuno, tranne voi, avrà viste. Mentre io batto l'acciarino, raccogliete i fuscelli più secchi che troverete per accendere il fuoco. C'era una così grande quantità di sterpaglia, che Aladino ne raccolse presto un mucchio più che sufficiente, mentre il mago accendeva l'esca. Vi diede fuoco e, nell'istante in cui la sterpaglia s'infiammò, il mago africano vi gettò sopra un profumo che aveva già pronto. S'innalzò un fumo molto denso, che egli sventolò da un lato e dall'altro, pronunciando delle magiche parole, di cui Aladino non capì niente. Nello stesso momento, la terra tremò un po' e si spalancò in quel punto, davanti al mago e ad Aladino, mettendo allo scoperto una pietra quadrata di circa un piede e mezzo di lato e profonda circa un piede, sistemata orizzontalmente con un anello di bronzo conficcato nel mezzo che serviva per sollevarla. Aladino, spaventato da tutto quello che succedeva sotto i suoi occhi, avrebbe voluto fuggire. Ma egli era necessario a quel mistero, e il mago lo trattenne e lo sgridò severamente, dandogli uno schiaffo appioppato con tanta forza, che lo gettò a terra e per poco non gli fece conficcare i denti nelle labbra, come sembrò dal sangue che ne usciva. Il povero Aladino, tutto tremante e con le lacrime agli occhi, esclamò piangendo:
Zio, che cosa ho fatto, dunque, per aver meritato che mi colpiate così brutalmente?
Ho le mie ragioni per farlo,
rispose il mago.
Io sono vostro zio, che ora vi fa da padre, e voi non dovete replicare. Ma, figlio mio,
aggiunse calmandosi,
non avete niente da temere: vi chiedo solo di ubbidirmi esattamente, se volete approfittare e rendervi degno dei grandi favori che voglio farvi.
Queste belle promesse del mago calmarono un po' la paura e il risentimento di Aladino; e, quando il mago lo vide completamente rassicurato, continuò:
Avete visto che cosa ho fatto in virtù del mio profumo e delle parole che ho pronunciato. Ora dovete sapere che, sotto questa pietra che vedete, è nascosto un tesoro che vi è destinato e che un giorno vi renderà più ricco del più grande re della terra. Questo è così vero, che a nessuno al mondo fuorché a voi è permesso toccare questa pietra e sollevarla per entrare: anche a me è proibito toccarla e mettere piede nel nascondiglio del tesoro, quando sarà stato aperto. Perciò è necessario che voi eseguiate alla lettera quello che vi dirò, senza sbagliare: la cosa è della massima importanza, sia per voi che per me. Aladino, sempre in preda allo stupore per ciò che vedeva e per tutto quanto aveva sentito dire dal mago su quel tesoro che avrebbe dovuto renderlo per sempre felice, dimenticò tutto quanto era successo.
Ebbene! zio,
disse al mago alzandosi,
di che si tratta? Ordinate, sono prontissimo a ubbidirvi.
Sono felice, figlio mio,
gli disse il mago africano abbracciandolo,
che abbiate scelto questo partito; venite, avvicinatevi, prendete quest'anello e sollevate la pietra.
Ma, zio,
riprese Aladino,
io non sono abbastanza forte da sollevarla; bisogna che mi aiutiate.
No,
replicò il mago africano,
non avete bisogno del mio aiuto; e, se vi aiutassi, non combineremmo niente né voi né io; dovete sollevarla da solo. Pronunciate solo il nome di vostro padre e di vostro nonno, tenendo l'anello, e tirate: vedrete che la pietra si solleverà senza fatica. Aladino fece come gli aveva detto il mago: sollevò la pietra con facilità e la posò lì accanto. Quando la pietra fu tolta, apparve un sotterraneo profondo tre o quattro piedi, con una porticina e dei gradini per scendere più in basso.
Figlio mio,
disse allora il mago africano ad Aladino,
fate esattamente tutto quello che sto per dirvi. Scendete nel sotterraneo: quando sarete in fondo alla scala che vedete, troverete una porta aperta attraverso la quale entrerete in una grande stanza a volta, divisa in tre grandi sale, una dopo l'altra. In ognuna vedrete, a destra e a sinistra, quattro vasi di bronzo grandi come tini, pieni d'oro e d'argento; ma guardatevi bene dal toccarli. Prima di entrare nella prima sala, sollevatevi il vestito e stringetelo bene intorno alla vita. Quando vi sarete entrato, passate nella seconda sala senza fermarvi e poi nella terza, sempre senza fermarvi. Soprattutto state attento a non avvicinarvi ai muri e a non sfiorarli nemmeno con il vostro vestito, infatti, se li toccaste, morireste immediatamente; perciò vi ho detto di tenerla stretta intorno al corpo. In fondo alla terza sala c'è una porta attraverso la quale entrerete in un giardino pieno di begli alberi, tutti carichi di frutti; camminate diritto e attraversate questo giardino passando per un sentiero che vi porterà a una scala di cinquanta gradini, che arriva a una terrazza. Quando sarete sulla terrazza, vedrete davanti a voi una nicchia e, nella nicchia, una lampada accesa. Prendete la lampada, spegnetela; e, quando avrete gettato il lucignolo e versato il liquido che contiene, mettetevela in seno e portatemela. Non temete di macchiarvi il vestito: il liquido non è olio, e la lampada si asciugherà appena l'avrete svuotata. Se i frutti del giardino vi fanno gola, potete coglierne quanti ne volete; questo non vi è proibito. Dette quelle parole, il mago africano prese un anello che aveva al dito e lo mise al dito di Aladino, dicendogli che serviva a proteggerlo contro tutto quello che poteva capitargli di male, purché avesse osservato attentamente quello che gli aveva ordinato.
Andate, figlio mio,
gli disse dopo avergli dato quelle istruzioni,
scendete con coraggio; tra poco saremo entrambi ricchi per tutta la vita. Aladino saltò con agilità nel sotterraneo e scese fino in fondo ai gradini: trovò le tre sale di cui il mago africano gli aveva fatto la descrizione. Le attraversò con precauzione tanto maggiore in quanto temeva di morire se non avesse accuratamente osservato ciò che gli era stato prescritto. Attraversò il giardino senza fermarsi, salì sulla terrazza, prese la lampada accesa dalla nicchia, gettò il lucignolo e il liquido; poi, vedendola asciutta, se la mise in seno. Scese dalla terrazza e si fermò nel giardino ad ammirarne i frutti, che prima aveva visto solo di sfuggita. Tutti gli alberi del giardino erano carichi di frutti straordinari. Ogni albero ne aveva di diversi colori: ce n'erano di bianchi; di lucenti e trasparenti come il cristallo; di rossi; alcuni più scuri, altri meno; di verdi, di azzurri, di viola, e alcuni che tendevano al giallo; e di molti altri colori. Quelli bianchi erano perle; quelli lucenti e trasparenti, diamanti; quelli rossi più scuri, rubini; quelli meno scuri, rubini balasci; quelli verdi, smeraldi; quelli azzurri, turchesi; quelli viola, ametiste; quelli che tendevano al giallo, zaffiri; e così di seguito. E questi frutti erano tutti di una grandezza e di una perfezione come non si era ancora visto al mondo. Aladino, che non ne conosceva né il pregio né il valore, non fu colpito dalla vista di quei frutti, che non erano di suo gusto come lo sarebbero stati i fichi, l'uva e l'altra eccellente frutta che è comune nella Cina. Non aveva ancora l'età per conoscerne il pregio; pensò che tutti questi frutti fossero solo dei vetri colorati e non valessero di più. Tuttavia, la diversità di tanti bei colori, la bellezza e la grandezza straordinaria di ogni frutto gli diedero il desiderio di coglierne di ogni tipo. Infatti, ne prese parecchi di ogni colore, e se ne riempì le due tasche e le due borse nuovissime comprategli dal mago insieme con il vestito che gli aveva regalato per non fargli indossare niente che non fosse nuovo. E, poiché le due borse non entravano nelle sue tasche già piene, se le legò alla cintura, una su ogni fianco; mise anche dei frutti nelle pieghe della cintura che era di seta, ampia e avvolta parecchie volte intorno alla vita, e li sistemò in modo che non potessero cadere; non dimenticò neppure di mettersene in petto, tra il vestito e la camicia, intorno al corpo. Aladino, così carico, senza saperlo, di tante ricchezze, riprese in fretta la strada delle tre sale per non far attendere troppo a lungo il mago africano; e, dopo averle attraversate con la stessa precauzione di prima, risalì da dove era sceso e si presentò all'ingresso del sotterraneo, dove il mago africano lo aspettava con impazienza. Appena Aladino lo vide, gli disse:
Zio, vi prego di darmi la mano per aiutarmi a salire.
Il mago africano gli rispose:
Figlio mio, datemi prima la lampada; essa potrebbe darvi fastidio.
Scusate, zio,
riprese Aladino,
essa non mi dà fastidio, ve la darò appena sarò salito. Il mago africano si ostinò a volere che Aladino gli mettesse la lampada fra le mani prima di tirarlo fuori dal sotterraneo; e Aladino, che aveva messo sopra alla lampada tutti i frutti di cui si era imbottito in ogni parte, rifiutò assolutamente di dargliela finché non fosse uscito dal sotterraneo. Allora il mago africano, esasperato dalla resistenza del ragazzo, fu preso da una furia spaventosa: gettò un po' del suo profumo sul fuoco che aveva avuto cura di mantenere acceso, e, appena ebbe pronunciato due parole magiche, la pietra che serviva a chiudere l'entrata del sotterraneo si mise da sola al suo posto, con la terra sopra, nella stessa posizione in cui era all'arrivo del mago africano e di Aladino. E' certo che il mago africano non era fratello di Mustafà il sarto, come si era voluto far credere, né, di conseguenza, zio di Aladino. Era veramente africano e in Africa era nato, e poiché quello è un paese in cui si è appassionati di magia più che in ogni altro paese, egli vi si era dedicato fin dalla gioventù e, dopo circa quarant'anni di incantesimi, di operazioni di geomanzia, di fumigazioni e di lettura di libri di magia, era infine arrivato a scoprire che al mondo esisteva una lampada meravigliosa il cui possesso lo avrebbe reso più potente di qualsiasi sovrano dell'universo, se fosse riuscito a entrarne in possesso. Con un'ultima operazione di geomanzia, aveva saputo che questa lampada si trovava in un posto sotterraneo al centro della Cina, nel luogo e con tutte le circostanze che abbiamo raccontato. Totalmente convinto della verità di questa scoperta, era partito dall'estremità dell'Africa, come abbiamo detto; e, dopo un viaggio lungo e faticoso, era arrivato nella città tanto vicina al tesoro, ma, sebbene la lampada fosse sicuramente nel posto che lui conosceva, tuttavia non gli era permesso di prenderla personalmente, né di entrare personalmente nel sotterraneo dove essa si trovava. Era necessario che un altro vi scendesse, andasse a prenderla e gliela mettesse fra le mani. Perciò si era rivolto ad Aladino, che gli era sembrato un ragazzo sprovveduto e adattissimo a rendergli il servigio che si aspettava da lui; e era ben deciso, appena avesse avuto la lampada tra le mani, a fare l'ultima fumigazione che abbiamo detto e a pronunciare le due parole magiche che dovevano avere l'effetto che abbiamo visto, e sacrificare il povero Aladino alla propria cupidigia e alla propria malvagità, così da non avere testimoni. Lo schiaffo dato ad Aladino e l'autorità che aveva preso su di lui altro scopo non avevano se non quello di abituarlo a temerlo e a ubbidirlo esattamente, affinché, quando gli avesse chiesto di dargli la famosa lampada magica, egli gliela consegnasse subito. Ma accadde tutto il contrario di quanto si era proposto. Insomma, egli ricorse alla sua malvagità con tanta precipitazione per sbarazzarsi del povero Aladino, solo perché temeva che, se avesse discusso ancora con lui, qualcuno avrebbe potuto sentirli e rendere pubblico quello che lui voleva tenere ben segreto. Quando il mago africano vide le sue grandi e belle speranze fallite per sempre, altro non poté fare se non tornarsene in Africa, e partì lo stesso giorno. Passò per vie traverse, per non rientrare nella città da cui era uscito con Aladino. Aveva paura, infatti, di essere notato da parecchie persone che potevano averlo visto passeggiare con il ragazzo e ritornare solo. Secondo tutte le apparenze, non si sarebbe più dovuto parlare di Aladino; ma proprio quello che aveva creduto di rovinarlo per sempre, aveva dimenticato di avergli messo al dito un anello che poteva servire a salvarlo. Infatti, questo anello fu la salvezza di Aladino, che non ne conosceva affatto la virtù e c'è da stupirsi che la perdita dell'anello, aggiunta a quella della lampada, non abbia ridotto quel mago all'estrema disperazione. Ma i maghi sono così abituati alle disgrazie e agli avvenimenti contrari ai loro desideri, che non smettono, per tutta la loro vita, di nutrirsi di fumigazioni, di chimere e di visioni. Aladino, che non si aspettava la malvagità del suo falso zio, dopo le affettuosità e il bene che gli aveva fatto, fu preso da uno stupore più facile da immaginare che da descrivere con le parole. Quando si vide sepolto vivo, chiamò mille volte lo zio, gridando che era pronto a dargli la lampada; ma le sue grida erano inutili, e non c'era più modo di essere ascoltato; perciò rimase nelle tenebre e nell'oscurità. Infine, dopo aver dato un po' di tregua alle sue lacrime, scese fino in fondo alla scala del sotterraneo per andare a cercare la luce del giardino che aveva già attraversato, ma il muro, che si era aperto per incantesimo, si era chiuso e ricongiunto per un altro incantesimo. Va un po' innanzi a tentoni a destra e a sinistra, per parecchie volte, e non trova più la porta: raddoppia le sue grida e i suoi pianti, e si siede su un gradino del sotterraneo, disperando di rivedere mai più la luce, anzi con la triste certezza di passare dalle tenebre in cui era in quelle di una prossima morte. Aladino restò due giorni in questo stato, senza mangiare né bere: il terzo giorno, infine, considerando la morte inevitabile, congiunse le mani alzandole al cielo; e, con una completa rassegnazione alla volontà di Dio, esclamò:
Non c'è forza e potenza se non in Dio, l'alto, il grande! Nel congiungere le mani, fregò, senza farci caso, l'anello che il mago africano gli aveva messo al dito e di cui non conosceva ancora la virtù. Subito un genio, dalla figura enorme e dallo sguardo spaventoso, si alzò davanti a lui, come se venisse da sotto terra, fino a raggiungere la volta con la testa, e disse ad Aladino queste parole:
Che vuoi? Sono pronto a ubbidirti, come tuo schiavo e schiavo di tutti quelli che hanno l'anello al dito, io e gli altri schiavi dell'anello. In un altro momento e in un'altra occasione, Aladino, che non era abituato a simili visioni, sarebbe stato preso dal terrore e avrebbe potuto perdere la parola vedendo una figura così straordinaria, ma, preoccupato soltanto del pericolo presente in cui si trovava, rispose senza esitare:
Chiunque tu sia, fammi uscire da questo posto, se ne hai il potere. Appena ebbe pronunciato queste parole la terra si spalancò ed egli si trovò fuori del sotterraneo, proprio nel posto in cui il mago l'aveva portato. Non bisogna stupirsi se Aladino, che era rimasto così a lungo nelle tenebre più fitte, in un primo momento stentasse a sopportare la piena luce. A poco a poco i suoi occhi vi si abituarono; e, guardandosi intorno, fu molto stupito di non vedere nessuna apertura nella terra. Non riuscì a capire come avesse potuto trovarsi così rapidamente fuori delle sue viscere; solo il posto in cui era stata bruciata la sterpaglia secca gli fece riconoscere, all'incirca, dove fosse il sotterraneo. Poi, rivolgendosi verso la città, la vide in mezzo ai giardini che la circondavano; riconobbe il sentiero lungo il quale il mago africano l'aveva guidato, e lo imboccò, rendendo grazie a Dio di rivedersi di nuovo al mondo, dopo aver disperato di mai più ritornarvi. Arrivò fino alla città e si trascinò a casa con molta fatica. Entrando in casa di sua madre, la gioia di rivederla, unita alla debolezza per non aver mangiato da quasi tre giorni, gli provocò uno svenimento che durò un po' di tempo; la madre, che l'aveva già pianto come perduto o come morto, vedendolo in quello stato non tralasciò niente per farlo tornare in sé. Finalmente egli si riebbe dallo svenimento; e le prime parole che pronunciò furono:
Mamma, prima di ogni cosa, vi prego di darmi da mangiare; da tre giorni non tocco cibo. Sua madre gli portò quello che aveva; e, mettendoglielo davanti, gli disse:
Figlio mio, non mangiate in fretta, è pericoloso; mangiate poco per volta e a vostro agio; abbiate prudenza, ché ne avete bisogno. Non voglio neanche che mi parliate: avrete abbastanza tempo per raccontarmi quello che vi è successo, quando vi sarete ben ristabilito. Sento una grande consolazione rivedendovi, dopo il dolore del quale sono preda da venerdì, e tutte le pene che mi sono presa per sapere che cosa vi fosse capitato, appena vidi che era notte e non eravate tornato a casa. Aladino seguì il consiglio di sua madre: mangiò tranquillamente e poco per volta, e bevve in proporzione. Quando ebbe finito, disse:
Mamma, dovrei rivolgervi molti rimproveri per avermi abbandonato con tanta leggerezza alla discrezione di un uomo che aveva l'intenzione di rovinarmi e che ora, mentre vi parlo, considera la mia morte così inevitabile da essere certo che io sia già morto o che stia per morire; ma voi avete creduto che fosse mio zio, e io l'ho creduto come voi. Eh! potevamo pensare altro di un uomo che mi riempiva di carezze e di beni e mi faceva tante altre lusinghiere promesse? Sappiate, mamma, che è solo un traditore, un malvagio e un furfante. Mi ha fatto tanto bene e tante promesse solo per arrivare allo scopo che si era prefisso, quello di rovinarmi come ho detto, senza che né voi né io possiamo indovinarne la causa. Quanto a me, posso assicurare che non gli ho dato nessun motivo per meritare il minimo maltrattamento. Lo capirete voi stessa dal fedele racconto che ora vi farò di tutto quello che è successo dal momento in cui mi sono separato da voi, fino all'esecuzione del suo terribile disegno. Aladino cominciò a raccontare alla madre tutto ciò che gli era successo col mago dal venerdì, quando era venuto a prenderlo per portarlo a vedere i palazzi e i giardini che sorgevano fuori della città; ciò che accadde lungo il percorso, fino alle due montagne dove doveva operarsi il grande prodigio del mago; come, con un profumo gettato sul fuoco e qualche parola magica, la terra si fosse spalancata in un momento e avesse mostrato l'ingresso di un sotterraneo che conduceva a un tesoro inestimabile. Non dimenticò lo schiaffo che aveva ricevuto dal mago, né di raccontare in che modo quello, dopo essersi un po' calmato, lo avesse esortato con grandi promesse, mettendogli il suo anello al dito, a scendere nel sotterraneo. Non omise nessun particolare di tutto quanto aveva visto, passando e ripassando nelle tre sale, nel giardino e sulla terrazza dove aveva preso la lampada meravigliosa che mostrò a sua madre, tirandosela fuori del petto, insieme con i frutti trasparenti e di differenti colori che aveva colto nel giardino sulla via del ritorno, ai quali aggiunse due borse piene che diede alla madre e alle quali ella fece poco caso. Questi frutti erano, tuttavia, pietre preziose. Lo splendore, brillante come il sole, che essi emanavano alla luce di una lampada che rischiarava la stanza, doveva far capire il loro grande valore. Ma la madre di Aladino non aveva in questo campo maggiori conoscenze di suo figlio. Era stata allevata in condizioni molto mediocri e suo marito non aveva avuto beni sufficienti per regalarle quel tipo di pietre preziose. D'altronde, lei non ne aveva mai viste a nessuna delle sue parenti o delle sue vicine; perciò non bisogna stupirsi se le considerava solo cose di poco valore e buone al massimo a rallegrare la vista con la varietà dei loro colori, così che Aladino le mise dietro uno dei cuscini del divano sul quale era seduto. Finì di raccontare la sua avventura dicendole che, quando fu tornato dal giardino e si fu presentato all'ingresso del sotterraneo, pronto a uscirne, avendo rifiutato al mago di dargli la lampada che egli gli chiedeva, l'ingresso del sotterraneo si era richiuso in un istante, grazie al potere del profumo che il mago aveva gettato nel fuoco, che non aveva lasciato spegnere, e delle parole che aveva pronunciato. Ma non poté dire altro senza piangere, descrivendole il disgraziato stato in cui si era trovato, quando si era visto sepolto vivo nel fatale sotterraneo, fino al momento in cui era uscito e in cui, per così dire, era ritornato al mondo toccando il suo anello del quale non conosceva ancora la virtù.. Quando ebbe finito questo racconto disse a sua madre:
Non è necessario dirvi altro; il resto lo conoscete. Ecco quale avventura e quale pericolo ho corso da quando non mi avete visto. La madre di Aladino ebbe la pazienza di ascoltare, senza interromperlo, questo racconto fantastico e stupefacente e, insieme, così doloroso per una madre che amava teneramente il figlio, nonostante i suoi difetti. Tuttavia nei punti più commoventi e che meglio dimostravano la perfidia del mago africano, ella non poté impedirsi di dimostrare quanto lo detestava con segni di indignazione; ma appena Aladino ebbe finito, si scagliò in mille ingiurie contro quell'impostore; lo chiamò traditore, perfido, barbaro, assassino, ingannatore, mago, nemico e distruttore del genere umano.
Sì, figlio mio,
aggiunse,
è un mago, e i maghi sono una peste pubblica: sono in rapporto con i demoni per mezzo dei loro incantesimi e delle loro stregonerie. Benedetto sia Dio, che non ha permesso a quella sterminata malvagità di avere tutto il suo effetto contro di voi! Dovete ringraziarlo molto della grazia che vi ha fatto! La morte era inevitabile per voi, se non vi foste ricordato di lui e non aveste implorato il suo aiuto. Lei disse ancora molte cose, sempre contro il tradimento che il mago aveva fatto a suo figlio; ma, mentre parlava, si accorse che Aladino, che non aveva dormito da tre giorni, aveva bisogno di riposo. Lo fece coricare; e poco dopo si coricò anche lei. Aladino che non si era affatto riposato nel sotterraneo dov'era stato sepolto affinché perdesse la vita, dormì tutta la notte di un sonno profondo e si svegliò solo il giorno dopo, molto tardi. Si alzò, e per prima cosa disse a sua madre che aveva bisogno di mangiare e che lei non poteva fargli piacere maggiore di quello di dargli la colazione.
Ahimè! figlio mio,
gli rispose la madre,
non posso darvi neppure un pezzo di pane; ieri sera avete mangiato le poche provviste che c'erano in casa; ma abbiate un po' di pazienza; non starò a lungo senza portarvene. Ho un po' di cotone che ho già filato; vado a venderlo per comprarvi del pane e qualcosa per il pranzo.
Mamma,
rispose Aladino,
riservate il vostro cotone per un'altra occasione e datemi la lampada che ho portato ieri; andrò a venderla, e il denaro che ne ricaverò ci servirà a comprare il necessario per far colazione, pranzare, e forse anche cenare. La madre di Aladino prese la lampada da dove l'aveva messa:
Eccola,
disse al figlio,
ma è molto sporca; se la puliamo un po', credo che varrà qualcosa in più. Prese dell'acqua e un po' di sabbia fine per pulirla, ma appena ebbe cominciato a strofinare la lampada, subito, in presenza del figlio, un orribile genio di statura gigantesca si innalzò e comparve davanti a lei, e le disse con voce tonante:
Che vuoi? Sono pronto a ubbidirti, come tuo schiavo e schiavo di tutti quelli che hanno la lampada in mano, io e gli altri schiavi della lampada. La madre di Aladino non era in condizione di rispondere: il suo sguardo non era riuscito a sopportare l'orribile e spaventosa figura del genio; e, alle prime parole che quello aveva pronunciato, il suo terrore era stato così grande che era caduta svenuta. Aladino che, nel sotterraneo, aveva già avuto un'apparizione quasi simile, senza perder tempo e neppure la testa, afferrò subito la lampada e sostituendosi alla madre, rispose per lei in tono fermo:
Ho fame,
disse al genio;
portami da mangiare. Il genio scomparve e, un momento dopo, tornò portando sulla testa un grande vassoio d'argento con dodici piatti dello stesso metallo pieni di cibi squisiti, sei grandi pani bianchi come neve, due bottiglie di vino eccellente e tenendo in mano due coppe d'argento. Posò tutto sul divano e subito sparì. Questo avvenne così rapidamente, che la madre di Aladino non si era ancora riavuta dal suo svenimento quando il genio sparì per la seconda volta. Aladino, che aveva già cominciato a gettarle l'acqua in viso, senza risultato, si accinse a ricominciare per farla rinvenire ma sia che i suoi sensi, che si erano dispersi, si fossero infine riuniti, o che l'odore dei cibi portati dal genio vi contribuisse in qualche modo ella tornò in sé.
Mamma,
le disse Aladino,
non è niente; alzatevi e venite a mangiare; ecco quel che ci vuole per farvi star meglio e, nello stesso tempo, per soddisfare il mio grande bisogno di mangiare. Non lasciamo raffreddare dei cibi così buoni, e mangiamo. La madre di Aladino fu grandemente stupita vedendo il grande vassoio, i dodici piatti, i sei pani, le due bottiglie e le due coppe, e sentendo l'odore delizioso che veniva da tutti quei piatti.
Figlio mio,
chiese ad Aladino,
da dove ci viene questa abbondanza, e a chi siamo debitori di tanta prodigalità? Forse il sultano è venuto a conoscenza della nostra povertà e ha avuto compassione di noi?
Mamma,
riprese Aladino,
mettiamoci a tavola e mangiamo: ne avete bisogno quanto me. Risponderò a quanto mi chiedete, dopo che avremo mangiato. Si misero a tavola, e mangiarono con tanto più appetito in quanto né la madre né il figlio si erano mai trovati a una tavola così ben fornita. Mentre mangiavano, la madre di Aladino non poteva stancarsi di ammirare il vassoio e i piatti, anche se non sapeva distinguere bene se fossero d'argento o di un altro materiale, così poco era abituata a vederne di simili; e, a dire il vero, senza considerare il loro valore, che ignorava, la sua ammirazione era provocata solo dalla novità, e suo figlio Aladino non ne sapeva più di lei. Aladino e sua madre, che pensavano di fare solo una semplice colazione, stavano ancora a tavola all'ora del pranzo: quei cibi eccellenti avevano stuzzicato il loro appetito, e, dato che erano ancora caldi, essi pensarono di non far male a riunire i due pasti insieme e a farne uno solo. Finito il doppio pasto, restò loro non solo il necessario per cenare, ma anche abbastanza cibo da fare due pasti ugualmente sostanziosi il giorno dopo. Quando la madre di Aladino ebbe sparecchiato e conservato i cibi che non avevano toccato, andò a sedersi sul divano, vicino al figlio.
Aladino,
gli disse,
aspetto con impazienza di sentire il racconto che mi avete promesso. Aladino le raccontò esattamente tutto ciò che era successo tra lui e il genio, dal momento in cui lei era svenuta fino a quando era tornata in sé. La madre di Aladino era grandemente stupita dal discorso del figlio e dall'apparizione del genio.
Ma, figlio mio,
riprese,
che significano questi geni? Da che sono al mondo, non ho mai sentito dire che nessun mio conoscente ne abbia visti. Per quale ragione quel brutto genio si è presentato a me? Perché si è rivolto a me e non a voi, visto che vi era già apparso nel sotterraneo del tesoro?
Mamma
replicò Aladino
il genio che vi è apparso non è lo stesso che è apparso a me: si rassomigliano, in un certo senso, per la loro statura da giganti; ma la loro espressione e i loro vestiti sono completamente diversi: perciò essi appartengono a padroni diversi. Se ricordate, quello che ho visto io si è dichiarato schiavo dell'anello che ho al dito; e quello apparso a voi si è dichiarato schiavo della lampada che avevate in mano. Ma non credo che voi l'abbiate sentito: infatti mi pare che siate svenuta appena ha cominciato a parlare.
Come!
esclamò la madre di Aladino,
è dunque a causa della vostra lampada che quel brutto genio si è rivolto a me piuttosto che a voi? Ah, figlio mio! levatemela da davanti agli occhi e mettetela dove volete; non voglio più toccarla. Preferisco che sia gettata o venduta piuttosto che correre il rischio di morire di terrore toccandola. Se date retta a me, dovete disfarvi anche dell'anello. Non bisogna aver rapporti con i geni: sono demoni e il nostro profeta l'ha detto.
Mamma,
rispose Aladino,
col vostro permesso, ora mi guarderò bene dal vendere, come stavo per fare poco fa, una lampada che sarà tanto utile a entrambi. Non vedete che cosa ci ha procurato? Essa deve continuare a fornirci di che nutrirci e mantenerci. Dovete capire come me che il mio falso e cattivo zio non aveva fatto tanta fatica e non aveva intrapreso un viaggio così lungo e faticoso senza ragione, ma per entrare in possesso di questa lampada meravigliosa, che egli aveva preferito a tutto l'oro e l'argento che sapeva esserci nelle sale che io stesso ho visto, proprio come mi aveva detto. Egli conosceva troppo bene il merito e il valore di questa lampada, da chiedere altre cose al posto di un tesoro così ricco. Poiché il caso ce ne ha fatto scoprire la virtù facciamone un uso che ci sia utile, ma senza chiasso, in modo da non attirarci l'invidia e la gelosia dei nostri vicini. Ve la toglierò da davanti agli occhi e la metterò in un posto dove la troverò quando ce ne sarà bisogno, visto che i geni vi fanno tanta paura. Quanto all'anello, non saprei decidermi a gettarlo: senza quest'anello non mi avreste mai rivisto; e se in questo momento fossi stato ancora vivo, lo sarei stato solo per pochi momenti. Permettetemi dunque di tenerlo e di portarlo sempre al dito con molta precauzione. Chi sa, forse mi capiterà qualche altro pericolo che né voi né io possiamo prevedere, dal quale potrà liberarmi.
Poiché il ragionamento di Aladino sembrava molto giusto, sua madre non ebbe niente da replicare.
Figlio mio,
gli disse,
fate come volete; quanto a me, non vorrei avere a che fare con dei geni. Vi dichiaro che me ne lavo le mani e non ve ne parlerò più. La sera dopo, finito di cenare, non restò niente dei buoni cibi portati dal genio. Il giorno dopo Aladino, che non voleva aspettare che la fame lo pungolasse, prese uno dei piatti d'argento, se lo mise sotto l'abito e uscì fin dal mattino per andare a venderlo. Si rivolse a un ebreo incontrato lungo la strada; lo prese in disparte e, mostrandogli il piatto, gli chiese se voleva comprarlo. L'ebreo, furbo e accorto, prende il piatto, lo esamina; e appena ebbe capito che era di buon argento, chiese ad Aladino quanto volesse. Aladino, che non ne conosceva il valore e non aveva mai fatto commercio di questi articoli, si accontentò di dirgli che lui doveva ben sapere quanto potesse valere il piatto, e che si rimetteva alla sua buona fede. L'ebreo si trovò imbarazzato dall'ingenuità di Aladino. Non sapendo con certezza se Aladino ne conoscesse la materia e il valore, tirò fuori dalla borsa una moneta d'oro, che a malapena costituiva la settantaduesima parte del valore del piatto, e gliela diede. Aladino si affrettò a prendere la moneta e, appena la ebbe fra le mani, se ne andò con tanta rapidità che l'ebreo, non contento dell'esorbitante guadagno da lui ottenuto con quell'acquisto si seccò molto di non aver capito che Aladino ignorava il valore di quello che gli aveva venduto e che perciò egli avrebbe potuto dargli molto di meno. Fu sul punto di correre dietro al ragazzo, per cercare di avere un po' di resto dalla sua moneta d'oro, ma Aladino correva, ed era già così lontano che avrebbe faticato a raggiungerlo. Aladino, mentre tornava dalla madre, si fermò da un fornaio, dove acquistò del pane per sé e per sua madre, pagandolo con la moneta d'oro che il fornaio gli cambiò. Arrivando a casa, diede il resto a sua madre che andò al mercato a comprare le provviste necessarie al loro vitto di qualche giorno. Continuarono così a vivere in economia, cioè Aladino vendette tutti i piatti all'ebreo, l'uno dopo l'altro fino al dodicesimo, come aveva venduto il primo, via via che il denaro veniva a mancare in casa. L'ebreo che aveva pagato il primo una moneta d'oro, non osò offrirgli di meno per gli altri, temendo di perdere un così buon guadagno inaspettato: li pagò tutti allo stesso prezzo. Quando il denaro dell'ultimo piatto fu speso, Aladino ricorse al vassoio, che da solo pesava dieci volte ogni piatto. Volle portarlo al solito mercante, ma il gran peso del vassoio glielo impedì. Fu dunque costretto ad andare a chiamare l'ebreo e a portarlo da sua madre; e l'ebreo, dopo aver soppesato il vassoio, gli diede subito dieci monete d'oro di cui Aladino si accontentò. Finché durarono, le dieci monete d'oro servirono alla spesa giornaliera della casa. Intanto Aladino, abituato a una vita oziosa, dopo la sua avventura con il mago africano aveva perso l'abitudine di giocare coi ragazzi della sua età. Passava le giornate a passeggiare o a intrattenersi con persone con le quali aveva fatto conoscenza. A volte si tratteneva nelle botteghe dei ricchi mercanti, dove prestava attenzione ai discorsi della gente distinta che vi si fermava o che vi si ritrovava come a una specie di appuntamento; e a poco a poco questi discorsi fecero sì che egli cominciasse ad avere una certa conoscenza del mondo. Quando le dieci monete d'oro furono finite, Aladino ricorse alla lampada: la prese in mano, cercò lo stesso punto in cui l'aveva toccata sua madre; e, appena lo trovò grazie al segno che la sabbia vi aveva lasciato, la strofinò come aveva fatto lei; e subito il genio, apparso la prima volta, si presentò davanti a lui; ma, poiché Aladino aveva strofinato la lampada più leggermente di quanto avesse fatto la madre, anche il genio gli parlò con tono più dolce:
Che vuoi?
gli disse con le stesse parole dell'altra volta. Sono pronto a ubbidirti, come tuo schiavo e schiavo di tutti coloro che hanno la lampada in mano, io e gli altri schiavi della lampada.
Aladino gli disse:
Ho fame, portami da mangiare. Il genio scomparve e tornò poco dopo portando un servizio da tavola simile a quello che aveva portato la prima volta; lo posò sul divano e subito sparì. La madre di Aladino, informata dell'intenzione del figlio, era uscita di proposito per qualche affare per non trovarsi in casa all'apparizione del genio. Tornò poco dopo, vide la tavola e la credenza molto ben fornita e restò meravigliata, quasi come la prima volta, vedendo il prodigioso effetto della lampada. Aladino e la madre si misero a tavola; e dopo il pasto, restò loro ancora di che vivere largamente per i due giorni seguenti. Appena Aladino vide che in casa non c'era più pane né altre provviste, né denaro per comprarne, prese un piatto d'argento e andò a cercare l'ebreo che conosceva, per venderglielo. Lungo il percorso, passò davanti alla bottega di un orefice rispettabile per la sua vecchiaia, uomo onesto e di grande onestà. L'orefice, che lo aveva visto, lo chiamò e lo fece entrare.
Figlio mio,
gli disse,
vi ho già visto passare parecchie volte, portando un pacco come ora, incontrarvi con un certo ebreo e ripassare poco dopo senza il pacco. Ho pensato che voi gli vendete quello che portate. Ma forse non sapete che quell'ebreo è un imbroglione, e anche più imbroglione degli altri ebrei, e che nessuno di quelli che lo conoscono vuole avere a che fare con lui. Del resto, vi dico questo solo per farvi un piacere, se volete mostrarmi quello che state portando adesso e volete venderlo, vi darò esattamente il suo giusto valore se questo mi conviene; altrimenti vi indirizzerò da altri mercanti che non vi inganneranno. La speranza di ricavare più denaro dal piatto fece sì che Aladino lo tirasse fuori da sotto il vestito e lo mostrasse all'orefice. Il vecchio, accorgendosi subito che il piatto era d'argento fino, gli chiese se ne avesse venduti di simili all'ebreo e quanto questi glieli avesse pagati. Aladino gli disse ingenuamente di avergliene venduti dodici, e di aver ricevuto dall'ebreo solo una moneta d'oro per ognuno.
Ah, che ladro!
esclamò l'orefice.
Figlio mio, aggiunse, quel che è fatto è fatto; non bisogna pensarci più; ma quando vi avrò detto quanto vale il vostro piatto, e che è del migliore argento di cui ci serviamo nelle nostre botteghe, capirete quanto l'ebreo vi abbia ingannato. L'orefice prese la bilancia, pesò il piatto e dopo avere spiegato ad Aladino che cosa fosse un marco d'argento, quanto valesse e quali fossero le sue suddivisioni, gli dichiarò che, per il suo peso, il piatto valeva settantadue monete d'oro che subito gli pagò in moneta contante.
Questo,
disse,
è il giusto valore del vostro piatto. Se ne dubitate potete rivolgervi a uno dei nostri orefici a vostra scelta; e, se vi dice che vale di più, vi prometto di pagarvelo il doppio. Noi guadagniamo solo la lavorazione sull'argenteria che compriamo; e questo non lo fanno neppure gli ebrei più onesti. Aladino ringraziò calorosamente l'orefice per la buona accoglienza che gli aveva fatto e dalla quale ricavava già un così grande vantaggio. Successivamente non si rivolse più ad altri se non a lui per vendere gli altri piatti e il vassoio, il cui giusto valore gli fu sempre pagato in proporzione al peso. Sebbene Aladino e sua madre avessero nella lampada una fonte inesauribile di denaro, potendosene procurare quanto ne volevano quando fosse venuto a mancare, tuttavia continuarono sempre a vivere con la stessa frugalità di prima, a parte quello che Aladino riservava per vivere onestamente e procurarsi le comodità necessarie alla loro piccola famiglia. Sua madre, d'altra parte, prendeva il denaro per i suoi abiti solo da quello che guadagnava filando il cotone. Con un tenore di vita così sobrio, è facile capire quanto tempo doveva essere durato loro il denaro dei dodici piatti e del vassoio al prezzo a cui Aladino li aveva venduti all'orefice. Vissero così per alcuni anni, con l'aiuto della lampada, alla quale Aladino ricorreva ogni tanto. Intanto, Aladino, che continuava a frequentare con molta assiduità le persone distinte che si riunivano nelle botteghe dei più ricchi mercanti di drappi ricamati d'oro e d'argento, di stoffe di seta delle tele più fini e di gioiellerie, e che a volte interveniva nelle loro conversazioni, finì di educarsi, e pian piano acquistò tutte le maniere del bel mondo. Appunto frequentando i gioiellieri si ricredette sulla sua idea che i frutti trasparenti che aveva colti nel giardino del sotterraneo fossero solo vetro colorato, e seppe che erano pietre di grande valore. Vedendo continuamente vendere e comprare nelle loro botteghe tutti i tipi di queste pietre, cominciò a conoscerle e a valutarle; e poiché non ne vedeva di simili alle sue né per la bellezza né per grossezza, capì che, invece di pezzi di vetro che egli aveva considerato delle bagatelle, possedeva un inestimabile tesoro. Ebbe la prudenza di non parlarne a nessuno, nemmeno a sua madre; e certamente il suo silenzio gli valse l'alta condizione che, come vedremo poi, egli raggiunse. Un giorno, mentre passeggiava in uno dei quartieri della città, Aladino sentì proclamare a voce alta l'ordine del sultano di sbarrare le botteghe e le porte delle case e di rinchiudersi tutti in casa finché la principessa Badrulbudura (1), figlia del sultano, non fosse passata per andare al bagno e non ne fosse ritornata. Il bando pubblico fece nascere in Aladino la curiosità di vedere la principessa senza velo, ma poteva farlo solo entrando in una casa di conoscenti e attraverso la persiana; il che non lo accontentava perché la principessa, secondo la tradizione, andando al bagno doveva portare un velo sul viso. Per prendersi questa soddisfazione architettò un piano che gli riuscì: andò a sistemarsi dietro la porta del bagno, disposta in modo tale che egli non avrebbe potuto non vederla in viso quando sarebbe arrivata. Aladino non aspettò a lungo: la principessa apparve, e lui la vide arrivare attraverso una fessura abbastanza larga per vedere senza essere visto. Era accompagnata da una gran folla di schiave e di eunuchi, che le camminavano al fianco e che la seguivano. Quando arrivò a tre o quattro passi dalla porta del bagno, si tolse il velo che le copriva il viso e che la infastidiva molto, e, così facendo, diede modo ad Aladino di vederla, tanto più a suo agio, in quanto veniva diritta verso di lui. Fino a quel momento, Aladino non aveva visto altre donne a viso scoperto tranne sua madre, che era anziana e non era mai stata tanto bella da fargli immaginare che le altre donne fossero più belle. Certamente poteva avere sentito dire che ne esistevano di sorprendente bellezza, ma, per quante parole si usino per mettere in risalto il merito di una bellezza, esse non fanno mai l'impressione causata dalla bellezza stessa. Quando Aladino ebbe visto la principessa Badrulbudura, perse l'idea che tutte le donne dovessero assomigliare all'incirca a sua madre, i suoi sentimenti furono ben diversi, e il suo cuore non poté rifiutare tutta la sua inclinazione per la creatura che lo aveva affascinato. Infatti la principessa era la più bella bruna che si possa vedere al mondo: aveva gli occhi grandi, a fior di testa, vivaci e brillanti, lo sguardo dolce e modesto, il naso di giusta proporzione e senza difetti, la bocca piccola, le labbra vermiglie e piene d'incanto per la loro gradevole simmetria, in una parola, i lineamenti del suo viso erano di una perfetta regolarità. Non bisogna dunque stupirsi se Aladino fu abbagliato e uscì quasi di sé vedendo riunite tante meraviglie che gli erano sconosciute. Oltre tutte queste perfezioni, la principessa aveva anche una bella statura, un'aria e un portamento maestosi, che, solo a vederla, attiravano il rispetto che le era dovuto. Quando la principessa fu entrata nel bagno, Aladino restò per un po' turbato e come in estasi, tracciando e imprimendosi profondamente nella memoria l'immagine di una creatura di cui era affascinato e penetrato fino in fondo al cuore. Infine tornò in sé; e, considerando che la principessa era passata e sarebbe stato quindi inutile restare dov'era per rivederla mentre usciva dal bagno, poiché lei gli avrebbe dato la schiena e sarebbe stata velata, prese la decisione di abbandonare il suo posto e di ritirarsi. Aladino, rientrando a casa, non riuscì a nascondere il suo turbamento e la sua inquietudine tanto bene da evitare che la madre se ne accorgesse. Lei rimase stupita vedendolo così triste e trasognato contrariamente al suo solito. Gli chiese se gli fosse capitato qualcosa o se non si sentisse bene. Ma Aladino non le rispose proprio, e si sedette negligentemente sul sofà, dove restò nella stessa posizione, sempre intento a ricordare l'affascinante immagine della principessa Badrulbudura. Sua madre, che preparava la cena, non insistette oltre. Quando la cena fu pronta, la servì accanto a lui, sul divano, e si mise a tavola, ma, accorgendosi che suo figlio non ci pensava per niente, lo sollecitò a mangiare, e solo molto a malincuore egli cambiò atteggiamento. Mangiò molto meno del solito, con gli occhi sempre bassi e in un silenzio così profondo che alla madre non fu possibile tirargli fuori la minima parola, nonostante tutte le domande che gli rivolse per cercare di conoscere la causa di un cambiamento così straordinario. Dopo cena, cercò di nuovo di sapere la ragione di tanta malinconia, ma non ottenne niente, e Aladino decise di andare a dormire piuttosto che dare alla madre la minima soddisfazione su quel punto. Senza dire in che modo Aladino, invaghito della bellezza e delle grazie della principessa Badrulbudura, passò la notte, noteremo solo che, il giorno dopo, mentre era seduto sul divano, di fronte alla madre intenta a filare del cotone come al solito, le parlò in così:
Madre mia,
le disse,
rompo il silenzio che ho mantenuto da ieri, quando sono tornato dalla città: esso vi ha preoccupato e me ne sono accorto. Non ero malato, come mi è sembrato che voi credeste, e non lo sono ancora ma non posso dirvi quello che sentivo e quello che non smetto ancora di sentire: è qualcosa di peggio di una malattia. Non so bene che male sia; ma non dubito che quanto sentirete ve lo farà capire. In questo quartiere non si è saputo,
continuò Aladino,.
e perciò voi non avete potuto saperlo, che ieri la principessa Badrulbudura, figlia del sultano, nel pomeriggio si recò al bagno. Seppi questa notizia passeggiando in città. Diedero l'ordine di chiudere le botteghe e di ritirarsi ognuno a casa propria, per rendere alla principessa l'onore che le è dovuto, e sgombrare la strada lungo le vie in cui sarebbe dovuta passare. Poiché non ero lontano dal bagno, la curiosità di vederla a viso scoperto mi fece nascere l'idea di andare a mettermi dietro la porta del bagno, pensando che poteva succedere che lei si togliesse il velo prima di entrarvi. Voi conoscete la posizione della porta, e voi stessa siete in grado di capire che potevo vederla a mio agio, se fosse successo quello che avevo immaginato. Infatti, nell'entrare, lei si tolse il velo, ed ebbi la fortuna di vedere l'amabile principessa con la più grande soddisfazione del mondo. Questo, madre mia, è il vero motivo dello stato in cui mi vedeste ieri quando rientrai, e la causa del silenzio che ho mantenuto fino ad ora. Amo la principessa di un amore la cui violenza è tale che non saprei esprimervela; e, poiché la mia passione viva e ardente, aumenta incessantemente, sento che essa non potrà essere soddisfatta se non con il possesso dell'amabile principessa Badrulbudura, il che mi ha spinto a prendere la decisione di farla chiedere in moglie al sultano. La madre di Aladino aveva ascoltato il discorso del figlio con molta attenzione fino a queste ultime parole, ma, quando ebbe sentito che aveva intenzione di far chiedere la principessa Badrulbudura in moglie, non poté fare a meno di interromperlo con una sonora risata. Aladino voleva continuare; ma, interrompendolo ancora, lei gli disse:
Eh! figlio mio, a che pensate? Dovete aver perso la testa per farmi un simile discorso!
Mamma,
riprese Aladino,
posso assicurarvi che non ho perso il senno, sono completamente in me. Ho previsto le accuse di follia e di stravaganza che mi fate, e quelle che potreste farmi; ma tutto questo non mi impedirà di dirvi ancora una volta che ho preso la decisione di far chiedere la principessa Badrulbudura in moglie al sultano.
In verità, figlio mio,
replicò la madre molto seriamente, non posso impedirmi di dirvi che voi siete completamente uscito di senno; e, anche se voleste mettere in atto la vostra decisione, non vedo da chi osereste far rivolgere questa domanda al sultano.
Proprio da voi,
replicò subito il figlio senza esitare.
Da me!
esclamò la madre con un'aria di stupore e di sbalordimento;
al sultano! Ah! mi guarderò bene dall'impegnarmi in una simile impresa! E chi siete voi figlio mio,
continuò,
per avere il coraggio di pensare alla figlia del vostro sultano? Avete dimenticato di essere figlio di uno dei più modesti sarti della sua capitale, e di una madre i cui antenati non sono di origine più elevata? Sapete che i sultani non si degnano di dare le loro figlie in moglie nemmeno a dei figli di sultani che non hanno la speranza di regnare un giorno come loro?
Madre mia,
replicò Aladino,
vi ho già detto che ho previsto tutto questo che mi state dicendo, e anche tutto quello che potrete aggiungervi: né i vostri discorsi né le vostre rimostranze mi faranno cambiare idea. Vi ho già detto che farò chiedere in moglie la principessa Badrulbudura da voi: è una grazia che vi chiedo con tutto il rispetto che vi devo, e vi supplico di non negarmela, a meno che non preferiate vedermi morire piuttosto che darmi la vita per la seconda volta.
La madre di Aladino fu molto imbarazzata vedendo con quale ostinazione il figlio insisteva in un progetto così privo di buon senso.
Figlio mio,
gli disse ancora,
io sono vostra madre, e come una buona madre che vi ha messo al mondo, non c'è niente di ragionevole e di adatto al mio stato e al vostro che io non sia pronta a fare per amor vostro. Se si trattasse di parlare del vostro matrimonio con la figlia di uno dei nostri vicini, di condizione simile alla nostra o quasi, non tralascerei niente e mi adopererei volentieri in tutto ciò che fosse in mio potere; e, anche in questo caso, per riuscirvi, dovreste avere dei beni o qualche rendita, o conoscere un mestiere. Quando la povera gente come noi vuole sposarsi, deve pensare prima di tutto ad avere il necessario per vivere. Ma, senza pensare all'oscurità della vostra origine, al poco merito e ai pochi beni che avete, voi spiccate il volo fino al più alto gradino della fortuna, e la vostra pretesa è solo quella di voler chiedere in moglie e di sposare la figlia del vostro sovrano, al quale basta dire una parola per precipitarvi e annientarvi. Lascio da parte quello che vi riguarda: tocca a voi fare le riflessioni necessarie, se avete un po' di buon senso. Io mi fermo a quello che mi riguarda. Come è vi è potuta venire in mente l'idea così straordinaria di chiedermi di andare dal sultano a proporgli di darvi in moglie la principessa sua figlia? Supponiamo che io abbia, non dico il coraggio, ma la sfrontatezza di andare a presentarmi davanti a Sua Maestà per fargli una domanda così stravagante; a chi mi rivolgerò per essere introdotta? Credete forse che il primo a cui ne parlerò non mi tratterà da folle e non mi scaccerà indegnamente come meriterei? Supponiamo ancora che non ci siano difficoltà per presentarsi all'udienza del sultano; so che non ce ne sono quando ci si presenta a lui per chiedere giustizia, ed egli la rende volentieri ai suoi sudditi quando gliela chiedono. So anche che quando ci si presenta a lui per chiedergli una grazia, egli l'accorda con piacere, quando vede che essa è meritata e se ne è degni. Ma questo è il caso vostro? E credete di aver meritato la grazia che volete farmi chiedere per voi? Ne siete degno? Che cosa avete fatto per il vostro principe o per la vostra patria, e in che vi siete distinto? Se voi non avete fatto niente per meritare una grazia tanto grande e, d'altronde, non ne siete degno, con quale coraggio potrò io chiederla? Come potrei soltanto aprire la bocca per proporla al sultano? La sua presenza così maestosa e lo splendore della sua corte mi chiuderebbero subito la bocca, a me che tremavo davanti al defunto mio marito, vostro padre, quando dovevo chiedergli la minima cosa. C'è un'altra ragione, figlio mio, alla quale non pensate: sapete che non ci si presenta davanti ai nostri sultani senza portare un dono, quando si deve chiedere loro qualche grazia. I doni danno almeno questo vantaggio: che se viene rifiutata la grazia, per una ragione o per un'altra, almeno sono ascoltati senza ripugnanza la domanda e quello che la rivolge. Ma voi che regalo potete fare? E, anche se aveste qualche cosa che fosse degna della minima attenzione di un così grande sovrano, che proporzione ci sarebbe fra il vostro dono e la domanda che volete rivolgergli? Rientrate in voi e pensate che aspirate a una cosa che vi è impossibile ottenere. Aladino ascoltò molto tranquillamente tutto quello che sua madre poté dirgli per cercare di dissuaderlo dal suo progetto; e, dopo aver riflettuto su tutti i punti della sua obiezione, cominciò a parlare e le disse:
Ammetto, mamma, che è una grande temerarietà osare di spingere le mie pretese tanto lontano come faccio, e che sono stato molto sconsiderato a esigere da voi, con tanta foga e sollecitudine, che andaste a fare la mia proposta di matrimonio al sultano senza prima prendere le misure adatte a procurarvi un'udienza e un'accoglienza favorevoli. Ve ne chiedo perdono; ma in preda alla violenta passione che mi possiede, non stupitevi se non ho pensato prima a tutto quello che può servire a procurarmi la pace che cerco. Amo la principessa Badrulbudura più di quanto voi possiate immaginare; o piuttosto l'adoro, e insisto sempre nel disegno di sposarla: è cosa stabilita e decisa nella mia mente. Vi sono grato di quanto mi avete manifestato, lo considero come il primo passo che deve procurarmi il successo che mi riprometto. Voi mi dite che la consuetudine vuole che non ci si presenti al sultano senza portare un dono, e che io non ho niente che sia degno di lui. Sono d'accordo per il dono, e vi confesso che non ci avevo pensato. Ma quanto al fatto, come voi dite, che io non abbia niente da potergli offrire, non credete, mamma, che quanto ho portato il giorno in cui fui salvato da un'inevitabile morte, nel modo che sapete, possa costituire un dono molto gradito per il sultano? Parlo di ciò che ho portato nelle due borse e nella cintura, e che voi e io avevamo scambiato per vetri colorati; ma, ora, mi sono disingannato, e vi comunico, mamma, che sono pietre di inestimabile valore, che si addicono soltanto ai grandi monarchi. Ne ho capito il valore frequentando le botteghe dei gioiellieri, e potete credermi sulla parola. Tutte quelle che ho visto dai nostri gioiellieri non sono paragonabili a quelle che noi abbiamo né per grandezza né per bellezza; e tuttavia essi le valutano a prezzi altissimi. In verità, noi ignoriamo il valore delle nostre. Comunque sia, da quanto posso giudicare con la mia poca esperienza, sono convinto che il dono potrà essere sicuramente molto gradito dal sultano. Voi avete un vaso di porcellana abbastanza grande e di forma molto adatta per contenerle; portatemelo e vediamo l'effetto che faranno le pietre quando ve le avremo disposte secondo i loro diversi colori. La madre di Aladino portò il vaso e il figlio prese le pietre preziose dalle due borse e le sistemò nel vaso. L'effetto che fecero alla luce del sole, per la varietà dei loro colori, per il loro splendore e la loro lucentezza fu tale che la madre e il figlio ne restarono quasi abbagliati: ne furono sommamente stupiti perché le avevano viste, sia l'uno, sia l'altra solo alla luce di una lampada. E' vero che Aladino le aveva viste ognuna sul suo albero, come frutti che dovevano formare uno spettacolo incantevole; ma, essendo ancora un ragazzo, aveva considerato quelle pietre preziose solo come pietre per giocare; e se ne era caricato soltanto a questo scopo senza averne cognizione. Dopo aver ammirato per un po' la bellezza e lo splendore del dono, Aladino riprese a parlare.
Madre mia,
disse,
ora non vi opporrete a presentarvi al sultano, con il pretesto di non avere un dono da portargli; eccone uno, mi sembra, che vi farà ricevere con un'accoglienza delle più favorevoli. Sebbene la madre di Aladino, nonostante la bellezza e lo splendore del dono, non lo considerasse di un valore così alto come lo stimava suo figlio, tuttavia pensò che potesse essere gradito, e capiva di non aver niente da obiettargli su questo punto; ma lei tornava sempre alla domanda che Aladino voleva farle rivolgere al sultano, con il favore del dono, ciò la preoccupava sempre molto.
Figlio mio,
gli diceva,
non fatico a credere che il dono avrà il suo effetto e che il sultano vorrà considerarmi con benevolenza, ma, quando dovrò rivolgergli la domanda che voi volete che gli faccia, sento bene che non ne avrò la forza e resterò senza parole. Perciò, non soltanto avrò perso il mio tempo, ma anche il dono che secondo voi, è di un valore così straordinario, e tornerò mortificata ad annunciarvi che siete stato frustrato nelle vostre speranze. Ve l'ho già detto, e siate sicuro che sarà così. Ma,
aggiunse,
ammesso che io mi faccia forza per sottomettermi alla vostra volontà e che abbia abbastanza coraggio da rivolgere la domanda che volete: certamente accadrà o che il sultano si burlerà di me e mi manderà via credendomi pazza, oppure andrà giustamente in collera, e io e voi ne saremo immancabilmente le vittime. La madre di Aladino portò ancora diverse altre ragioni al figlio per cercare di fargli cambiare idea; ma le grazie della principessa Badrulbudura avevano fatto un'impressione troppo forte sul suo cuore perché si potesse distoglierlo dal suo progetto. Aladino insistette a esigere che la madre eseguisse quello che lui aveva deciso; e, sia per la tenerezza che lei aveva per lui sia per la paura che egli si abbandonasse a qualche spiacevole eccesso, vinse la propria ripugnanza e accondiscese alla volontà del figlio. Poiché era troppo tardi ed era ormai passato, per quel giorno, il tempo per andare a palazzo a presentarsi al sultano, la cosa fu rinviata al giorno seguente. La madre e il figlio non parlarono d'altro per tutto il resto della giornata, e Aladino ebbe gran cura di ispirare alla madre tutto ciò che gli venne in mente per confermarla nella decisione, che lei aveva finalmente accettato, di andare a presentarsi al sultano. Nonostante tutte le ragioni del figlio, la madre non riusciva a convincersi di poter riuscire mai in quest'impresa; e, per la verità, bisogna ammettere che aveva tutti i motivi per dubitarne.
Figlio mio,
disse ad Aladino,
se il sultano mi riceve favorevolmente, come spero per amore vostro, se ascolta con calma la proposta che voi volete che io gli faccia, ma se dopo una buona accoglienza vuole chiedermi dove sono i vostri beni, le vostre ricchezze e i vostri Stati, poiché prima di ogni cosa si informerà di questo, più che della persona, se, dico, mi rivolge questa domanda che cosa volete che gli risponda?
Madre mia,
rispose Aladino,
non preoccupiamoci fin da adesso di una cosa che forse non succederà. Vediamo prima che accoglienza vi farà il sultano e la risposta che vi darà. Nel caso che lui voglia essere informato di tutto quello che avete detto, vedrò allora quale risposta dargli. Ho fiducia che la lampada, grazie alla quale ci sosteniamo da qualche anno, mi verrà in aiuto, se servirà. La madre di Aladino non ebbe niente da replicare alle parole del figlio. Rifletté sul fatto che la lampada di cui parlava poteva ben servire a meraviglie più grandi di quelle di procurare loro semplicemente quanto serve per vivere. Questo la accontentò ed eliminò tutte le difficoltà che ancora avrebbero potuto distoglierla dal servigio che aveva promesso di rendere al figlio presso il sultano. Aladino, intuendo il pensiero della madre, le disse:
Madre mia, ricordatevi almeno di mantenere il segreto, da questo dipende tutto il successo che io e voi dobbiamo aspettarci da questa faccenda. Aladino e sua madre si separarono per riposare un po', ma l'amore intenso e i grandi progetti di un'immensa felicità, che riempivano la mente di Aladino, gli impedirono di passare la notte così tranquillamente come avrebbe desiderato. Si alzò prima dell'alba e andò subito a svegliare la madre. La sollecitò a vestirsi il più rapidamente possibile, per andare davanti alla porta del palazzo del sultano per entrarvi quando veniva aperta, nel momento in cui il gran visir, i visir subalterni e tutti i grandi dignitari dello Stato vi entrano per la seduta del Divano, alla quale il sultano assisteva sempre di persona. La madre di Aladino fece tutto quello che volle suo figlio. Prese il vaso in cui era il dono di pietre preziose, lo avvolse in due panni, uno molto sottile e pulito, l'altro meno fine, e li legò per le quattro cocche per portarlo più agevolmente. Uscì infine con grande soddisfazione di Aladino, e si diresse al palazzo del sultano. Il gran visir, accompagnato dagli altri visir, e i signori più importanti della corte erano già entrati quando lei arrivò alla porta. La folla di tutti quelli che avevano affari al Divano era grande. Venne aperto, e la madre di Aladino entrò con gli altri fino al Divano. Era una bellissima sala, profonda e spaziosa, la cui entrata era grande e magnifica. Lei si fermò e si sistemò in modo da trovarsi di fronte il sultano, il gran visir e i signori che in consiglio sedevano a destra e a sinistra. Furono chiamati gli interessati gli uni dopo gli altri, secondo l'ordine delle richieste che avevano presentato; e i loro affari furono riferiti, perorati e giudicati fino all'ora ordinaria della seduta del Divano. Allora il sultano si alzò, congedò il consiglio e rientrò nel suo appartamento dove fu seguito dal gran visir. Gli altri visir e i ministri del consiglio si ritirarono. Tutti quelli che vi si erano trovati per affari privati fecero lo stesso, alcuni soddisfatti per aver vinto la causa, altri scontenti del giudizio emesso contro di loro, e altri, infine, con la speranza di essere giudicati nel corso di un'altra seduta. La madre di Aladino che aveva visto il sultano alzarsi e ritirarsi pensò con ragione che per quel giorno egli non sarebbe più riapparso, vedendo che tutti uscivano, perciò prese la risoluzione di tornarsene a casa. Aladino, vedendola rientrare col dono destinato al sultano, in un primo momento non seppe che pensare dell'esito della sua missione. Nel timore in cui era che ella dovesse annunciargli qualcosa di funesto, non aveva la forza di aprire la bocca per chiederle che notizia gli portasse. La buona donna, che non aveva mai messo piede nel palazzo del sultano e che non aveva la minima conoscenza degli usi in vigore, liberò il figlio dall'inquietudine in cui si trovava, dicendogli con grande ingenuità:
Figlio mio, ho visto il sultano e sono proprio convinta che anche egli mi abbia vista. Ero proprio di fronte a lui, e nessuno gli impediva di vedermi, ma era tanto occupato con tutti quelli che gli parlavano a destra e a sinistra, che mi faceva compassione vedendo la pena e la pazienza che si prendeva per ascoltarli. Questo è durato così a lungo, che credo che alla fine si sia annoiato; infatti, inaspettatamente si è alzato e si è ritirato piuttosto bruscamente, senza voler ascoltare molte altre persone che erano in fila per parlargli a loro volta. Tuttavia ciò mi ha fatto molto piacere. Infatti, cominciavo a perdere la pazienza ed ero stanchissima di restare così a lungo in piedi; ma niente è perduto; non mancherò di tornarci domani; forse il sultano non sarà tanto occupato. Aladino per quanto fosse innamorato, fu costretto ad accontentarsi di questa scusa e ad armarsi di pazienza. Ebbe se non altro la soddisfazione di vedere che sua madre aveva fatto il passo più difficile, quello cioè di sostenere la vista del sultano e di sperare che, seguendo l'esempio di quelli che gli avevano parlato in sua presenza, anche lei non avrebbe esitato a eseguire l'incarico che le aveva affidato, quando le si sarebbe presentato il momento favorevole per parlargli. Il giorno dopo, sempre di buon'ora come il giorno precedente, la madre di Aladino andò ancora al palazzo del sultano col dono delle pietre preziose; ma il suo viaggio fu inutile: trovò chiusa la porta del Divano, e seppe che il consiglio si teneva solo ogni due giorni e che sarebbe perciò dovuta ritornare il giorno dopo. Andò a portare questa notizia a suo figlio, che fu costretto a pazientare ancora. Vi tornò altre sei volte, nei giorni stabiliti, mettendosi sempre di fronte al sultano, ma con lo stesso scarso successo della prima volta, e forse vi sarebbe tornata inutilmente altre cento volte, se il sultano, che la vedeva sempre di fronte a lui in ogni seduta, non l'avesse notata. Questo è tanto più probabile, in quanto soltanto quelli che dovevano presentare qualche richiesta si avvicinavano a turno al sultano, per perorare la propria causa secondo il loro ordine, e non era questo il caso della madre di Aladino. Finalmente, quel giorno, dopo la chiusura del consiglio, quando il sultano fu rientrato nel suo appartamento, disse al gran visir:
Già da un po' di tempo ho notato una donna che viene regolarmente ogni giorno in cui tengo consiglio, e che porta qualcosa avvolto in un fazzoletto; resta in piedi dall'inizio dell'udienza fino alla fine, e cerca di mettersi di fronte a me: sapete che cosa vuole?
Il gran visir, che non ne sapeva più del sultano, non volle tuttavia restare muto:
Sire,
rispose,
Vostra Maestà non ignora che le donne hanno spesso da lamentarsi per cose da niente: evidentemente questa di cui parliamo viene a lamentarsi con Vostra Maestà perché le è stata venduta una farina cattiva o per qualche altro torto dello stesso genere.
Il sultano non fu soddisfatto da questa risposta.
Il prossimo giorno di consiglio,
riprese,
se quella donna torna, non mancate di farla chiamare, affinché possa ascoltarla. Il gran visir rispose soltanto baciandosi la mano e mettendosela in testa, per dimostrare che era pronto a perderla se non avesse eseguito l'ordine del sultano. La madre di Aladino aveva già preso tanta confidenza nell'apparire al consiglio di fronte al sultano, da non far caso alla propria stanchezza pur di far sapere al figlio che non tralasciava niente di tutto ciò che dipendeva da lei per accontentarlo. Tornò dunque a palazzo il giorno di consiglio, e si mise all'ingresso del Divano, come al solito proprio di fronte al sultano. Il gran visir non aveva ancora cominciato il suo rapporto su nessun affare, quando il sultano vide la madre di Aladino. Preso da compassione per la lunga pazienza della quale era stato testimone, disse al gran visir:
Prima di ogni cosa, per paura che lo dimentichiate, ecco la donna di cui vi parlai ultimamente; fatela venire e cominciamo con l'ascoltarla e sbrighiamo la faccenda che la porta qui. Subito il gran visir indicò la donna al capo degli uscieri, il quale era in piedi, pronto a ricevere i suoi ordini, e gli ordinò di andare a chiamarla e di farla avvicinare. Il capo degli uscieri si avvicinò alla madre di Aladino, e al suo cenno, lei lo seguì fino ai piedi del trono del sultano, dove l'usciere la lasciò per andare a riprendere il suo posto, vicino al gran visir. La madre di Aladino, istruita dall'esempio di tante altre persone che aveva visto avvicinarsi al sultano, si prosternò con la fronte sul tappeto che ricopriva i gradini del trono, e restò in questa posizione finché il sultano non le ordinò di rialzarsi. Ella si alzò; e allora il sultano le disse:
Buona donna, da molto tempo vi vedo venire al mio divano, e restare sulla porta dall'inizio alla fine: che cosa vi porta qui? La madre di Aladino si prosternò una seconda volta, dopo aver ascoltato queste parole; e, quando si fu rialzata, disse:
Sovrano superiore a tutti i sovrani del mondo, prima di esporre a Vostra Maestà la ragione straordinaria e quasi incredibile che mi porta davanti al vostro trono sublime, supplico di perdonare l'ardire per non dire l'impudenza della richiesta che vengo a fare: essa è così poco comune, che tremo e ho vergogna di rivolgerla al mio sultano. Per darle completa libertà di spiegarsi, il sultano ordinò che tutti uscissero dal Divano e che lo lasciassero solo col suo gran visir; e poi le disse che poteva parlare e spiegarsi senza timore. La madre di Aladino non si accontentò della bontà del sultano, che le risparmiava l'imbarazzo che lei poteva avere di parlare davanti a tutti, volle anche mettersi al riparo dall'indignazione che doveva temere per la proposta che doveva fargli e che lui non si aspettava.
Sire,
disse ricominciando a parlare,
oso ancora supplicare Vostra Maestà, nel caso giudichi la mia domanda minimamente offensiva o ingiuriosa, di assicurarmi prima il suo perdono e di accordarmene la grazia.
Qualunque possa essere,
replicò il sultano,
ve la perdono fin da ora, e non vi succederà niente. Parlate senza timore. Quando la madre di Aladino ebbe preso tutte queste precauzioni, da donna che temeva la collera del sultano per una proposta così delicata come quella che doveva fargli, gli raccontò fedelmente in quale occasione Aladino aveva visto la principessa Badrulbudura, l'intenso amore che questa vista fatale gli aveva ispirato, la rivelazione che egli gliene aveva fatta, tutto quello che lei gli aveva detto per distorglierlo da una passione non meno ingiuriosa per Sua Maestà che per la principessa sua figlia.
Ma,
continuò,
mio figlio, ben lontano dall'approfittarne e dal riconoscere il suo ardire, si è ostinato a perseverarvi fino al punto di minacciarmi di qualche atto disperato se avessi rifiutato di venire a chiedere la principessa in moglie a Vostra Maestà; e solo dopo essermi fatta grande violenza mi sono costretta ad accontentarlo, perciò supplico ancora una volta Vostra Maestà di voler accordare il perdono, non solo a me, ma anche a mio figlio Aladino, per aver avuto il temerario pensiero di aspirare a una così alta parentela. Il sultano ascoltò tutto questo discorso con molta dolcezza e bontà senza dare nessun segno di collera o di indignazione, e senza neppure burlarsi della domanda. Ma, prima di rispondere a quella brava donna, le chiese che cosa aveva portato avvolto in quel panno. Subito lei prese il vaso di porcellana che aveva messo ai piedi del trono prima di prosternarsi; lo scoprì e lo diede al sultano. Non è possibile esprimere la meraviglia e lo stupore del sultano quando vide riunite in quel vaso tante pietre di così grande valore, così preziose, così perfette, così splendenti e di tale grandezza che non ne aveva ancora viste di simili. Per qualche minuto fu in preda a un'ammirazione tanto grande da restare immobile. Dopo essersi ripreso, ricevette il dono dalle mani della madre di Aladino, esclamando in un impeto di gioia:
Ah! Come sono belle! sono magnifiche!
Dopo aver ammirato e toccato tutte le pietre preziose le une dopo le altre, valutandole ognuna per ciò che le distingueva, si rivolse al gran visir e, mostrandogli il vaso, disse:
Guarda e ammetti che al mondo non si può vedere niente di più ricco né di più perfetto. Il visir ne fu incantato.
Ebbene!
continuò il sultano, che dici di un simile dono? Non è degno della principessa mia figlia? e non posso darla, a questo prezzo, a colui che me la fa chiedere in moglie? Queste parole misero il gran visir in una strana agitazione. Da un po' di tempo, il sultano gli aveva fatto capire che aveva l'intenzione di dare la principessa in moglie a suo figlio. Egli temette, e non senza ragione, che il sultano, abbagliato da un dono così ricco e così straordinario, cambiasse idea. Si avvicinò al sultano; e, parlando all'orecchio gli disse:
Sire, non si può negare che il dono non sia degno della principessa; ma supplico Vostra Maestà di accordarmi tre mesi prima di decidersi: spero che prima di allora mio figlio, sul quale come avete avuto la bontà di dirmi, avete messo gli occhi, potrà fargliene uno più pregiato di questo di Aladino che Vostra Maestà non conosce. Il sultano, sebbene fosse convinto che non era possibile che il suo gran visir potesse trovare per suo figlio un dono dello stesso valore da fare alla principessa, tuttavia lo ascoltò ugualmente e gli accordò questa grazia. Perciò rivolgendosi alla madre di Aladino, le disse:
Andate, brava donna; tornate a casa, e dite a vostro figlio che gradisco la proposta che mi avete fatto da parte sua; ma non posso fare sposare la principessa mia figlia prima di averle fatto arredare un appartamento, che sarà pronto soltanto fra tre mesi. Perciò, ritornate allo scadere di questo termine. La madre di Aladino tornò a casa in preda a una gioia tanto maggiore in quanto, per la sua condizione, aveva dapprima considerato impossibile l'accesso presso il sultano, e perché, d'altra parte, aveva ottenuto una risposta cosi favorevole mentre si era aspettata un rifiuto che l'avrebbe coperta di vergogna. Due cose fecero pensare ad Aladino quando vide entrare la madre, che lei gli portava una buona notizia: la prima, che tornava più presto del solito; l'altra che aveva il viso contento e aperto.
Ebbene! madre mia,
le disse,
devo sperare? devo morire di disperazione?
Dopo essersi tolta il velo ed essersi seduta accanto a lui sul divano, la madre gli disse:
Figlio mio, per non tenervi troppo nell'incertezza, comincerò con il dirvi che, ben lungi dal pensare a morire, avete tutte le ragioni per essere contento. Continuando a parlare, gli raccontò in che modo avesse ottenuto udienza prima di tutti, e perciò fosse tornata così presto; le precauzioni che aveva preso per fare al sultano, senza che se ne offendesse, la sua proposta di matrimonio con la principessa Badrulbudura, e la risposta completamente favorevole che il sultano le aveva dato personalmente. Ella aggiunse che, da quanto poteva giudicare dai segni manifestati dal sultano, soprattutto il dono aveva avuto un potente effetto sul suo animo per deciderlo alla risposta favorevole che lei gli portava.
Tanto meno me l'aspettavo,
disse ancora,
in quanto il gran visir gli ha parlato all'orecchio prima che il sultano mi rispondesse, e temevo che volesse distorglierlo dalla buona volontà che egli poteva avere per voi. Aladino si considerò il più felice dei mortali apprendendo questa notizia. Ringraziò sua madre di tutte le pene che si era presa per farlo riuscire nel suo disegno, il cui successo era tanto importante per la sua pace; e, impaziente com'era di ottenere l'oggetto della sua passione, benché tre mesi gli sembrassero lunghissimi, tuttavia si dispose ad aspettare con pazienza, fidandosi della parola del sultano, che egli considerava irrevocabile. Mentre contava non solo le ore, i giorni e le settimane, ma perfino i minuti, nell'attesa che fosse passato il termine, erano passati circa due mesi, quando una sera la madre, volendo accendere la lampada, si accorse che non c'era più olio in casa. Ella uscì per andare a comprarlo; e mentre camminava per la città, vide che tutto era in festa. Infatti, le botteghe, invece di essere chiuse, erano aperte; venivano ornate di foglie, si preparavano luminarie, tutti si sforzavano di farlo con più pompa e magnificenza per meglio manifestare il proprio zelo; tutti insomma davano dimostrazioni di gioia e di allegria. Le vie erano anche piene di ufficiali in abito da cerimonia che montavano cavalli riccamente bardati, ed erano circondati da un gran numero di valletti a piedi che andavano e venivano. Lei chiese al mercante dal quale comprò l'olio che cosa significasse tutto questo.
Da dove venite, mia buona signora?
le disse il mercante; non sapete che questa sera il figlio del gran visir sposa la principessa Badrulbudura, figlia del sultano? Tra poco lei uscirà dal bagno, e gli ufficiali che vedete si riuniscono per scortarla fino a palazzo dove avverrà la cerimonia. La madre di Aladino non volle saperne di più. Tornò indietro così in fretta che entrò in casa quasi senza fiato. Trovò il figlio, che tutto si aspettava meno la brutta notizia che lei gli portava.
Figlio mio,
esclamò,
tutto è perduto per voi! Voi contavate sulla bella promessa del sultano, non se ne farà niente. Aladino preoccupato da queste parole, rispose:
Mamma, perché dite che il sultano non manterrà la sua promessa? Come lo sapete?
Questa sera,
replicò la madre,
il figlio del gran visir sposa la principessa Badrulbudura a palazzo.
Gli raccontò in che modo lo aveva saputo, con tanti particolari che egli non ebbe motivo di dubitarne. A questa notizia, Aladino restò immobile, come se fosse stato colpito da un fulmine. Chiunque altro al suo posto ne sarebbe stato abbattuto; ma una segreta gelosia gli impedì di rimanere a lungo in quello stato. Di colpo si ricordò della lampada che gli era stata così utile fino ad allora, e senza lasciarsi andare a vane parole contro il sultano, contro il gran visir o contro il figlio di questo ministro, disse soltanto:
Mamma, il figlio del gran visir forse non sarà questa notte felice come si ripromette. Mentre vado un momento in camera mia, preparate la cena. La madre di Aladino capì benissimo che il figlio voleva fare uso della lampada per impedire, se possibile, che il matrimonio del figlio del gran visir con la principessa giungesse fino alla consumazione, e non si ingannava. Infatti, quando Aladino fu in camera sua, prese la lampada meravigliosa, che egli aveva messo lì per toglierla dalla vista della madre, da quando l'apparizione del genio l'aveva tanto spaventata; prese, dico, la lampada, e la strofinò allo stesso punto delle altre volte. Subito il genio gli comparve davanti.
Che vuoi?
disse ad Aladino;
sono pronto a ubbidirti come tuo schiavo, e schiavo di tutti quelli che hanno la lampada in mano, io e gli altri schiavi della lampada.
Ascolta,
gli disse Aladino,
fino ad ora mi hai portato da mangiare quando ne ho avuto bisogno. Ora si tratta di un affare di tutt'altra importanza. Ho fatto chiedere in moglie al sultano la principessa Badrulbudura, sua figlia; egli me l'ha promessa, e mi ha chiesto una proroga di tre mesi. Invece di mantenere la sua promessa, questa sera, prima che il termine scadesse, egli la sposa al figlio del gran visir: l'ho saputo in questo momento, e la cosa è sicura. Ti chiedo che non appena i novelli sposi saranno coricati tu li prenda e li porti qui entrambi nel loro letto.
Padrone mio,
rispose il genio,
sarai ubbidito. Hai altro da comandare?
Nient'altro per il momento,
rispose Aladino. Subito il genio sparì. Aladino tornò dalla madre, cenò con lei con la stessa tranquillità di sempre. Dopo cena, s'intrattenne per un po' con lei sul matrimonio della principessa, come se la cosa non lo preoccupasse più. Tornò nella sua camera e lasciò la madre libera di coricarsi. Egli non si coricò, ma aspettò il ritorno del genio e l'esecuzione dell'ordine che gli aveva dato. Intanto, tutto era stato preparato con grande magnificenza nel palazzo del sultano per la celebrazione delle nozze della principessa e la serata passò fra cerimonie e festeggiamenti fino a notte molto inoltrata. Quando tutto fu finito, il figlio del gran visir, al segnale del capo degli eunuchi della principessa, se la svignò accortamente, e quest'ufficiale lo introdusse nell'appartamento della principessa sua sposa, fino alla camera dove era preparato il letto nuziale. Egli si coricò per primo. Poco dopo, la sultana, accompagnata dalle sue ancelle e da quelle della principessa sua figlia, portò la novella sposa. Ella faceva grandi resistenze come l'usanza voleva che le novelle spose facessero. La sultana la aiutò a spogliarsi, la mise nel letto come a forza; e, dopo averla abbracciata augurandole la buona notte, si ritirò con tutte le ancelle; e l'ultima che uscì chiuse la porta della camera. Appena la porta della camera fu chiusa, il genio come schiavo fedele della lampada e pronto a eseguire gli ordini di quelli che la possedevano, senza dare il tempo allo sposo di fare la minima carezza alla sua sposa, solleva il letto con lo sposo e la sposa, con grande stupore di entrambi e, in un'istante, lo trasporta nella camera di Aladino dove lo posa. Aladino, che aspettava questo momento con impazienza, non sopportò che il figlio del gran visir rimanesse coricato con la principessa.
Prendi il novello sposo,
disse al genio,
chiudilo nel camerino e torna domani mattina, un po' dopo l'alba. Il genio tirò subito fuori il figlio del gran visir dal letto, in camicia, e lo trasportò nel posto indicatogli da Aladino, dove lo lasciò, dopo avergli gettato addosso un soffio che egli sentì dalla testa ai piedi che gli impedì di muoversi da lì. Sebbene la passione di Aladino per la principessa Badrulbudura fosse molto violenta, tuttavia, quando si vide solo con lei, non le fece un lungo discorso.
Non temete nulla, adorabile principessa,
le disse con aria molto appassionata;
qui siete al sicuro; e, nonostante il mio intenso amore per la vostra bellezza e per le vostre grazie, esso non mi farà mai uscire dai limiti del profondo rispetto che vi devo. Se sono stato costretto,
continuò,
a giungere a questo estremo, non è stato con l'intenzione di offendervi, ma per impedire che un ingiusto rivale vi possedesse, contrariamente alla parola data dal sultano vostro padre in mio favore. La principessa, che non sapeva niente di queste circostanze, prestò pochissima attenzione a tutto quello che Aladino poté dirle. Non era affatto in condizioni di rispondergli. Il terrore e lo stupore in cui era per un'avventura così stupefacente e così poco attesa l'avevano messa in un tale stato, che Aladino non riuscì a tirarle fuori nemmeno una parola. Aladino non si accontentò di questo: prese la risoluzione di spogliarsi e si coricò al posto del figlio del gran visir, con la schiena rivolta alla principessa, dopo aver prese la precauzione di mettere una sciabola tra loro due per significare che egli avrebbe meritato di essere punito se avesse attentato al suo onore. Aladino, contento di aver così privato il suo rivale della felicità di cui si era lusingato di godere quella notte, dormì abbastanza tranquillamente. Non fu così per la principessa Badrulbudura: mai in vita sua le era capitato di passare una notte così incresciosa e così spiacevole; e, se si riflette al posto e allo stato in cui il genio aveva lasciato il figlio del gran visir, si converrà che il novello sposo l'aveva passata in maniera ben più triste. Il giorno dopo, Aladino non ebbe bisogno di strofinare la lampada per chiamare il genio. Egli tornò all'ora che gli era stata indicata mentre Aladino stava finendo di vestirsi.
Eccomi,
disse ad Aladino,
quali sono i tuoi ordini?
Va' a riprendere il figlio del gran visir là dove l'hai portato,
gli disse Aladino;
rimettilo in questo letto e riportarlo nel palazzo del sultano al posto in cui l'hai preso. Il genio andò a liberare il figlio del gran visir, e Aladino stava riprendendo la sua sciabola quando egli riapparve. Mise lo sposo accanto alla principessa, e in un istante riportò il letto nuziale nella stessa camera del palazzo del sultano dove l'aveva preso. Bisogna notare che, in tutto questo tempo, il genio non fu visto né dalla principessa né dal figlio del gran visir. Il suo orribile aspetto sarebbe stato capace di farli morire di terrore. Non sentirono neppure i discorsi tra lui e Aladino; e si accorsero solo che il letto veniva smosso e di essere trasportati da un posto all'altro: era già abbastanza perché essi provassero il terrore che è facile immaginare. Il genio aveva appena rimesso il letto nuziale al suo posto, quando il sultano, curioso di sapere come la principessa sua figlia avesse passato la sua prima notte di nozze, entrò nella sua camera per augurarle il buongiorno. Il figlio del gran visir, intirizzito dal freddo patito per tutta la notte e che non aveva ancora avuto il tempo di riscaldarsi, appena sentì aprirsi la porta, andò subito in uno spogliatoio dove la sera prima si era svestito. Il sultano si avvicinò al letto della principessa, la baciò tra gli occhi secondo le abitudini, augurandole il buongiorno e le chiese, sorridendo, come aveva passato la notte; ma, alzando la testa e guardandola con più attenzione, fu grandemente stupito vedendola così malinconica e notando che lei non gli dimostrava, né con il rossore che avrebbe potuto imporporarle le guance, né con nessun altro segno, quello che avrebbe potuto soddisfare la sua curiosità. Ella gli lanciò uno sguardo tristissimo, in un modo che dimostrava una grande tristezza o un grande scontento. Egli le disse ancora qualcosa; ma, vedendo che non riusciva a tirarle fuori una parola, pensò che tacesse per pudore, e si ritirò. Però sospettò che nel suo silenzio ci fosse qualcosa di straordinario, e questo lo costrinse ad andare immediatamente nell'appartamento della sultana, alla quale fece il racconto dello stato in cui aveva trovato la principessa e dell'accoglienza che gli aveva fatto.
Sire,
gli disse la sultana,
questo non deve stupire Vostra Maestà: non c'è novella sposa che non abbia lo stesso ritegno il giorno dopo le nozze. Non sarà più così fra due o tre giorni: allora lei riceverà il sultano suo padre come deve. Vado a trovarla,
aggiunse,
mi inganno molto se non mi farà la stessa accoglienza. Quando la sultana si fu vestita, andò nell'appartamento della principessa, che non si era ancora alzata; si avvicinò al letto e le diede il buon giorno abbracciandola; il suo stupore fu sommo non solo perché la figlia non le rispose niente, ma anche perché, guardandola, si accorse che era in un grande abbattimento e questo le fece pensare che le fosse successo qualcosa che non riusciva a penetrare.
Figlia mia,
le disse la sultana,
perché rispondete così male alle mie carezze? Proprio con vostra madre dovete assumere questo atteggiamento? Credete che io non sappia che cosa può capitare in una circostanza simile a quella in cui vi trovate voi? Voglio proprio credere che non abbiate questo pensiero, allora vi deve essere capitato qualche altra cosa; confessatemela francamente, e non lasciatemi più a lungo in questa inquietudine che mi opprime. La principessa Badrulbudura ruppe infine il silenzio con un profondo sospiro:
Ah! signora e onoratissima madre,
esclamò,
perdonatemi se ho mancato al rispetto che vi devo! Ho la mente così assorta nelle cose straordinarie che mi sono capitate questa notte, che non mi sono ancora completamente ripresa dal mio stupore né dai miei terrori, e che stento persino a raccapezzarmi. Allora, le raccontò coi colori più vivaci in che modo, un istante dopo essersi messa a letto insieme col suo sposo, il letto era stato sollevato e trasportato, in un attimo, in una camera sporca e scura, dove si era trovata sola e separata dal suo sposo, senza sapere che cosa fosse successo di lui, e dove aveva visto un giovane il quale dopo avere detto alcune parole che il terrore le aveva impedito di sentire, si era coricato al posto del suo sposo, dopo aver messo la sua sciabola tra di loro; e che il suo sposo le era stato reso e il letto riportato al suo posto, altrettanto rapidamente.
Tutto questo era appena avvenuto,
aggiunse,
quando il sultano mio padre è entrato in camera mia; io ero così accasciata dalla tristezza, che non ho avuto la forza di rispondergli una sola parola;: perciò sono sicura che egli si è indignato per la maniera in cui ho ricevuto l'onore che mi ha fatto; ma spero che mi perdonerà, quando saprà la mia triste avventura e il pietoso stato in cui mi trovo ancora in questo momento. La sultana ascoltò molto tranquillamente tutto quello che la principessa volle raccontarle; ma non volle prestarvi fede.
Figlia mia,
le disse,
avete fatto bene a non parlare di questo al sultano vostro padre. Guardatevi dal dirne qualcosa ad alcuno: vi prenderebbero per pazza se vi sentissero parlare così.
Signora,
riprese la principessa,
posso assicurarvi che vi parlo essendo completamente in me; potrete chiederlo al mio sposo: vi dirà la stessa cosa.
Glielo chiederò,
replicò la sultana;
ma, anche se mi confermasse quello che mi avete raccontato, non ne sarei più convinta di ora. Alzatevi, intanto, e scacciate dalla vostra mente questa fantasia; bella cosa turbare, per una visione simile, le feste ordinate per le vostre nozze, che devono continuare per parecchi giorni in questo palazzo e in tutto il regno! Non sentite già il suono delle fanfare e i concerti di trombe, timpani e tamburi? Tutto questo deve ispirarvi la gioia e il piacere, e farvi dimenticare tutte le fantasie di cui mi avete parlato. Nello stesso tempo la sultana chiamò le ancelle della principessa; e, dopo che esse l'ebbero aiutata ad alzarsi, la sultana, quando ebbe visto la figlia alla specchiera, andò nell'appartamento del sultano: gli disse che in verità la figlia doveva aver avuto qualche fantasia per la mente, ma che non era niente. Fece chiamare il figlio del visir, per sapere da lui qualche cosa di quanto le aveva detto la principessa; ma il figlio del visir, che si considerava infinitamente onorato di imparentarsi col sultano, aveva deciso di fingere.
Mio caro genero,
gli disse la sultana,
ditemi, siete in preda alla stessa fissazione della vostra sposa?
Signora, rispose il figlio del visir,
posso osare chiedervi per quale ragione mi fate questa domanda?
Basta così,
replicò la sultana;
non voglio sapere altro: voi siete più saggio di lei. A palazzo i festeggiamenti durarono per tutto il giorno; e la sultana, che non abbandonò mai la principessa, non tralasciò niente per ispirarle la gioia e per farle prendere parte ai divertimenti che le offrivano con diversi generi di spettacoli; ma lei era tanto colpita dal pensiero di ciò che le era successo la notte, che, come era facile vedere, ne era completamente assorta. Il figlio del gran visir non era meno prostrato dalla brutta notte che aveva passato; ma la sua ambizione lo indusse a dissimulare; e, vedendolo, nessun dubitò che non fosse uno sposo felicissimo. Aladino, che era ben informato di quanto accadeva a palazzo, fu sicuro che gli sposi si sarebbero coricati insieme, nonostante la spiacevole avventura capitata loro la notte precedente. Aladino non aveva nessuna voglia di lasciarli tranquilli. Perciò, appena cominciò a scendere la notte, ricorse alla lampada. Subito il genio apparve e rivolse ad Aladino lo stesso complimento delle altre volte, offrendogli i suoi servigi .
Il figlio del gran visir e la principessa Badrulbudura,
gli disse Aladino,
devono ancora dormire insieme questa notte; va', e appena si saranno coricati, portami qui il letto, come ieri. Il genio servì Aladino con la stessa fedeltà e precisione del giorno prima: il figlio del visir passò la notte nello stesso brutto modo come aveva già fatto, e la principessa ebbe la stessa mortificazione di avere Aladino come compagno di letto, con la sciabola posta tra loro due. Il genio, seguendo gli ordini di Aladino, ritornò la mattina dopo, rimise lo sposo accanto alla sposa, prese il letto e lo riportò nella camera del palazzo dove l'aveva preso. Il sultano, dopo l'accoglienza che la principessa Badrulbudura gli aveva riservata il giorno prima, preoccupato di sapere come avesse passato la seconda notte e se l'accogliesse di nuovo nello stesso modo, andò nella sua camera, sempre di buon mattino, per informarsene. Il figlio del gran visir, più vergognoso e più mortificato del fallimento di quest'ultima notte che della prima, appena sentì venire il sultano, si alzò precipitosamente e si slanciò nello spogliatoio. Il sultano si avvicinò al letto della principessa augurandole il buon giorno; e, dopo averle fatto le stesse carezze del giorno prima, le chiese:
Ebbene, figlia mia, questa mattina siete dello stesso cattivo umore di ieri? Volete dirmi come avete passato la notte? La principessa mantenne lo stesso silenzio, e il sultano si accorse che aveva l'animo molto meno tranquillo e che era più abbattuta della prima volta. Non dubitò che fosse successo qualcosa di straordinario. Allora, irritato del mistero che lei ne faceva, le disse molto adirato e con la sciabola in pugno: Figlia mia, o mi dite quel che mi nascondete, o vi taglio subito la testa. La principessa, più spaventata dal tono e dalla minaccia del sultano offeso che dalla vista della sciabola sguainata, ruppe infine il silenzio:
Mio caro padre e sultano,
esclamò con le lacrime agli occhi,
chiedo perdono a Vostra Maestà se l'ho offesa. Spero dalla vostra bontà e dalla vostra clemenza che farete subentrare la compassione alla collera, quando vi avrò fatto il racconto fedele del triste e pietoso stato in cui mi sono trovata per tutta questa notte e per tutta la notte scorsa. Dopo questo preambolo, che calmò e intenerì un po' il sultano, gli raccontò fedelmente tutto quello che le era successo in quelle due orribili notti, ma in modo così commovente che egli ne fu vivamente addolorato per l'amore e la tenerezza che provava per lei. Lei finì con queste parole:
Se Vostra Maestà ha il minimo dubbio sul racconto che gli ho fatto, può informarsene dallo sposo che mi ha dato. Sono sicura che egli confermerà la verità di quanto ho detto. Il sultano condivise interamente l'estrema sofferenza che un'avventura così stupefacente doveva aver causato alla principessa:
Figlia mia,
le disse,
avete fatto molto male a non spiegarvi con me fin da ieri su una faccenda così strana come quella che mi avete raccontata, alla quale non sono meno interessato di voi. Io non vi ho fatto sposare con l'intenzione di rendervi infelice, ma piuttosto con lo scopo di rendervi felice e contenta, e di farvi godere di tutta la felicità che meritate e che potevate sperare con uno sposo che mi era sembrato adatto a voi. Cancellate dalla vostra mente il brutto ricordo di tutto quello che mi avete raccontato. Farò in modo che non vi capitino più notti così spiacevoli e così poco sopportabili come le due che avete passato. Appena il sultano fu rientrato nel suo appartamento, mandò a chiamare il gran visir.
Visir,
gli disse,
avete visto vostro figlio? Non vi ha detto niente?
Poiché il gran visir gli rispose di non averlo visto, il sultano gli fece il racconto di tutto ciò che gli aveva narrato la principessa Badrulbudura. E finendo, aggiunse:Non dubito che mia figlia mi abbia detto la verità; sarei lieto, tuttavia, di averne la conferma dalla testimonianza di vostro figlio: andate da lui e chiedetegli come stanno le cose. Il gran visir non tardò ad andare a raggiungere suo figlio, lo mise a conoscenza di quanto il sultano gli aveva comunicato, e gli comandò di non nascondergli la verità e di dirgli se tutto ciò era vero.
Non ve la nasconderò, padre mio,
gli rispose il figlio; tutto quello che la principessa ha detto al sultano è vero; ma non ha potuto dirgli i cattivi trattamenti che sono stati inflitti solo a me; eccoli: dopo il mio matrimonio ho passato le due notti più crudeli che si possano immaginare, e non ho parole per descrivervi esattamente e con tutte le loro circostanze i dolori che ho sopportato. Non vi parlo del terrore che ho provato sentendomi portare via quattro volte nel mio letto, senza vedere chi sollevava il letto e lo trasportava da un posto all'altro, e senza riuscire ad immaginare come questo fosse possibile. Giudicherete voi stesso l'orribile stato nel quale mi sono trovato, quando vi dirò che ho passato due notti, in piedi e in camicia, in una specie di stretto camerino, senza avere la libertà di muovermi dal posto dove ero stato messo e senza poter fare nessun movimento, sebbene apparentemente non vedessi nessun ostacolo che potesse verosimilmente impedirmelo. Detto questo, non è necessario che io aggiunga altro per raccontarvi i particolari delle mie sofferenze. Non vi nasconderò che questo non mi ha impedito di avere per la principessa mia sposa tutti i sentimenti d'amore, di rispetto e di riconoscenza che lei merita; ma vi confesso in buona fede che, con tutto l'onore e tutto lo splendore che mi derivano dall'avere sposato la figlia del mio sovrano, preferirei morire piuttosto che avere più a lungo l'onore di una così illustre parentela se è necessario sopportare trattamenti così sgradevoli come quelli che ho già patiti. Non dubito affatto che la principessa non provi i miei stessi sentimenti; e lei sarà sicuramente d'accordo che la nostra separazione non è meno necessaria alla sua tranquillità che alla mia. Perciò, padre mio, vi supplico, per lo stesso affetto che vi ha portato a procurarmi un così grande onore, di far accettare al sultano che il nostro matrimonio sia dichiarato nullo. Per quanto grande fosse l'ambizione del gran visir di vedere suo figlio genero del sultano, tuttavia, vedendo la sua ferma decisione di separarsi dalla principessa, ritenne che non era opportuno proporgli di aver pazienza, almeno per qualche giorno ancora, per vedere se questa faccenda avesse termine. Lo lasciò e andò a riferire la sua risposta al sultano, al quale confessò sinceramente che la cosa era fin troppo vera, dopo quanto aveva sentito dal figlio. Senza neppure aspettare che il sultano gli parlasse di rompere il matrimonio, cosa alla quale lo vedeva molto ben disposto, lo supplicò di permettere che suo figlio lasciasse il palazzo e ritornasse a casa sua, prendendo a pretesto che non era giusto esporre la principessa neppure un minuto di più a una persecuzione così terribile per amore di suo figlio. Il gran visir non ebbe difficoltà a ottenere quello che chiedeva. Subito il sultano, che aveva già deciso la cosa, diede ordine di far cessare i festeggiamenti a palazzo e in città, e anche in tutto il suo regno, dove fece spedire ordini che revocavano i primi, e in brevissimo tempo tutte le manifestazioni di gioia e i pubblici festeggiamenti cessarono in tutta la città e nel regno. Questo cambiamento repentino e così inatteso fece nascere molte diverse supposizioni; ci si chiedeva reciprocamente il motivo di questo contrattempo; e altro non si diceva se non che si era visto il gran visir uscire da palazzo e ritornarsene a casa accompagnato dal figlio, tutti e due con un'aria molto triste. Solo Aladino conosceva il segreto e si rallegrava dentro di sé del successo procuratogli dalla lampada. Perciò appena ebbe saputo con certezza che il suo rivale aveva abbandonato il palazzo e che il matrimonio con la principessa era definitivamente annullato, non ebbe più bisogno di strofinare ulteriormente la lampada né di chiamare il genio per impedire che venisse consumato. Stranamente, né il sultano né il gran visir, che avevano dimenticato Aladino e la domanda che lui aveva fatto fare, ebbero il minimo dubbio che egli potesse avere a che fare con l'incantesimo che aveva provocato lo scioglimento del matrimonio della principessa. Intanto, Aladino lasciò passare i tre mesi che il sultano aveva stabilito come termine per far celebrare il suo matrimonio con la principessa Badrulbudura; egli ne aveva contato tutti i giorni con grande cura, e, appena trascorsi, non mancò di mandare subito la madre a palazzo per ricordare al sultano la parola che aveva dato. La madre di Aladino andò a palazzo, come suo figlio le aveva detto, e andò a mettersi all'ingresso del Divano, nello stesso punto delle altre volte. Appena il sultano alzò gli occhi su di lei, la riconobbe e si ricordò contemporaneamente della domanda che gli aveva fatto e del periodo al quale lui l'aveva rinviata. In quel momento il gran visir stava facendogli il rapporto di un affare.
Visir,
gli disse il sultano interrompendolo,
vedo la brava donna che qualche mese fa ci fece un così bel dono, fatela venire; riprenderete il vostro rapporto dopo che l'avrò ascoltata. Il gran visir, guardando verso l'ingresso del Divano, vide anche lui la madre di Aladino. Subito chiamò il capo degli uscieri, indicandogliela, e gli diede l'ordine di farla venire avanti. La madre di Aladino avanzò fino a piedi del trono, dove si prosternò secondo la sua abitudine. Dopo che si fu rialzata, il sultano le chiese che cosa volesse.
Sire,
gli rispose,
mi presento ancora davanti al vostro trono per ricordarvi, in nome di mio figlio Aladino, che i tre mesi fissati per accogliere la domanda che avevo avuto l'onore di rivolgervi sono passati, e vi supplico di avere la bontà di ricordarvene. Il sultano, rinviando di tre mesi la sua risposta alla domanda di quella brava donna, la prima volta in cui l'aveva vista, aveva pensato che non avrebbe più sentito parlare di un matrimonio che egli considerava poco adatto alla principessa sua figlia, soltanto considerando la bassa condizione e la povertà della madre di Aladino, la quale si presentava da lui vestita molto modestamente. Tuttavia, l'intimazione di mantenere la sua parola, che ella veniva a fargli, gli sembrò imbarazzante; non ritenne opportuno risponderle subito, consultò il gran visir e gli manifestò quanto gli ripugnasse concludere il matrimonio della principessa con uno sconosciuto, il quale, come immaginava, doveva possedere un patrimonio molto inferiore al più mediocre. Il gran visir non esitò a esprimere la sua opinione al sultano:
Sire,
gli disse,
mi sembra che ci sia un mezzo infallibile per evitare un matrimonio così sproporzionato senza che Aladino, anche se fosse sconosciuto da Vostra Maestà, possa lamentarsene: mettere la principessa a un prezzo così alto che le sue ricchezze, quali che possano essere, non possano bastare. Sarà il mezzo per farlo rinunciare a un progetto tanto ardito, per non dire temerario, al quale non deve certamente aver ben pensato prima di impegnarvisi. Il sultano approvò il consiglio del gran visir. Si rivolse verso la madre di Aladino; e, dopo qualche minuto di riflessione, le disse:
Mia brava donna, i sultani devono mantenere la loro parola; sono pronto a mantenere la mia e a rendere vostro figlio felice facendogli sposare la principessa mia figlia; ma, poiché non posso dargliela in sposa senza sapere quale vantaggio lei vi troverà, direte a vostro figlio che manterrò la mia parola appena egli mi avrà inviato quaranta grandi vassoi di oro massiccio, pieni delle stesse cose che mi avete già offerto da parte sua, portati da uno stesso numero di schiavi negri, che dovranno essere accompagnati da altri quaranta schiavi bianchi giovani, ben fatti e di bella statura, tutti vestiti con grande ricchezza: queste sono le condizioni alle quali sono pronto a dargli la principessa mia figlia. Andate, brava donna, aspetterò che mi portiate la sua risposta. La madre di Aladino si prosternò davanti al trono del sultano, e andò via. Per strada, rideva tra sé della folle immaginazione di suo figlio.. "Dove troverà,
diceva,
tanti vassoi d'oro e una così grande quantità di quei vetri colorati da riempirli? Ritornerà nel sotterraneo il cui ingresso è chiuso, per coglierli dagli alberi? E tutti questi schiavi così ben fatti, come vuole il sultano, dove li prenderà? La sua pretesa lo porta molto lontano; e credo che non sarà affatto contento della mia ambasciata". Quando fu tornata a casa con la mente presa da tutti questi pensieri, che le facevano credere che Aladino non avesse più niente da sperare gli disse:
Figlio mio, vi consiglio di non pensare più al matrimonio con la principessa Badrulbudura. Il sultano, per la verità, mi ha ricevuto con molta bontà. e credo che fosse ben intenzionato verso di voi, ma il gran visir, se non m'inganno, gli ha fatto cambiare idea, e potete presumerlo come me da quanto ora sentirete. Dopo aver fatto notare a Sua Maestà che i tre mesi erano passati e che lo pregavo, da parte vostra, di ricordarsi della sua promessa, ho notato che mi ha dato la risposta, che ora vi riferirò, solo dopo aver parlato per un po' a bassa voce col gran visir.
La madre di Aladino fece un racconto esattissimo a suo figlio di tutto quello il sultano le aveva detto e delle condizioni alle quali avrebbe acconsentito al suo matrimonio con la principessa sua figlia. E, finendo, gli disse:
Figlio mio, egli aspetta la vostra risposta; ma, detto tra di noi,
continuò sorridendo,
credo che aspetterà a lungo.
Non così a lungo come pensate, madre mia,
rispose Aladino, e anche il sultano si sbaglia se ha creduto, con le sue esose richieste, di mettermi in condizione di non pensare più alla principessa Badrulbudura. Io mi aspettavo altre difficoltà insuperabili, o che mettesse la mia incomparabile principessa a un prezzo molto più alto; ma ora sono contento, e quello che lui mi chiede è poca cosa in confronto a quanto sarei in condizione di dargli per poterla possedere. Mentre io penserò a soddisfarlo, andate a comprare il necessario per il pranzo e lasciatemi fare. Appena la madre di Aladino fu uscita per andare a fare la spesa Aladino prese la lampada e la strofinò: subito il genio gli si presentò davanti; e, negli stessi termini che abbiamo già detto, gli chiese che cosa avesse da ordinargli, dicendo che era pronto a servirlo. Aladino gli rispose:
Il sultano mi concede la mano della principessa sua figlia, ma mi chiede prima quaranta grandi vassoi d'oro massiccio e ben pesanti, colmi dei frutti del giardino in cui ho preso la lampada della quale tu sei lo schiavo. Vuole ancora da me che questi quaranta vassoi siano portati da altrettanti schiavi negri, preceduti da quaranta schiavi bianchi, giovani, ben fatti, di bella corporatura e vestiti molto riccamente. Va', e portami al più presto questi doni affinché io li invii al sultano prima che finisca la seduta del Divano. Il genio gli disse che il suo ordine sarebbe stato immediatamente eseguito e sparì. Pochissimo tempo dopo, il genio riapparve accompagnato da quaranta schiavi negri, ognuno dei quali portava sulla testa un vassoio d'oro massiccio del peso di venti marchi, pieno di perle, diamanti, rubini e smeraldi scelti meglio, anche per bellezza e grandezza, di quelli che erano già stati offerti al sultano, ogni vassoio era coperto da una tela d'argento a fiori d'oro. Tutti quegli schiavi, negri e bianchi, insieme con i piatti d'oro, occupavano quasi tutta la casa, che era piuttosto piccola, con un piccolo cortile davanti e un giardinetto sul retro. Il genio chiese ad Aladino se fosse contento e se avesse da dargli qualche altro ordine. Aladino gli disse che non aveva bisogno di altro, e subito il genio sparì. La madre di Aladino tornò dal mercato; e, entrando, fu enormemente stupita di vedere tante persone e tante ricchezze. Dopo aver posato le provviste, volle togliersi il velo che le copriva il viso, ma Aladino glielo impedì.
Madre mia,
disse,
non c'è tempo da perdere: prima che il sultano tolga la seduta del Divano, dovete ritornare a palazzo e portare subito il dono e la dote della principessa Badrulbudura, che egli mi ha richiesto, affinché, dalla mia sollecitudine e dalla mia precisione, si renda conto dello zelo ardente e sincero che ho di procurarmi l'onore di imparentarmi con lui. Senza aspettare la risposta della madre, Aladino aprì la porta di strada e fece sfilare successivamente tutti questi schiavi, alternando sempre uno schiavo bianco a uno schiavo negro che portava un vassoio d'oro sulla testa, e così fino all'ultimo. Quando sua madre fu uscita, seguendo l'ultimo schiavo negro, chiuse la porta e rimase tranquillamente in camera sua, con la speranza che il sultano, dopo questo dono che era proprio come aveva richiesto, avrebbe finalmente acconsentito ad accettarlo come genero. Il primo schiavo bianco uscito dalla casa di Aladino aveva fatto fermare tutti i passanti che lo avevano visto, e prima che gli ottanta schiavi, uno bianco alternato a un negro, fossero tutti usciti, la strada si era riempita di una grande massa di popolo che accorreva da ogni parte per vedere uno spettacolo così splendido e straordinario. Il vestito di ogni schiavo era così ricco per stoffe e pietre preziose, che i migliori intenditori non credettero di sbagliare valutando il prezzo di ogni abito a più di un milione. La grande eleganza, la forma ben studiata di ogni abito, la grazia, il bell'aspetto, la bella statura uniforme di ogni schiavo, il loro passo maestoso, a uguale distanza l'uno dall'altro insieme con lo splendore delle pietre preziose di enorme grandezza, incastonate intorno alle loro cinture di oro massiccio in bella simmetria, e le insegne di pietre preziose attaccate ai loro berretti, di un gusto tutto particolare, suscitarono in tutta questa folla di spettatori un'ammirazione così grande che non potevano stancarsi di guardarli e di seguirli con gli occhi il più lontano possibile. Ma le vie erano così stracolme di popolo che nessuno poteva muoversi dal proprio posto. Poiché, per arrivare al palazzo del sultano, bisognava attraversare parecchie strade, questo fece sì che una buona parte della città, gente di ogni ceto e condizione, fosse testimone di uno sfarzo così affascinante. Il primo degli ottanta schiavi arrivò alla porta del primo cortile del palazzo; e i portinai, che avevano fatto ala, appena si accorsero che questo meraviglioso corteo si avvicinava, lo scambiarono per un re, tanto era riccamente e magnificamente vestito; essi gli andarono incontro per baciargli l'orlo della veste; ma lo schiavo, istruito dal genio, li fermò e disse loro gravemente:
Noi siamo soltanto schiavi; il nostro padrone arriverà quando sarà il momento. Il primo schiavo, seguito da tutti gli altri, continuò fino al secondo cortile, che era spaziosissimo e nel quale i dignitari del sultano si sistemavano durante la seduta del Divano. Gli ufficiali, alla testa di ogni drappello, erano vestiti con grande ricchezza, ma essa fu cancellata di fronte agli ottanta schiavi portatori del dono di Aladino. Niente sembrò così bello né così ricco in tutto il seguito del sultano e tutto lo splendore dei dignitari della sua corte, che lo circondavano, non era niente in confronto a quello che in quel momento gli si presentava allo sguardo. Poiché il sultano era stato avvertito del corteo e dell'arrivo di questi schiavi, egli aveva dato ordine di farli entrare. Perciò, appena arrivarono, trovarono libero l'ingresso del Divano, e vi entrarono in bell'ordine, una parte a destra e l'altra a sinistra. Quando tutti furono entrati ed ebbero formato un grande semicerchio davanti al trono del sultano, gli schiavi negri posarono ciascuno il proprio vassoio sul tappeto. Si prosternarono tutti assieme, battendo la fronte contro il tappeto, tutti gli schiavi bianchi fecero la stessa cosa contemporaneamente. Si rialzarono tutti assieme; e i negri, nel farlo, scoprirono abilmente i vassoi che avevano davanti, e restarono tutti in piedi, con le mani incrociate sul petto, con grande modestia. La madre di Aladino, che intanto era arrivata fino ai piedi del trono, dopo essersi prosternata disse al sultano:
Sire, mio figlio Aladino non ignora che questo dono che egli manda a Vostra Maestà è molto inferiore a quanto merita la principessa Badrulbudura; tuttavia egli spera, Maestà, che lo gradirete e che vi compiacerete di farlo gradire anche alla principessa, con tanta maggiore fiducia in quanto egli ha cercato di conformarsi alla condizione che voi avete voluto imporgli. Il sultano non era in grado di prestare attenzione al complimento della madre di Aladino. Il primo sguardo lanciato sui quaranta vassoi d'oro, pieni fino all'orlo delle gemme più brillanti, più splendenti e più preziose che mai si fossero viste al mondo, e sugli ottanta schiavi che sembravano altrettanti re, sia per il loro bell'aspetto sia per la ricchezza e la stupefacente magnificenza dei loro abbigliamenti, l'aveva colpito tanto che non poteva riprendersi dalla sua ammirazione. Invece di rispondere al complimento della madre di Aladino, si rivolse al gran visir, che non riusciva lui stesso a capire da dove potesse essere arrivata una così grande profusione di ricchezze.
Ebbene! visir,
disse a voce alta,
che pensate di colui, chiunque possa essere, che mi invia un dono così ricco e così straordinario, e che né voi né io conosciamo? Lo giudicate indegno di sposare la principessa Badrulbudura mia figlia? Nonostante la gelosia e il dolore che il gran visir ebbe nel vedere che uno sconosciuto sarebbe diventato genero del sultano al posto di suo figlio, egli non osò tuttavia nascondere il suo pensiero. Era assai evidente che il dono di Aladino era più che sufficiente da meritare che egli fosse accolto in una così illustre parentela. Rispose dunque al sultano, e, condividendo la sua opinione, disse:
Sire, ben lontano dal pensare che colui che ha fatto a Vostra Maestà un dono tanto degno sia immeritevole dell'onore che voi volete fargli, oserei dire che meriterebbe di più, se non fossi convinto che non esiste al mondo tesoro abbastanza ricco da essere messo sulla bilancia con la principessa figlia di Vostra Maestà. I signori della corte, che partecipavano alla seduta del consiglio, dimostrarono con i loro applausi che la loro opinione non era diversa da quella del gran visir. Il sultano non aspettò oltre; non pensò neppure ad informarsi se Aladino avesse altre qualità necessarie a colui che poteva aspirare a diventare suo genero. La sola vista di tante immense ricchezze e la sollecitudine con la quale Aladino aveva soddisfatto la sua richiesta, senza aver mosso la minima difficoltà a condizioni tanto esorbitanti quanto quelle che gli aveva imposto, lo convinsero facilmente che non gli mancava niente di tutto quello che poteva renderlo perfetto e come lui voleva. Perciò, per congedare la madre di Aladino con la soddisfazione che lei poteva desiderare, le disse:
Brava donna, andate a dire a vostro figlio che lo aspetto per riceverlo a braccia aperte e abbracciarlo; e che quanto più sollecitamente verrà a ricevere dalla mia mano il dono che gli ho fatto della principessa mia figlia, tanto più mi farà piacere. Appena la madre di Aladino fu andata via, con la gioia di cui una donna della sua condizione può essere capace vedendo il figlio elevato a un così alto onore contro le proprie attese, il sultano mise fine all'udienza di quel giorno; e, alzandosi dal trono, ordinò che gli eunuchi addetti al servizio della principessa venissero a prendere i vassoi d'oro per portarli nell'appartamento della loro padrona, dove andò subito per esaminarli con lei a suo agio; e quest'ordine fu eseguito immediatamente, con la sollecitudine del capo degli eunuchi. Gli ottanta schiavi bianchi e neri non furono dimenticati: li fecero entrare nell'interno del palazzo; e poco dopo il sultano, che aveva appena parlato dello loro magnificenza alla principessa Badrulbudura, ordinò di farli venire davanti all'appartamento, affinché lei li esaminasse attraverso le persiane e riconoscesse che, lontano dall'aver esagerato nulla nel racconto che le aveva fatto, egli gliene aveva detto molto meno della realtà. La madre di Aladino, intanto, arrivò a casa, con un'aria che lasciava già vedere la buona notizia che portava a figlio.
Figlio mio,
gli disse,
avete tutte le ragioni per essere contento: siete arrivato alla realizzazione dei vostri desideri, anche se io non ci credevo, e voi sapete che cosa ve ne avevo detto. Per non tenervi troppo a lungo in ansia, il sultano, con il plauso di tutta la sua corte, ha dichiarato che siete degno di possedere la principessa Badrulbudura. Vi aspetta per abbracciarvi e concludere il vostro matrimonio. Tocca a voi pensare ai preparativi per questo incontro, affinché esso corrisponda all'alta opinione che egli si è fatta della vostra persona; ma, dopo quanto ho visto sulle meraviglie che sapete fare, sono convinta che niente vi farà difetto. Non devo dimenticarmi di dirvi ancora che il sultano vi aspetta con impazienza; perciò non perdete tempo e andate da lui. Aladino, estasiato da questa notizia e tutto assorto nel pensiero della donna che lo aveva incantato, disse poche parole a sua madre e si ritirò in camera sua. Là, prese la lampada che gli aveva reso tanti servigi fino a quel momento in tutte le sue necessità e in tutto quello che aveva desiderato; e, appena l'ebbe strofinata, il genio continuò a dimostrare la sua ubbidienza, apparendo subito senza farsi aspettare.
Genio,
gli disse Aladino,
ti ho chiamato perché tu mi faccia subito fare un bagno; e, dopo che l'avrò fatto, voglio che tu tenga pronto per me l'abito più ricco e più magnifico che mai monarca abbia indossato. Aveva appena pronunciato queste parole che il genio rendendolo invisibile come lui, lo prese e lo trasportò in un bagno, tutto di marmo finissimo e di diversi colori, tra i più belli e variati. Senza vedere chi lo servisse, fu spogliato in un vasto salone molto elegante. Dal salone lo fecero entrare nel bagno, dove il calore era moderato; e là fu massaggiato e lavato con diverse qualità di acque profumate. Dopo averlo fatto passare attraverso tutte le gradazioni di calore secondo le differenti stanze del bagno, ne uscì, ma completamente diverso da quando vi era entrato: il suo colorito divenne fresco, bianco, vermiglio, e il suo corpo molto più agile e vigoroso. Rientrò nel salone, e non trovò più il vestito che vi aveva lasciato: il genio aveva avuto cura di mettere al suo posto quello che egli aveva richiesto. Aladino fu stupito vedendo la magnificenza dell'abito che avevano sostituito al suo. Si vestì aiutato dal genio, ammirando ogni capo via via che lo indossava, tanto ognuno superava ciò che lui avrebbe potuto immaginare. Quando ebbe finito, il genio lo riportò a casa, nella stessa camera in cui l'aveva preso. Allora gli chiese se avesse altro da chiedergli.
Sì,
rispose Aladino;
ti chiedo di portarmi al più presto un cavallo che superi in bellezza e docilità il cavallo più pregiato della scuderia del sultano, che abbia la gualdrappa, la sella, la briglia e tutti i finimenti di un valore superiore al milione. Ti chiedo anche di farmi venire nello stesso tempo venti schiavi, vestiti altrettanto riccamente e altrettanto elegantemente di quelli che hanno portato il dono, affinché camminino ai miei lati e al mio seguito, in gruppo, e altri venti simili, per camminare davanti a me in due file. Fai anche venire sei schiave per servire mia madre; ognuna vestita almeno con la stessa ricchezza delle schiave della principessa Badrulbudura, e ognuna deve portare un abito completo, magnifico e sfarzoso come se fosse per la sultana. Mi occorrono anche diecimila monete d'oro divise in dieci borse. Ecco, aggiunse,quello che dovevo ordinarti. Va' e fai alla svelta. Appena Aladino ebbe finito di dargli i suoi ordini, il genio scomparve e tornò poco dopo col cavallo, i quaranta schiavi, dieci dei quali portavano ognuno una borsa con mille monete d'oro, e con sei schiave, ognuna delle quali portava sulla testa un abito diverso per la madre di Aladino, avvolto in una tela d'argento; e il genio presentò tutto ad Aladino. Aladino prese solo quattro delle dieci borse e le diede alla madre dicendole che servivano per le sue necessità. Le altre sei le lasciò tra le mani degli schiavi che le portavano, con l'ordine di reggerle e di gettare manciate di monete d'oro al popolo, attraverso le strade che dovevano percorrere per andare al palazzo del sultano. Ordinò ancora che lo precedessero insieme con gli altri schiavi, tre a destra e tre a sinistra. Infine presentò alla madre le sei schiave, dicendole che le appartenevano e poteva servirsene da padrona, e che gli abiti che esse avevano portato erano per suo proprio uso. Quando Aladino ebbe predisposto ogni cosa, disse al genio, congedandolo, che l'avrebbe chiamato quando avesse avuto bisogno dei suoi servigi, e subito il genio sparì. Allora Aladino ad altro non pensò se non a esaudire al più presto il desiderio che il sultano aveva manifestato di vederlo. Mandò anche d'urgenza al palazzo uno dei quaranta schiavi, non dirò il più bello, perché lo erano tutti in ugual misura, con l'ordine di rivolgersi al capo degli uscieri e di chiedergli quando egli avrebbe potuto avere l'onore di andare a gettarsi ai piedi del sultano. Lo schiavo non impiegò molto a eseguire l'ordine: venne con la risposta che il sultano lo attendeva con impazienza. Aladino salì subito a cavallo e si mise in cammino, nell'ordine che abbiamo indicato. Sebbene egli non fosse mai andato a cavallo, tuttavia lo fece per la prima volta con tanta grazia, che il più esperto cavaliere non l'avrebbe preso per un novellino. Le vie che attraversò si riempirono, quasi in un attimo, di una innumerevole folla di popolo, che faceva risuonare l'aria di acclamazioni, di grida di ammirazione e di benedizioni, soprattutto ogni volta che i sei schiavi che portavano le borse lanciavano in aria manciate di monete d'oro a destra e a sinistra. Tuttavia queste acclamazioni non venivano da quelli che si spingevano e si abbassavano per raccogliere le monete, ma da quelli che, di condizione superiore al popolino, non potevano impedirsi di rendere pubblicamente alla liberalità di Aladino le lodi che essa meritava. Non solo quelli che si ricordavano di averlo visto giocare nelle strade, già grandicello, come un vagabondo, non lo riconoscevano più; anche quelli che l'avevano visto più di recente faticavano a riconoscerlo, tanto i suoi lineamenti erano cambiati. Questo derivava dal fatto che la lampada aveva la proprietà di procurare gradualmente, a coloro che la possedevano, le doti convenienti allo stato al quale essi giungevano grazie al buon uso che ne facevano. Perciò si prestò molta più attenzione alla persona di Aladino che non al fasto che lo accompagnava: la maggior parte, infatti, avevano già ammirato quello sfarzo, lo stesso giorno, durante il corteo degli schiavi che avevano portato o accompagnato il dono. Tuttavia il cavallo fu ammirato dai buoni intenditori, i quali seppero riconoscerne la bellezza senza lasciarsi abbagliare né dalla ricchezza né dal fulgore dei diamanti e delle altre pietre da cui era ricoperto. Poiché si era sparsa la voce che il sultano dava la principessa Badrulbudura in moglie ad Aladino, nessuno, senza far caso alla sua origine, portò invidia alla sua fortuna e all'alto grado al quale stava per essere elevato, tanto ne sembrò degno. Aladino arrivò a palazzo, dove tutto era pronto per riceverlo. Giunto alla seconda porta, volle scendere a terra, per adeguarsi all'uso osservato dal gran visir, dai generali d'armata e dai governatori di province di primo grado; ma il capo degli uscieri, che lo stava aspettando per ordine del sultano, glielo impedì e lo accompagnò fino alla sala del consiglio e dell'udienza, dove lo aiutò a scendere da cavallo sebbene Aladino vi si opponesse risolutamente e non volesse permetterlo; ma gli fu impossibile. Intanto gli uscieri formavano una doppia ala all'ingresso della sala. Il loro capo mise Aladino alla sua destra e, dopo averlo fatto passare al centro, lo portò fino al trono del sultano. Non appena il sultano ebbe visto Aladino, si stupì enormemente di vederlo vestito più riccamente e più magnificamente di quanto egli stesso non lo fosse mai stato; fu anche stupito del suo aspetto, della sua bella statura e da una certa aria di grandezza ben lungi dall'aria dimessa con cui la madre era apparsa davanti a lui. Il suo stupore e la sua meraviglia non gli impedirono, tuttavia, di alzarsi e scendere due o tre gradini del trono abbastanza prontamente da impedire ad Aladino di gettarsi ai suoi piedi, e per abbracciarlo con una dimostrazione piena d'amicizia. Dopo questa cortesia, Aladino volle ancora gettarsi ai piedi del sultano; ma il sultano lo trattenne con la mano e lo costrinse a salire e a sedersi tra lui e il visir. Allora Aladino cominciò a parlare e disse:
Sire, io ricevo gli onori che vostra Maestà mi fa, perché ha la bontà e il piacere di farmeli. Mi permetterete di dirvi che non ho affatto dimenticato di essere nato vostro schiavo, che conosco la grandezza della vostra potenza e non ignoro quanto la mia origine mi ponga più in basso dello splendore e dello sfarzo del sommo grado della Maestà Vostra. Se c'è qualche cosa, aggiunse,
per la quale posso aver meritato un'accoglienza così favorevole, confesso che lo devo soltanto all'ardire che, per un puro caso, ha fatto innalzare i miei occhi, i miei pensieri e i miei desideri fino alla divina principessa che è l'oggetto dei miei sogni. Chiedo perdono a Vostra Maestà della mia temerarietà; ma non posso nascondere che morirei di dolore se perdessi la speranza di vederli esauditi.
Figlio mio,
rispose il sultano abbracciandolo una seconda volta,
mi fareste torto a dubitare un solo momento della sincerità della mia parola. La vostra vita mi è troppo cara ormai perché io non ve la conservi, offrendovi il rimedio di cui dispongo. Preferisco il piacere di vedervi e di ascoltarvi a tutti i miei tesori uniti ai vostri. Dette queste parole il sultano fece un segnale, e subito si sentì l'aria risuonare del suono delle trombe, degli oboi e dei timpani; e, nello stesso tempo, il sultano portò Aladino in un magnifico salone, dove fu servito un sontuoso banchetto. Il sultano mangiò solo con Aladino. Il gran visir e i signori della corte, ognuno secondo la propria dignità e il proprio grado, tennero loro compagnia durante il pranzo. Il sultano, che aveva sempre gli occhi fissi su Aladino, tanto provava piacere a guardarlo, fece cadere il discorso su parecchi argomenti differenti. Nel corso della conversazione che ebbero insieme durante il pranzo, e qualunque argomento egli toccasse, Aladino parlò con tanta cognizione di causa e tanta saggezza che finì di convalidare la buona opinione che subito il sultano si era fatta di lui. Finito il pranzo, il sultano fece chiamare il primo giudice della sua capitale e gli ordinò di stendere e mettere subito in bella copia il contratto di matrimonio tra la principessa Badrulbudura sua figlia e Aladino. Intanto, il sultano si intrattenne con Aladino su parecchie cose indifferenti, in presenza del gran visir e dei signori della sua corte, che ammirarono la solidità del suo ingegno, la sua grande facilità di parola e di espressione e i pensieri fini e delicati con i quali infiorava la sua conversazione. Quando il giudice ebbe finito di stendere il contratto con tutte le dovute forme, il sultano chiese ad Aladino se volesse restare a palazzo per concludere le cerimonia del matrimonio quello stesso giorno.
Sire,
rispose Aladino,
nonostante la mia grande impazienza di godere in pieno della bontà della Maestà Vostra, vi supplico di volermi permettere di rinviare le nozze finché non avrò fatto costruire un palazzo per ricevervi la principessa secondo il suo merito e la sua dignità. Vi prego perciò di accordarmi un posto conveniente nell'area del vostro palazzo, affinché abbia più agio di venirvi a presentare i miei omaggi. Non tralascerò niente per fare in modo che il palazzo sia finito con la maggior sollecitudine possibile.
Figlio mio,
gli disse il sultano,
prendete tutto il terreno che credete necessario; c'è troppo spazio libero davanti al mio palazzo, e avevo io stesso già pensato di occuparlo; ma ricordatevi che voglio vedervi unito al più presto con mia figlia per portare al culmine la mia gioia. Dette queste parole, abbracciò ancora Aladino, che si congedò dal sultano con la stessa educazione come se fosse stato allevato e avesse sempre vissuto a corte. Aladino risalì a cavallo e tornò a casa, nello stesso modo come era venuto, in mezzo alla stessa folla e alle acclamazioni del popolo che gli augurava ogni sorta di felicità e di prosperità. Appena rientrato e sceso a terra si ritirò da solo in camera sua; prese la lampada e chiamò il genio, come ne aveva l'abitudine. Il genio non si fece aspettare; apparve e gli offrì i suoi servigi.
Genio,
gli disse Aladino,
ho tutte le ragioni per lodare la tua precisione nell'eseguire esattamente tutto quello che finora ho preteso da te, grazie alla potenza di questa lampada, tua padrona. Oggi si tratta di questo: per amor suo, devi mostrare, se possibile, più zelo e più fretta di quanto hai fatto finora. Ti chiedo dunque che, nel minor tempo possibile, tu mi faccia costruire proprio di fronte al palazzo del sultano, a un'adeguata distanza, un palazzo degno di accogliere la principessa Badrulbudura mia sposa. Ti lascio libera scelta dei materiali, cioè porfido, diaspro, agata, lapislazzuli e il marmo più pregiato e dei più svariati colori, e del resto dell'edificio; ma voglio che, nel punto più alto del palazzo, tu faccia innalzare un salone a cupola, con quattro pareti uguali, i cui mattoni siano unicamente di oro e argento massiccio, messi alternativamente, con dodici finestre (2), sei da ogni lato, e le persiane di ogni finestra, a eccezione di una sola, che voglio sia lasciata incompiuta, siano arricchite, con arte e simmetria, da diamanti, rubini e smeraldi, in modo tale che al mondo non si sia mai visto niente di simile. Voglio anche che questo palazzo sia completato da un cortile anteriore, da una corte e da un giardino, ma, sopra ogni cosa, voglio che ci sia, in un posto che mi indicherai, una stanza del tesoro piena di oro e di denaro contante. Voglio anche che nel palazzo vi siano cucine, dispense, magazzini, depositi pieni di mobili preziosi per tutte le stagioni e adatti alla magnificenza del palazzo; scuderie piene dei più bei cavalli, con i loro scudieri e i loro palafrenieri, senza dimenticare una completa attrezzatura da caccia. Devono anche esservi camerieri addetti alla cucina e alla dispensa, e delle schiave necessarie al servizio della principessa. Devi aver capito la mia intenzione; va' e torna quando ciò sarà fatto. Il sole era appena tramontato quando Aladino finì di dare al genio l'incarico della costruzione del palazzo che aveva immaginato. Il giorno dopo, all'alba, Aladino, al quale l'amore per la principessa impediva di dormire tranquillamente, si era appena alzato, quando gli si presentò il genio.
Signore,
disse,
il vostro palazzo è finito; venite a vedere se ne siete soddisfatto. Aladino aveva appena accettato di andarvi, quando il genio ve lo trasportò in un attimo. Aladino lo giudicò così superiore alla sua aspettativa, che non si stancava di ammirarlo. Il genio lo portò in tutti i posti; e dovunque egli trovò soltanto ricchezze, eleganza e magnificenza, con servitori e schiavi tutti vestiti secondo il loro grado e secondo il servizio al quale erano destinati. Non mancò di fargli vedere, come una delle cose principali, la stanza del tesoro, la cui porta fu aperta dal tesoriere; e Aladino vi vide cumuli di borse di diverse misure, secondo le somme che contenevano, che arrivavano fino al soffitto e disposte in un ordine gradito alla vista. Uscendo, il genio lo assicurò della fedeltà del tesoriere. Poi lo portò alle scuderie; e là gli fece vedere i più bei cavalli che ci fossero al mondo e i palafrenieri in grande attività intenti a governarli. Poi gli fece visitare i depositi pieni di tutte le provviste necessarie, sia per i finimenti dei cavalli sia per il loro nutrimento. Quando Aladino ebbe esaminato tutto il palazzo, di appartamento in appartamento e di stanza in stanza, da cima a fondo, e particolarmente il salone delle ventiquattro finestre, e dopo avervi ammirato delle ricchezze e una magnificenza unite a ogni tipo di comodità, ben oltre quanto si era ripromesso, disse al genio:
Genio, non si può essere più contenti di quanto lo sono io, e avrei torto di lamentarmi. Resta solo una cosa che non ti avevo detto, perché non ci avevo pensato: devi stendere cioè, dalla porta del palazzo del sultano fino alla porta dell'appartamento destinato alla principessa in questo palazzo, un tappeto del più bel velluto, affinché lei vi cammini sopra venendo dal palazzo del sultano.
Torno in un attimo
disse il genio. Ed era appena sparito quando, poco dopo, Aladino fu stupito vedendo il suo ordine eseguito senza sapere come ciò fosse avvenuto. Il genio riapparve e riportò Aladino a casa sua nel momento in cui la porta del palazzo del sultano stava per essere aperta. I portinai del palazzo che avevano aperto la porta, e che fino a quel momento avevano sempre visto uno spazio libero dove ora sorgeva il palazzo di Aladino, furono molto stupiti vedendolo limitato e notando un tappeto di velluto che, venendo da quella parte, arrivava fino alla porta del palazzo del sultano. In un primo momento non distinsero bene che cosa fosse; ma la loro meraviglia aumentò quando ebbero visto distintamente lo splendido palazzo di Aladino. La notizia di una meraviglia così stupefacente si diffuse in pochissimo tempo in tutto il palazzo. Il gran visir, che era arrivato quasi all'apertura della porta del palazzo, non era stato meno stupito degli altri da questa novità, la comunicò al sultano per primo, cercando di convincerlo che si trattava di un incantesimo.
Visir,
rispose il sultano,
perché volete che sia un incantesimo? Sapete bene come me che si tratta del palazzo fatto costruire da Aladino, con il permesso che gli ho accordato in presenza vostra, per la principessa mia figlia. Dopo le prove che ci ha dato delle sue ricchezze, può sembrarci strano che egli abbia fatto costruire questo palazzo in così poco tempo? Egli ha voluto sbalordirci e farci vedere che con il denaro contante si possono fare miracoli simili da un giorno all'altro. Confessatemi che l'incantesimo di cui avete voluto parlare deriva da un po' di gelosia. L'ora di entrare al consiglio gli impedì di continuare più a lungo questo discorso. Aladino, dopo essere stato trasportato a casa sua e aver congedato il genio, trovò sua madre già alzata sul punto d'indossare uno degli abiti che egli aveva fatto portare. All'incirca all'ora in cui il sultano stava uscendo dal consiglio, Aladino disse alla madre di andare a palazzo, con le stesse schiave procuratele dal genio. La pregò, se vedeva il sultano, di dichiarargli che andava da lui per avere l'onore di accompagnare verso sera la principessa, quando fosse stata pronta per passare nel suo palazzo. La madre partì; ma, sebbene lei e le schiave che la seguivano fossero vestite come sultane, tuttavia non si riunì una gran folla al loro passaggio, tanto più che erano velate e un discreto mantello ricopriva la ricchezza e la magnificenza dei loro abiti. Intanto Aladino salì a cavallo; e, dopo essere uscito dalla casa paterna per non tornarvi mai più, senza aver dimenticato la lampada meravigliosa il cui aiuto gli era stato così utile per giungere al culmine della sua fortuna, andò pubblicamente al suo palazzo, con lo stesso sfarzo con il quale si era presentato al sultano il giorno prima. Appena i portinai del palazzo del sultano videro la madre di Aladino, avvertirono il sultano. Subito fu dato l'ordine ai suonatori di trombe, di timpani, di tamburi, di pifferi e di oboi, che erano già pronti in vari punti delle terrazze del palazzo e, in un momento, l'aria risuonò di fanfare e di concerti che comunicarono la gioia a tutta la città. I mercanti cominciarono ad adornare le loro botteghe con bei tappeti, cuscini e fogliame e a preparare le luminarie per la notte. Gli artigiani lasciarono il loro lavoro, e il popolo andò allora tra il palazzo del sultano e quello di Aladino. Quest'ultimo attirò subito la loro ammirazione, non tanto perché erano abituati a vedere solo il palazzo del sultano, quanto perché questo non poteva gareggiare con quello di Aladino; ma quello che li stupì più di tutto fu di non riuscire a capire per quale meraviglia inaudita essi vedevano un così magnifico palazzo in un posto dove, il giorno prima, non c'erano né materiali né fondamenta preparati. La madre di Aladino fu ricevuta con onore nel palazzo, e introdotta nell'appartamento della principessa Badrulbudura dal capo degli eunuchi. Appena la principessa la vide, andò ad abbracciarla e la fece sedere sul divano; e, mentre le sue ancelle finivano di vestirla e di adornarla con i più preziosi gioielli donati da Aladino, lei le offrì una magnifica merenda. Il sultano, che veniva per restare il più possibile vicino alla principessa sua figlia, prima che si separasse da lui per passare nel palazzo di Aladino, fece anche a lei grandi onori. La madre di Aladino aveva parlato parecchie volte al sultano in pubblico; ma egli non l'aveva mai vista senza velo come era in quel momento. Sebbene fosse già in età un po' avanzata, si notavano ancora sul suo viso dei segni che facevano facilmente capire che in gioventù era stata nel numero delle belle. Il sultano, che l'aveva sempre vista vestita molto semplicemente, per non dire poveramente, era ammirato vedendola vestita con la stessa ricchezza e la stessa magnificenza della principessa sua figlia. Questo lo indusse a riflettere sul fatto che Aladino era ugualmente saggio, prudente e intelligente in ogni cosa. Quando arrivò la notte, la principessa prese congedo dal sultano suo padre. I loro addii furono teneri e mescolati alle lacrime. I due si abbracciarono parecchie volte senza dirsi niente, e infine la principessa uscì dal suo appartamento e si incamminò, con la madre di Aladino alla sua sinistra, seguita da cento schiave, vestite con grandissima magnificenza. Tutti i gruppi di suonatori, che non avevano smesso di farsi sentire dall'arrivo della madre di Aladino, si erano riuniti e precedevano il corteo; essi erano seguiti da cento "sciau" (3) e da altrettanti eunuchi negri disposti in due file con gli ufficiali alla loro testa. Quattrocento giovani paggi del sultano, in due ali, che marciavano ai lati, ognuno con una fiaccola in mano, facevano una luce che, aggiunta alle illuminazioni del palazzo del sultano e di quello di Aladino, suppliva ammirevolmente alla mancanza della luce del giorno. In quest'ordine la principessa procedette sul tappeto disteso dal palazzo del sultano fino al palazzo di Aladino; e, via via che avanzava, gli strumenti che aprivano il corteo, avvicinandosi e mescolandosi a quelli che si facevano sentire dall'alto delle terrazze del palazzo di Aladino, formarono un concerto che, per straordinario e confuso che sembrasse, accresceva ugualmente la gioia, non solo nella piazza piena di una gran folla, ma anche nei due palazzi, in tutta la città e ben lontano nei dintorni. La principessa arrivò al nuovo palazzo, e Aladino corse, con tutta la gioia immaginabile, alla porta dell'appartamento che le era destinato, per riceverla. La madre di Aladino aveva avuto cura di far notare suo figlio alla principessa in mezzo agli ufficiali che lo circondavano; e la principessa, vedendolo, lo giudicò così ben fatto che ne fu incantata.
Adorabile principessa,
le disse Aladino avvicinandosi e salutandola molto rispettosamente,
se avessi la disgrazia di esservi dispiaciuto con la mia temerarietà di aspirare al possesso di una così amabile principessa, oso dirvi che dovreste rimproverare i vostri begli occhi e le vostre grazie, e non me.
Principe, poiché ora sono in diritto di chiamarvi così,
gli rispose la principessa,
ubbidisco alla volontà del sultano mio padre; e mi basta avervi visto per dirvi che gli ubbidisco senza riluttanza. Aladino, felice per una risposta così favorevole e soddisfacente per lui, non lasciò più a lungo la principessa in piedi, dopo il cammino che aveva fatto e al quale non era per niente abituata, le prese la mano, la baciò con una grande dimostrazione di gioia, e la guidò in una grande sala, illuminata da un'infinità di candele, dove, per le cure del genio, la tavola si trovò apparecchiata per un sontuoso banchetto. I piatti erano di oro massiccio e pieni dei cibi più deliziosi. I vasi, i vassoi, i bicchieri, di cui la credenza era ben fornita, erano anch'essi d'oro e di mirabile fattura. Gli altri ornamenti e tutte le decorazioni della sala corrispondevano perfettamente a questa grande ricchezza. La principessa, incantata di vedere tante magnificenze riunite in uno stesso luogo, disse ad Aladino:
Principe, io credevo che niente al mondo fosse più bello del palazzo del sultano mio padre; ma, soltanto vedendo questa sala, mi accorgo che mi ero ingannata.
Principessa,
rispose Aladino facendola sedere a tavola, al posto che le era destinato,
ricevo come devo un così grande complimento; ma so che cosa devo credere. La principessa Badrulbudura, Aladino, e sua madre si misero a tavola; e subito la musica dei più armoniosi strumenti, accompagnati da bellissime voci di donna, che appartenevano a fanciulle tutte di grande bellezza, diede inizio a un concerto che durò senza interruzione fino alla fine del pasto. La principessa ne fu così conquistata che disse di non aver mai sentito niente di simile nel palazzo del sultano suo padre. Ma non sapeva che queste musiciste erano state scelte dal genio, schiavo della lampada. Quando ebbero finito di cenare, la tavola fu sparecchiata in fretta e un gruppo di danzatori e danzatrici subentrò alle musicanti. Ballavano parecchi tipi di danze figurate, secondo il costume del paese, e, alla fine un danzatore e una danzatrice ballarono da soli con sorprendente leggiadria dimostrando, ognuno, tutta la delicata grazia e l'abilità di cui erano capaci. Era quasi mezzanotte quando, secondo il costume di allora in Cina, Aladino si alzò e offrì la mano alla principessa Badrulbudura, per danzare insieme e mettere così termine alle cerimonie delle loro nozze. Danzarono con tanta grazia da suscitare l'ammirazione di tutti i presenti. Quando ebbero finito Aladino non lasciò la mano della principessa, e passarono insieme nell'appartamento dov'era preparato il letto nuziale. Le ancelle della principessa la aiutarono a spogliarsi e a mettersi a letto, e i valletti di Aladino fecero lo stesso con lui; poi si ritirarono tutti. Così terminarono le cerimonie e i festeggiamenti delle nozze di Aladino con la principessa Badrulbudura. Il giorno dopo, quando Aladino fu sveglio, i suoi valletti di camera si presentarono per vestirlo. Gli fecero indossare un abito diverso da quello del giorno delle nozze, ma ugualmente ricco e magnifico. Poi egli si fece portare uno dei cavalli destinati al suo uso personale. Vi montò e andò al palazzo del sultano, in mezzo a una folta schiera di schiavi che camminavano davanti, ai lati e dietro di lui. Il sultano lo ricevette con gli stessi onori della prima volta; lo abbracciò e, dopo averlo fatto sedere accanto a sé, sul suo trono, ordinò di servire la colazione.
Sire,
gli disse Aladino,
supplico Vostra Maestà di dispensarmi oggi da questo privilegio; vengo a pregarvi di farmi l'onore di venire a pranzo nel palazzo della principessa, insieme col gran visir e con i signori della corte. Il sultano gli accordò con piacere la grazia. Si alzò subito; e, poiché il percorso non era lungo, volle andare a piedi. Perciò uscì con Aladino alla sua destra, il gran visir alla sua sinistra, seguito dai suoi dignitari e preceduto dagli "sciau" e dai dignitari della casa. Quanto più il sultano si avvicinava al palazzo di Aladino, tanto più era colpito dalla sua bellezza. Poi, una volta entrato, non seppe più trattenersi: le sue entusiastiche lodi si ripetevano in ogni stanza che vedeva. Ma quando arrivarono nel salone delle ventiquattro finestre, dove Aladino l'aveva invitato a salire, quando ne ebbe visto gli ornamenti e, soprattutto, quando ebbe rivolto lo sguardo alle persiane arricchite da diamanti, rubini e smeraldi, tutte pietre perfette per la loro grandezza proporzionata, e quando Aladino gli ebbe fatto notare che esse erano egualmente ricche anche all'esterno, ne fu talmente stupito che restò come impietrito. Dopo esser rimasto per un po' in questo stato:
Visir,
disse al ministro che era vicino a lui,
è possibile che nel mio regno, e così vicino al mio palazzo, ci sia un palazzo così splendido, e che io l'abbia ignorato fino a questo momento?
Vi ricordate, Maestà,
rispose il gran visir,
di aver accordato l'altro ieri ad Aladino, che avevate appena riconosciuto come genero, il permesso di costruire un palazzo di fronte al vostro; lo stesso giorno, al tramonto, non c'era ancora nessun palazzo in questo posto: e ieri ebbi l'onore di annunciarvi per primo che il palazzo era fatto e terminato.
Me ne ricordo,
disse il sultano;
ma non avrei mai immaginato che questo palazzo fosse una delle meraviglie del mondo. Dove si possono trovare, in tutto l'universo, palazzi costruiti con mattoni d'oro e d'argento massicci, invece di mattoni di pietra o di marmo, le cui finestre abbiano delle persiane cosparse di diamanti, rubini e smeraldi? Mai, al mondo, è stata fatta menzione di niente di simile! Il sultano volle vedere e ammirare la bellezza delle ventiquattro persiane. Contandole, si accorse che soltanto ventitré erano della stessa ricchezza, e fu molto stupito vedendo che la ventiquattresima era rimasta incompiuta.
Visir,
disse (infatti il visir si faceva un impegno di non abbandonarlo un minuto),
mi stupisce che un salone di questa magnificenza sia rimasto incompiuto in questo punto.
Sire,
rispose il gran visir,
evidentemente Aladino aveva fretta, e gli è mancato il tempo per rendere questa finestra simile alle altre; ma dobbiamo immaginare che egli abbia le pietre necessarie e che la farà completare al più presto. Aladino, che aveva lasciato il sultano per dare alcuni ordini, lo raggiunse in quel momento.
Figlio mio,
gli disse il sultano;
questo è il salone più degno di ammirazione di tutti quelli che esistano al mondo. Una sola cosa mi stupisce: vedere che questa persiana è rimasta incompiuta. E' per dimenticanza
aggiunse,
per negligenza, o perché gli operai non hanno avuto il tempo di dare l'ultima mano a un così bel pezzo di architettura?
Sire,
rispose Aladino,
per nessuna di queste ragioni la persiana è rimasta nello stato in cui Vostra Maestà la vede. La cosa è stata fatta di proposito, e gli operai non l'hanno completata per mio ordine: volevo che Vostra Maestà avesse la gloria di far terminare questo salone e il palazzo contemporaneamente. Vi supplico di voler gradire la mia buona intenzione, affinché io possa ricordarmi del favore e della grazia che avrò ricevuto da voi.
Se l'avete fatto con questa intenzione,
riprese il sultano,ve ne sono molto grato; in questo stesso momento vado a dare gli ordini necessari. Infatti, ordinò di far venire i gioiellieri più forniti di pietre preziose e gli orafi più abili della sua capitale. Intanto il sultano lasciò il salone, e Aladino lo portò in quello dove, il giorno delle nozze, aveva offerto il banchetto alla principessa Badrulbudura. La principessa arrivò un momento dopo, ricevette il sultano suo padre con un'aria che gli fece capire quanto lei fosse contenta del suo matrimonio. Due tavole erano imbandite con i cibi più delicati, tutti serviti in vasellame d'oro. Il sultano sedette alla prima e mangiò con la principessa sua figlia, Aladino e il gran visir. Tutti i signori della corte furono serviti alla seconda tavola che era molto lunga. Il sultano trovò i cibi di suo gusto, e confessò di non aver mai mangiato niente di più squisito. Disse la stessa cosa del vino che, in effetti, era delizioso. Più di ogni cosa, ammirò quattro grandi credenze fornite e cariche a profusione di bottiglie, vassoi e coppe d'oro massiccio, il tutto ornato di pietre preziose. Fu anche deliziato dai cori di musica che erano disposti nel salone, mentre le fanfare delle trombe, accompagnate da timpani e da tamburi, risuonavano all'esterno, alla giusta distanza perché se ne gustasse tutto il piacere. Il sultano si era appena alzato da tavola, quando lo avvisarono che i gioiellieri e gli orafi, chiamati per suo ordine, erano arrivati. Egli risalì nel salone delle ventiquattro finestre, e, arrivatovi, fece vedere ai gioiellieri e agli orafi, che l'avevano seguito, la finestra incompiuta e disse:
Vi ho fatto venire affinché completiate questa finestra e la rendiate perfetta come le altre; esaminatele, e non perdete tempo a rendere questa del tutto simile alle altre. I gioiellieri e gli orafi esaminarono con grande attenzione le altre ventitré e, dopo essersi consultati tra di loro e avere stabilito in che modo ognuno potesse contribuire a quest'opera, tornarono a presentarsi al sultano; e il gioielliere personale del palazzo gli disse:
Sire, siamo pronti a impiegare le nostre cure e la nostra arte per ubbidire a Vostra Maestà; ma, tutti noi della nostra professione, non abbiamo pietre altrettanto preziose e tanto numerose da bastare per un cosi importante lavoro.
Io ne ho,
disse il sultano,
e più di quante ne servano; venite al mio palazzo; vi faciliterò il compito, e voi sceglierete. Quando il sultano fu di ritorno al suo palazzo, fece portare tutte le pietre preziose, e i gioiellieri ne presero una grandissima quantità, particolarmente fra quelle che facevano parte del dono di Aladino. Le utilizzarono senza dimostrare di aver molto progredito nel loro lavoro. Tornarono a prenderne altre a più riprese; e, in un mese, non avevano finito neanche la metà dell'opera. Impiegarono tutte le pietre del sultano insieme con quelle che gli prestò il visir, e, con tutto ciò, quello che riuscirono a fare fu al massimo di completare mezza finestra. Aladino, che seppe che il sultano si sforzava inutilmente di rendere la persiana simile alle altre, e che non avrebbe mai avuto successo, fece venire gli orafi e disse loro non soltanto di interrompere il lavoro, ma anche di disfare tutto quello che avevano fatto e di riportare al sultano tutte le sue pietre, insieme con quelle prestategli dal gran visir. L'opera alla quale i gioiellieri e gli orafi avevano lavorato più di sei settimane fu distrutta in poche ore. Essi si ritirarono e lasciarono Aladino solo nel salone. Egli prese la lampada che portava addosso, e la strofinò. Subito si presentò il genio.
Genio,
gli disse Aladino,
io ti avevo ordinato di lasciare incompiuta una delle ventiquattro finestre di questo salone, e tu avevi eseguito il mio ordine; ora ti ho fatto venire per dirti che voglio che tu la renda simile alle altre. Il genio sparì, e Aladino lasciò il salone. Quando, pochi minuti dopo, vi ritornò, trovò la persiana nello stato che aveva desiderato, e uguale alle altre. Intanto, i gioiellieri e gli orafi arrivarono a palazzo e furono introdotti e presentati al sultano nel suo appartamento. Il primo gioielliere, restituendogli le pietre, disse al sultano, a nome di tutti:
Sire, Vostra Maestà sa da quanto tempo lavoriamo con tutta la nostra solerzia per finire il lavoro che ci ha affidato. Era già a buon punto, quando Aladino ci ha costretto non solo a interrompere il lavoro, ma anche a disfare tutto quello che avevamo fatto e a riportarvi queste pietre e quelle del gran visir. Il sultano chiese se Aladino non ne avesse detto loro la ragione, e non appena essi gli ebbero precisato che lui non ne aveva data nessuna il sultano ordinò subito che gli portassero un cavallo. Glielo portano, ci sale su e parte senz'altro seguito tranne il domestico che lo accompagna a piedi. Arriva al palazzo di Aladino e scende a terra, ai piedi della scala che conduceva al salone delle ventiquattro finestre. Sale senza far avvertire Aladino, ma Aladino fortunatamente vi si trovava ed ebbe appena il tempo di ricevere il sultano sulla porta. Il sultano, senza dare ad Aladino il tempo di addurre qualche cortese rimostranza per non averlo fatto avvertire del suo arrivo, costringendolo perciò a venir meno al suo dovere, gli disse:
Figlio mio, vengo a chiedervi di persona per quale ragione avete voluto lasciare incompiuto un salone così magnifico e così singolare come quello del vostro palazzo. Aladino nascose la vera ragione, quella cioè che il sultano non possedesse abbastanza pietre preziose per una spesa così forte. Ma, per fargli capire quanto il palazzo, così com'era, superava non solo quello del sultano, ma anche ogni altro palazzo del mondo, poiché egli non era riuscito a finirlo nella più piccola delle sue parti, gli rispose:
Sire, è vero che Vostra Maestà ha visto questo salone incompiuto; ma vi supplico di vedere se ora manca qualcosa. Il sultano andò spedito alla finestra di cui aveva visto la persiana incompiuta, e, quando ebbe notato che era uguale alle altre, pensò di essersi ingannato. Esaminò non solo le due finestre che erano ai lati, le guardò persino tutte, una dopo l'altra e, quando fu convinto che la persiana, intorno alla quale aveva fatto lavorare per tanto tempo e che era costata tante giornate di mano d'opera, era stata finita in così breve tempo come gli era noto, abbracciò Aladino e lo baciò in fronte fra gli occhi.
Figlio mio,
gli disse pieno di stupore,
che uomo siete voi, che fate cose tanto stupefacenti e quasi in un batter d'occhio? Voi non avete simili al mondo; e, più vi conosco, più vi giudico straordinario! Aladino accolse le lodi del sultano con grande modestia e gli rispose in questi termini:
Sire, è una grande gloria per me meritare la benevolenza e l'approvazione di Vostra Maestà. Posso assicurarvi, in ogni caso, che non tralascerò niente per meritarle entrambe sempre di più. Il sultano tornò al suo palazzo nel modo in cui era venuto, senza permettere ad Aladino di accompagnarlo. Arrivando, trovò il gran visir che lo aspettava. Il sultano, ancora in preda all'ammirazione per la meraviglia alla quale aveva assistito, gliene fece il racconto in termini tali da non far dubitare al ministro che la cosa fosse veramente come il sultano gliela raccontava, ma questo fatto confermò l'opinione del visir che il palazzo di Aladino fosse l'effetto di un incantesimo: opinione che aveva comunicato al sultano, quasi nello stesso momento in cui il palazzo era apparso. Volle ripetergliela ancora.
Visir,
gli disse il sultano interrompendolo,
mi avete già detto la stessa cosa, ma vedo bene che non avete ancora dimenticato il matrimonio di mia figlia con vostro figlio. Il gran visir capì che il sultano era prevenuto: non volle discutere con lui, e lo lasciò nella sua opinione. Tutti i giorni, regolarmente, appena il sultano si alzava, non mancava mai di andare in uno stanzino da dove si vedeva tutto il palazzo di Aladino, e vi ritornava parecchie volte durante la giornata per contemplarlo e ammirarlo. Aladino non rimaneva chiuso nel suo palazzo: aveva cura di farsi vedere in città più di una volta alla settimana, sia che andasse a recitare la sua preghiera in una moschea o nell'altra, sia che, di tanto in tanto, andasse a visitare il gran visir, che andava con ostentazione a presentargli i suoi omaggi nei giorni stabiliti, o che rendesse ai notabili, che invitava spesso a pranzo nel suo palazzo, l'onore di andarli a trovare a casa loro. Ogni volta che usciva, faceva lanciare, da due degli schiavi che camminavano in gruppo intorno al suo cavallo, manciate di monete d'oro nelle vie e nelle piazze per le quali passava, e dove il popolo andava sempre numeroso. D'altronde, non c'era povero che si presentasse alla porta del suo palazzo, che non se ne tornasse contento della liberalità fatta per suo ordine. Poiché Aladino aveva diviso il suo tempo in modo che non c'era settimana in cui non andasse almeno una volta a caccia, ora nei dintorni della città, ora più lontano, egli esercitava la stessa liberalità nelle strade di campagna e nei villaggi. Questa generosa tendenza fece sì che tutto il popolo gli mandasse mille benedizioni e avesse una cieca fiducia in lui. Insomma, senza dare nessun'ombra al sultano, al quale dimostrava molto regolarmente la devozione, si può dire che Aladino si fosse attirato con le sue maniere affabili e liberali tutto l'affetto del popolo, e che, in genere, fosse più amato dello stesso sultano. Egli aggiunse a tutte queste belle qualità un valore e uno zelo per il bene dello Stato che non si potrebbero lodare a sufficienza. Ne diede anche segni in occasione di una rivolta scoppiata verso i confini del regno. Appena seppe che il sultano arruolava un esercito per soffocarla, lo supplicò di affidargliene il comando. Non faticò molto a ottenerlo. Appena fu alla testa dell'esercito, lo fece marciare contro i rivoltosi; e, in tutta questa spedizione, si comportò con tanto zelo, che il sultano seppe che i rivoltosi erano stati sconfitti, puniti o dispersi, prima di aver raggiunto l'esercito. Quest'azione, che rese il suo nome celebre per tutto il regno, non cambiò affatto il suo cuore. Tornò vittorioso, ma affabile come era sempre stato. Già da molti anni Aladino si comportava come abbiamo detto, quando il mago che gli aveva dato, senza pensarci, il mezzo di elevarsi a una così alta fortuna, si ricordò di lui in Africa, dove era tornato. Anche se fino a quel momento era stato convinto che Aladino era miseramente morto nel sotterraneo dove l'aveva lasciato, gli venne tuttavia in mente di scoprire precisamente quale fosse stata la sua fine. Poiché era un abile geomante, tirò fuori da un armadio una quadrella a forma di scatola chiusa della quale si serviva per fare le sue osservazioni di geomanzia. Si siede sul divano, si mette la quadrella davanti, la apre; e, dopo aver preparato e livellato la sabbia, con l'intenzione di sapere se Aladino fosse morto nel sotterraneo, stabilisce i punti da cui traccia le figure e ne ottiene l'oroscopo. Esaminando l'oroscopo per conoscere il risultato, invece di scoprire che Aladino era morto nel sotterraneo, scopre che ne era uscito e viveva in un grande splendore, immensamente ricco, marito di una principessa, onorato e rispettato. Il mago africano, appena ebbe saputo, grazie alle formule magiche della sua arte diabolica, che Aladino aveva raggiunto una condizione così elevata, provò un'ira feroce. Per la rabbia, disse tra sé: "Quel miserabile figlio di sarto ha scoperto il segreto e la virtù della lampada! Avevo creduto la sua morte sicura, ed ecco invece che gode il frutto delle mie fatiche e delle mie veglie! Gli impedirò di goderne ancora o morirò!". Non perse molto tempo a decidere che cosa fare. La mattina dopo salì in sella a un cavallo berbero, che aveva in scuderia, e si mise in viaggio. Di città in città e di provincia in provincia, fermandosi solo lo stretto necessario per non stancare troppo il suo cavallo, arrivò in Cina, e ben presto nella capitale del sultano di cui Aladino aveva sposato la figlia. Scese in un "khan" (4) o pubblico albergo, dove prese in affitto una camera. Vi rimase il resto del giorno e la notte seguente per rimettersi dalla fatica del viaggio. Il giorno dopo, prima di ogni cosa, il mago africano volle sapere che cosa si diceva di Aladino. Andando in giro per la città, entrò nel luogo più famoso e più frequentato dalle persone di grande distinzione, dove si riuniva per bere una certa bevanda calda (5) che egli aveva gustato durante il suo primo viaggio. Non aveva ancora preso posto, che gli versarono una tazza di questa bevanda e gliela porsero. Prendendola, poiché ascoltava a destra e a sinistra, sentì che stavano parlando del palazzo di Aladino. Quando ebbe finito di bere, si avvicinò a uno di quelli che ne parlavano; e cogliendo il momento opportuno, gli chiese a voce bassa che mai fosse quel palazzo del quale si parlava con tanta ammirazione.
Da dove venite?
gli chiese quello al quale si era rivolto. Dovete essere proprio un nuovo venuto se non avete visto il palazzo del principe Aladino, o piuttosto se non ne avete ancora sentito parlare.
Da quando Aladino aveva sposato la principessa Badrulbudura, era chiamato soltanto con quell'appellativo.
Non vi dico,
continuò l'uomo,
che è una delle meraviglie del mondo; vi dico che è l'unica meraviglia che esista al mondo: non si è mai visto niente di così grande, di così ricco e di così magnifico! Dovete venire da ben lontano, se non ne avete ancora sentito parlare. Infatti, da quando è stato costruito, se ne deve parlare in tutto il mondo. Andatelo a vedere e giudicherete se io vi ho detto la verità.
Perdonate la mia ignoranza,
riprese il mago africano;
sono arrivato solo ieri, ed effettivamente vengo da così lontano, voglio dire dall'estremità dell'Africa, che la sua fama non era ancora arrivata fin là quando ne sono partito. E poiché, per l'affare urgente che mi porta qui, durante il mio viaggio ad altro non ho pensato se non ad arrivare al più presto, senza fermarmi e senza fare nessuna conoscenza, non ne sapevo niente finché voi non me ne avete parlato. Ma non mancherò di andare a vederlo: l'impazienza che ne provo è tanto grande, che voglio soddisfare subito la mia curiosità, se volete farmi la grazia d'indicarmi la strada. Quello al quale si era rivolto il mago africano fu contento di insegnarli la strada per la quale bisognava passare per arrivare al palazzo di Aladino, e il mago africano si alzò e uscì immediatamente. Quando fu arrivato ed ebbe esaminato il palazzo da vicino e da tutti i lati, non ebbe più dubbi che Aladino si fosse servito della lampada per farlo costruire. Senza volersi soffermare sulla pochezza di Aladino, figlio di un semplice sarto, egli sapeva bene che simili meraviglie potevano farle solo dei geni schiavi della lampada, di cui non era potuto entrare in possesso. Punto sul vivo dalla fortuna e dalla potenza di Aladino, che egli metteva quasi sullo stesso piano di quella del sultano, ritornò al "khan" dove aveva preso alloggio. Si trattava di sapere dove fosse la lampada, se Aladino la portasse con sé, o in che posto la custodisse: questo il mago doveva scoprirlo con un'operazione di geomanzia. Appena arrivato al suo alloggio, prese la sua quadrella e la sabbia, che portava con sé in tutti i viaggi. Finita l'operazione, seppe che la lampada era nel palazzo di Aladino; e fu così felice di questa scoperta che a malapena si sentiva in sé. "L'avrò questa lampada,
disse
e sfido Aladino a impedirmi di portargliela via e di farlo ricadere nella bassa condizione da dove ha preso un volo così alto". Aladino, per sua disgrazia, in quel frattempo era andato a caccia per otto giorni, ed era partito soltanto da tre, ed ecco in che modo il mago africano ne fu informato. Dopo aver fatto l'operazione che gli procurò tanta gioia, andò dal portinaio del "khan" col pretesto di chiacchierare un po' con lui; e aveva un pretesto così naturale, che non era necessario ricorrere a giri di parole. Gli disse che tornava dall'aver visto il palazzo di Aladino; e, dopo avergli decantato tutto quello che aveva notato di più stupefacente e che più lo aveva colpito e che in genere colpiva tutti, aggiunse:
La mia curiosità si spinge più lontano, e non sarò soddisfatto finché non avrò visto il padrone di un edificio così meraviglioso.
Non vi sarà difficile vederlo,
rispose il portinaio,
quasi ogni giorno egli ne offre l'occasione, quando si trova in città; ma da tre giorni è partito per una grande caccia, che ne deve durare otto. Il mago africano non volle sapere altro; si congedò dal portinaio; e andando via, disse tra sé: "Questo è il momento di agire; non devo lasciarmelo scappare". Andò nella bottega di uno che fabbricava e vendeva lampade.
Maestro,
gli disse,
ho bisogno di una dozzina di lampade di rame; potete fornirmele? L'artigiano gli disse di non averle tutte, ma che, se voleva aver pazienza fino al giorno dopo, gliele avrebbe fornite tutte per l'ora desiderata. Il mago accettò; gli raccomandò che fossero pulite e ben lucidate e, dopo avergli promesso di pagarlo bene, ritornò al suo "khan". Il giorno dopo, le dodici lampade furono consegnate al mago africano, che le pagò al prezzo richiesto, senza chiedere sconti. Le mise in un paniere che aveva portato espressamente con sé e, col paniere infilato nel braccio, andò verso il palazzo di Aladino, e avvicinatosi, si mise a gridare:
Chi vuol cambiare vecchie lampade con nuove? Via via che avanzava, i bambini che giocavano nella piazza, appena lo sentirono da lontano, accorsero e si riunirono intorno a lui, schiamazzando e scambiandolo per un pazzo. Anche i passanti ridevano di quella che credevano la sua stoltezza. Deve proprio aver perso il senno,
dicevano,
per offrire lampade nuove in cambio di vecchie. Il mago africano non si stupì né degli schiamazzi dei bambini né di tutto quello che si poteva dire di lui; e, per smerciare la sua roba, continuò a gridare:
Chi vuol cambiare vecchie lampade con nuove? Ripeté così spesso la stessa cosa, andando e venendo nella piazza, davanti e intorno al palazzo, che la principessa Badrulbudura, che in quel momento era nel salone delle ventiquattro finestre, sentì la voce di un uomo; ma, non potendo distinguere le sue parole, a causa degli schiamazzi dei bambini che lo seguivano e che diventavano sempre più numerosi, mandò una delle sue schiave, che le era più vicina, per vedere che cosa fosse quello schiamazzo. La schiava non tardò molto a risalire; entrò nel salone ridendo sonoramente. Rideva così schiettamente, che la principessa non poté evitare di ridere anche lei guardandola.
Ebbene! pazza,
disse la principessa,
vuoi dirmi perché ridi?
Principessa,
rispose la schiava continuando a ridere,
chi potrebbe trattenersi dal ridere vedendo un folle con un paniere infilato nel braccio, pieno di belle lampade nuovissime, che non chiede di venderle, ma di cambiarle con delle vecchie? I bambini lo circondano così numerosi, che a fatica egli riesce a camminare; sono loro a fare tutto il chiasso che sentiamo, burlandosi di lui. A questo racconto, un'altra schiava intervenne per dire:
A proposito di vecchie lampade: non so se la principessa abbia notato che ce n'è una qui sulla cornice; colui a cui essa appartiene non sarà scontento di trovarne una nuova al posto di questa vecchia. Se la principessa vuole, può provare il piacere di rendersi conto se questo pazzo è veramente così pazzo da dare una lampada nuova in cambio di una vecchia, senza chiedere altro. La lampada di cui parlava la schiava era la lampada meravigliosa di cui si era servito Aladino per innalzarsi alla grandezza alla quale era giunto; l'aveva messa proprio lui sulla cornice prima di partire per la caccia, temendo di perderla, e aveva preso la stessa precauzione tutte le altre volte che vi era andato. Ma né le schiave né gli eunuchi né la stessa principessa vi avevano mai fatto caso fino ad allora, durante la sua assenza; infatti, eccetto che nei periodi di caccia, la portava sempre su di sé. Si potrà dire che la precauzione di Aladino era saggia; ma che almeno avrebbe dovuto rinchiudere la lampada. E' vero, ma errori simili si sono commessi in tutti i tempi, se ne fanno ancora oggi e non si smetterà mai di farne. La principessa Badrulbudura, ignorando che la lampada fosse così preziosa, e che Aladino, pur senza averne mai parlato, avesse un grandissimo interesse che non fosse toccata e che fosse conservata, stette allo scherzo, e ordinò a un eunuco di prenderla e di andare a fare il cambio. L'eunuco ubbidì. Scese dal salone e, appena uscito dalla porta del palazzo, vide il mago africano; lo chiamò e, quando gli si fu avvicinato, mostrandogli la lampada gli disse:
Dammi una lampada nuova al posto di questa. Il mago africano fu certo che si trattava della lampada che egli cercava; non potevano essercene altre nel palazzo di Aladino, dove tutto il vasellame era solo d'oro o d'argento; la prese subito dalla mano dell'eunuco, e dopo essersela cacciata bene in fondo al petto, gli presentò il cesto e gli disse di scegliere quella che gli piaceva. L'eunuco scelse; e, dopo aver lasciato il mago, portò la lampada nuova dalla principessa Badrulbudura; ma, non appena avvenuto lo scambio, i ragazzi fecero rintronare la piazza del più grande schiamazzo che non avessero ancora fatto burlandosi di quella che essi credevano la stoltezza del mago. Il mago africano li lasciò strillare a volontà, ma, senza restare ancora nelle vicinanze del palazzo di Aladino, se ne allontanò notevolmente e senza chiasso, cioè senza gridare e senza parlare ulteriormente di cambiare lampade nuove con vecchie. Non ne volle altre se non quella ottenuta; e il suo silenzio fece in modo che i ragazzi si allontanassero e lo lasciassero andare. Non appena fuori della piazza che divideva i due palazzi, se la svignò lungo le strade meno frequentate, e, poiché non aveva più bisogno delle altre lampade né del cesto, posò cesto e lampade in mezzo a una strada in cui vide che non c'era nessuno. Allora, dopo aver imboccato un'altra strada, allungò il passo finché raggiunse una porta della città. Continuando a camminare nei sobborghi, che erano molto estesi, prima di uscire fece delle provviste. Quando ebbe raggiunta la campagna, abbandonò la strada per un luogo appartato, fuori di vista, dove restò fino al momento che ritenne opportuno per portare a compimento il disegno che l'aveva guidato lì. Non rimpianse il cavallo berbero che aveva lasciato nel "khan" dove aveva preso alloggio, si considerò ben ricompensato dal tesoro che aveva appena conquistato. Il mago africano passò il resto della giornata in quel posto, fino a un'ora della notte in cui le tenebre furono fitte. Allora tirò fuori la lampada dal seno e la strofinò. A questo richiamo comparve il genio.
Che vuoi?
gli chiese;
sono pronto a ubbidirti, come tuo schiavo e schiavo di tutti quelli che hanno la lampada in mano, io e gli altri schiavi della lampada.
Ti ordino,
rispose il mago africano,
di portar via immediatamente il palazzo che tu o gli altri schiavi della lampada avete costruito in questa città, così com'è, con tutte le persone che ci sono dentro, e di trasportarlo, insieme con me, nel tal punto dell'Africa. Senza rispondergli, il genio, con l'aiuto di altri geni, schiavi della lampada come lui, trasportò in pochissimo tempo lui e l'intero palazzo nel posto esatto dell'Africa che gli era stato indicato. Lasceremo il mago africano e il palazzo con la principessa Badrulbudura in Africa, per parlare dello sbalordimento del sultano. Appena il sultano si fu alzato, non mancò, come al solito di andare nello stanzino aperto, per avere il piacere di contemplare e ammirare il palazzo di Aladino. Rivolse lo sguardo verso il punto in cui aveva l'abitudine di vedere il palazzo, e vide solo un'area vuota, così com'era prima che il palazzo fosse costruito. Pensò d'ingannarsi e si strofinò gli occhi, ma non vide niente di più della prima volta, anche se il tempo era sereno, il cielo limpido e l'aurora, che cominciava a spuntare, rendesse tutti gli oggetti molto distinti. Guardò attraverso le due aperture a destra e a sinistra, e vide quello che era solito vedere dai due lati. Il suo stupore fu così grande, che restò a lungo nello stesso posto, con gli occhi rivolti verso il punto in cui era stato il palazzo e dove non lo vedeva più, cercando quello che non poteva comprendere, cioè come era possibile che un palazzo così grande e così appariscente come quello di Aladino, che egli aveva visto quasi ogni giorno da quando era stato costruito con il suo permesso, e anche molto di recente, il giorno prima, fosse sparito in modo tale che non ne restava la minima traccia. "Non m'inganno,
diceva tra sé, era proprio in questa piazza; se fosse crollato vi sarebbero mucchi di macerie; e, se la terra l'avesse inghiottito, se ne vedrebbe qualche segno, in qualunque modo ciò fosse avvenuto". E sebbene convinto che il palazzo non ci fosse più, tuttavia aspettò lo stesso ancora un po' di tempo, per vedere se veramente non si sbagliava. Infine si ritirò; e, dopo essersi guardato ancora indietro, prima di allontanarsi, ritornò nel suo appartamento, ordinò di fargli venire il gran visir in tutta fretta; e, intanto, si sedette con l'animo turbato da pensieri tanto diversi da non sapere quale decisione prendere. Il gran visir non fece aspettare il sultano: venne anzi con tanta precipitazione che né lui né i suoi uomini notarano, passando, che il palazzo di Aladino non era più al suo posto; anche i portinai, aprendo la porta del palazzo, non se n'erano accorti. Avvicinatosi al sultano, il gran visir gli disse:
Sire, la sollecitudine con la quale Vostra Maestà mi ha fatto chiamare mi fa pensare che debba essere successo qualcosa di ben straordinario, poiché voi non ignorate che oggi è giorno di consiglio e che tra poco sarei dovuto venire a svolgere il mio dovere.
Ciò che è successo, è veramente straordinario, come tu dici, e ne converrai con me. Dimmi dov'è il palazzo di Aladino.
Il palazzo di Aladino, sire!
rispose il gran visir con stupore.
Ci sono appena passato davanti e mi è sembrato che fosse al suo posto: edifici solidi come quello non cambiano posto tanto facilmente.
Va' a vedere nello stanzino,
rispose il sultano,
e poi vieni a dirmi se l'hai visto. Il gran visir andò nello stanzino aperto, e gli capitò la stessa cosa capitata al sultano. Quando si fu ben assicurato che il palazzo di Aladino non era più dove era stato fino ad allora e che non ce n'era la minima traccia, ritornò a presentarsi al sultano.
Ebbene! hai visto il palazzo di Aladino?
gli chiese il sultano.
Sire,
risposte il gran visir,
Vostra Maestà può ricordarsi che ho avuto l'onore di dirle che quel palazzo, che era oggetto della vostra ammirazione con le sue immense ricchezze, era solo un'opera di magia e di un mago; ma Vostra Maestà non ha voluto prestarvi attenzione. Il sultano, non potendo negare quello che il gran visir gli faceva notare fu preso da una collera tanto più violenta in quanto non poteva sconfessare la sua incredulità.
Dov'è,
disse,
quell'impostore, quello scellerato? Voglio fargli tagliare la testa.
Sire,
rispose il gran visir,
qualche giorno fa è venuto a congedarsi da Vostra Maestà; bisogna mandargli a chiedere dov'è il suo palazzo; egli dovrebbe saperlo.
Significherebbe trattarlo con troppa indulgenza,
replicò il sultano;
vai a ordinare a trenta dei miei cavalieri di portarmelo incatenato. Il gran visir andò a dare l'ordine del sultano ai cavalieri, e informò il loro ufficiale in che modo dovevano agire, affinché egli non sfuggisse loro. Essi partirono, e incontrarono Aladino a cinque o sei leghe dalla città, che tornava cacciando. L'ufficiale gli disse, avvicinandoglisi, che il sultano, impaziente di rivederlo, li aveva inviati per manifestarglielo e per accompagnarlo da lui. Aladino non ebbe il minimo sospetto del vero motivo che aveva condotto lì quel distaccamento della guardia del sultano; durante il ritorno continuò a cacciare; ma, quando fu a una mezza lega dalla città, le guardie lo circondarono e l'ufficiale ruppe il silenzio per dirgli:
Principe Aladino, con grande rammarico vi comunichiamo l'ordine impartitoci dal sultano di arrestarvi e di portarvi da lui come criminale di Stato; vi supplichiamo di permetterci di eseguire il nostro dovere e di perdonarcelo. Questa dichiarazione fu motivo di grande stupore per Aladino, che si sentiva innocente; chiese all'ufficiale se sapeva di quale crimine fosse accusato; e questi rispose che né lui né i suoi uomini ne sapevano niente. Aladino, vedendo che i suoi uomini erano molto meno numerosi delle guardie del sultano, e che si allontanavano perfino, scese da cavallo.
Eccomi,
disse;
eseguite l'ordine che vi è stato dato. Tuttavia posso dire che non mi sento colpevole di nessun crimine né verso la persona del sultano né verso lo Stato. Subito gli passarono intorno al collo una catena molto grossa e lunga, con la quale lo legarono fino a metà corpo in modo che non avesse le braccia libere. Quando l'ufficiale si fu messo alla testa delle sue truppe, un cavaliere prese l'estremità della catena, e, seguendo l'ufficiale, trascinò Aladino che fu costretto a seguirlo a piedi; e, in quello stato, fu portato verso la città. Quando i cavalieri furono entrati nei sobborghi, le prime persone che videro Aladino trascinato come criminale di Stato, furono certe che stavano per tagliargli la testa. Poiché era amato da tutti, alcuni presero la sciabole e altre armi, e quelli che non ne avevano si armarono di pietre e seguirono i cavalieri. Alcuni di questi ultimi, che erano in coda, fecero dietro front, facendo l'atto di volerli disperdere; ma presto il popolo diventò così numeroso, che i cavalieri presero la decisione di fingere, considerandosi molto fortunati se fossero riusciti ad arrivare fino al palazzo del sultano senza che Aladino fosse loro sottratto. Per riuscirvi, secondo che le strade fossero più o meno larghe, furono molto attenti a occupare tutto lo spazio libero, a volte allargandosi, a volte restringendosi; in questo modo arrivarono alla piazza del palazzo, dove si schierarono tutti in un'unica fila, di fronte alla plebaglia armata, finché il loro ufficiale e il cavaliere che portava Aladino non furono entrati nel palazzo, e finché i portinai non ebbero chiuso la porta per impedire al popolo di entrare. Aladino fu portato davanti al sultano che lo aspettava sul balcone accompagnato dal gran visir, e che, appena lo vide, ordinò al boia, che aveva avuto l'ordine di trovarsi lì, di tagliargli la testa, senza volerlo ascoltare e senza chiedergli nessuna spiegazione. Quando il boia ebbe afferrato Aladino, gli tolse la catena che aveva al collo e intorno al corpo; e, dopo aver steso a terra un pezzo di cuoio macchiato di sangue di un'infinità di criminali da lui uccisi, ve lo fece mettere in ginocchio e gli bendò gli occhi. Allora, sguainò la sciabola, prese la misura per vibrare il colpo, sedendosi e facendo balenare la sciabola in aria per tre volte, e aspettò che il sultano desse il segnale per tagliare la testa di Aladino. In quel momento, il gran visir si accorse che la plebaglia, che aveva superato i cavalieri e aveva riempito la piazza, aveva scalato le mura del palazzo in diversi punti e cominciava a demolirle per fare una breccia. Prima che il sultano desse il segnale, gli disse:
Sire, supplico Vostra Maestà di pensare attentamente a quello che sta per fare. Correreste il rischio di vedere il vostro palazzo forzato, e, se capita questa sventura, l'avvenimento potrebbe essere funesto.
Il mio palazzo forzato!
rispose il sultano.
Chi può avere questa audacia?
Sire,
replicò il gran visir,
prego Vostra Maestà di guardare verso le mura del vostro palazzo e verso la piazza; verificherete la verità di ciò che vi dico. Lo spavento del sultano fu così grande, quando ebbe visto una sommossa tanto violenta e tumultuosa, che, immediatamente, ordinò al boia di rimettere la sua sciabola nella guaina, di togliere la benda dagli occhi di Aladino e di lasciarlo libero. Diede anche l'ordine agli "sciau" di proclamare che il sultano gli concedeva la grazia e che tutti si ritirassero. Allora tutti quelli che erano già saliti sui muri del palazzo, testimoni di quanto vi stava accadendo, abbandonarono il loro progetto. Scesero in pochi istanti e, pieni di gioia per aver salvato la vita a un uomo che amavano sinceramente, comunicarono questa notizia a tutti quelli che li circondavano; essa passò in breve a tutta la plebaglia che era nella piazza del palazzo; e i bandi degli "sciau", che annunciavano la stessa cosa dall'alto delle terrazze dove erano saliti, finirono di diffonderla. La giustizia che il sultano aveva reso ad Aladino, facendogli la grazia, disarmò la plebaglia, fece cessare il tumulto, e a poco a poco tutti se ne tornarono a casa. Quando Aladino si vide libero, alzò la testa verso il balcone e, vedendo il sultano, gli disse alzando la voce in modo commovente:
Sire, supplico Vostra Maestà di aggiungere un'altra grazia a quella che mi ha ora concesso: di volermi dire cioè qual è il mio crimine.
Qual è il tuo crimine!
rispose il sultano,
non lo conosci? Sali qui,
continuò,
te lo farò conoscere. Aladino salì e, quando si fu presentato, il sultano gli disse:
Seguimi,
precedendolo senza guardarlo. Lo portò fino allo stanzino aperto e, arrivato sulla porta:
Entra,
gli disse il sultano,
tu devi sapere dov'era il tuo palazzo; guarda da ogni parte, e dimmi dov'è andato a finire. Aladino guardò e non vide niente; vide tutta l'area prima occupata dal suo palazzo; ma non riuscendo a capire come fosse potuto scomparire, questo avvenimento straordinario e stupefacente lo gettò in una confusione e in uno stupore che gli impedirono di rispondere una sola parola al sultano. Il sultano, impaziente, ripeté ad Aladino:
Dimmi, dunque, dov'è il tuo palazzo e dov'è mia figlia! Allora Aladino ruppe il silenzio:
Sire,
disse,
vedo bene e ammetto che il palazzo che ho fatto costruire non è più al posto dov'era prima; vedo che è scomparso, e non posso dire a Vostra Maestà dove sia; ma posso assicurare che non ho nessuna colpa in questo avvenimento.
Io non mi preoccupo per la sparizione del tuo palazzo, riprese il sultano;
considero mia figlia un milione di volte più importante. Voglio che tu me la ritrovi, altrimenti ti farò tagliare la testa, e nessuna considerazione me lo impedirà.
Sire,
replicò Aladino,
supplico Vostra Maestà di accordarmi quaranta giorni per trovare la principessa; e, se non ci riesco entro questo termine, vi do la mia parola che porterò la mia testa ai piedi del vostro trono, affinché possiate disporne a vostra volontà.
Ti concedo i quaranta giorni che mi chiedi,
gli disse il sultano;
ma non credere di abusare della grazia che ti faccio pensando di sfuggire al mio risentimento: in qualunque posto della terra tu possa essere, saprò ben ritrovarti. Aladino si allontanò dal sultano in preda a una grande umiliazione e in uno stato da far pietà: attraversò i cortili del palazzo, con la testa bassa, senza osare alzare gli occhi, tanto era confuso; e i più alti dignitari di corte, a nessuno dei quali egli aveva mai usato scortesie, invece di avvicinarglisi per consolarlo o offrirgli ospitalità in casa loro gli girarono le spalle, sia per fingere di non vederlo sia per non farsi riconoscere. Ma, anche se gli si fossero avvicinati per dirgli qualcosa di consolante o per offrirgli il loro aiuto, non avrebbero riconosciuto Aladino; neanche lui si riconosceva più, e non aveva più il dominio di sé stesso. Lo dimostrò chiaramente quando fu uscito dal palazzo: infatti, senza pensare a quello che faceva, chiedeva di porta in porta e a tutti quelli che incontrava se avessero visto il suo palazzo, o se potessero dargliene qualche notizia. Queste domande fecero pensare a tutti che Aladino fosse impazzito. Alcuni si accontentarono di ridere; ma le persone più ragionevoli, e in particolare quelli che erano stati in amicizia o in rapporti con lui, furono veramente presi da compassione. Restò tre giorni in città, andando ora da una parte ora dall'altra, mangiando solo quello che gli offrivano per carità, e senza prendere nessuna decisione. Infine, non potendo più restare nell'infelice stato in cui si vedeva, in una città dove era diventato così famoso, ne uscì e si avviò verso la campagna. Lasciò le strade principali; e, dopo aver attraversato parecchie campagne, in preda a un'orribile incertezza, arrivò infine, sul fare della notte, in riva a un fiume. Là fu preso da un pensiero disperato: "Dove andrò a cercare il mio palazzo?
disse fra sé.
In che provincia, in che paese, in che parte del mondo lo troverò insieme con la mia cara principessa, che il sultano mi richiede? Non ci riuscirò mai, è dunque meglio che io mi liberi da tante fatiche che non giungeranno a niente e da tutte le cocenti sofferenze che mi rodono". Stava per gettarsi nel fiume, mettendo in atto la decisione che aveva preso; ma credette, da buon musulmano fedele alla sua religione, di non poterlo fare senza aver prima recitato la sua preghiera. Preparandosi a farlo, si avvicinò alla riva per lavarsi le mani e il viso, secondo il costume del paese; ma poiché quel punto era un po' scosceso e bagnato dall'acqua che vi batteva, scivolò; e sarebbe caduto nel fiume, se non si fosse afferrato a una piccola roccia che spuntava dalla terra per circa due piedi. Fortunatamente per lui, portava ancora l'anello che il mago africano gli aveva messo al dito prima che scendesse nel sotterraneo per andare a prendere la preziosa lampada che ora gli era stata portata via. Nell'afferrarsi alla roccia, vi strofinò l'anello con una certa violenza: subito, lo stesso genio, apparsogli nel sotterraneo dove l'aveva rinchiuso il mago africano, apparve di nuovo:
Che vuoi?
gli disse il genio.
Sono pronto ad ubbidirti, come tuo schiavo e schiavo di tutti quelli che portano l'anello al dito io e gli altri schiavi dell'anello. Aladino, piacevolmente stupito da un'apparizione tanto inaspettata mentre era in preda a tanta disperazione, rispose:
Genio, salvami la vita una seconda volta, indicandomi dov'è il palazzo che ho fatto costruire, o facendo in modo che sia subito riportato al suo posto.
Quello che mi chiedi,
riprese il genio,
non è nelle mie facoltà: io sono solo schiavo dell'anello; rivolgiti allo schiavo della lampada.
Se è così,
disse Aladino,
ti ordino dunque, grazie alla potenza dell'anello, di trasportarmi nel posto dov'è il mio palazzo, in qualunque posto della terra si trovi, e di depormi sotto le finestre delle principessa Badrulbudura. Appena egli ebbe finito di parlare, il genio lo trasportò in Africa, in mezzo a una prateria dove sorgeva il palazzo, poco lontano da una grande città, e lo depose proprio sotto le finestre dell'appartamento della principessa, dove lo lasciò. Tutto ciò accadde in un attimo. Nonostante l'oscurità della notte, Aladino riconobbe perfettamente il suo palazzo e l'appartamento della principessa Badrulbudura; ma poiché era notte fonda e tutto era tranquillo nel palazzo, si mise un po' in disparte e si sedette ai piedi di un albero. Là, pieno di speranza, riflettendo sulla sua fortuna, che doveva a un puro caso, si trovò in una situazione tranquilla per la prima volta dal momento in cui lo avevano arrestato, portato alla presenza del sultano e liberato dall'imminente pericolo di perdere la vita. Stette per un po' assorto in questi piacevoli pensieri; ma infine, poiché non dormiva da cinque o sei giorni, non poté evitare di abbandonarsi al sonno che l'opprimeva, e si addormentò ai piedi dell'albero. La mattina dopo, appena cominciò a far giorno, Aladino fu svegliato piacevolmente dal cinguettio degli uccelli che avevano passato la notte, non soltanto sull'albero sotto il quale egli era coricato, ma anche sui frondosi alberi del giardino del suo palazzo. Egli guardò per prima cosa quel mirabile edificio, e si sentì allora in preda a una gioia inesprimibile pensando che tra breve ne sarebbe ridiventato il padrone, e nello stesso tempo, avrebbe posseduto ancora una volta la sua cara principessa Badrulbudura. Si alzò e si avvicinò all'appartamento della principessa. Passeggiò per un po' sotto le sue finestre, aspettando che la luce raggiungesse il suo appartamento e potessero vederlo. In questa attesa cercava fra sé quale potesse essere stata la causa della sua sventura; e, dopo aver ben riflettuto, non dubitò più che la sua disgrazia fosse dipesa dal fatto di aver perso di vista la sua lampada. Accusò sé stesso di negligenza e della poca cura che aveva avuto di non lasciarla un solo istante. La cosa che più lo imbarazzava era di non riuscire a immaginare chi fosse geloso della sua fortuna. Lo avrebbe capito subito, se avesse saputo che lui e il suo palazzo in quel momento si trovavano in Africa; ma il genio schiavo dell'anello non gli aveva detto niente; e neppure lui se n'era informato. Il solo nome di Africa gli avrebbe riportato alla memoria il mago africano, suo dichiarato nemico. La principessa Badrulbudura si alzava prima del solito da quando era stata rapita e trasportata in Africa per l'artificio del mago africano, del quale, fino a quel momento, era stata costretta a sopportare la vista una volta al giorno, perché egli era il padrone del palazzo; ma lei lo aveva trattato ogni volta con tanta durezza, che egli non aveva ancora osato essere tanto ardito da andarci ad abitare. Quando fu vestita, una delle sue schiave, guardando attraverso una persiana, vide Aladino. Corre subito ad avvertire la sua padrona. La principessa, che non poteva credere a questa notizia, si affaccia subito alla finestra e vede Aladino. Apre la persiana. Al rumore che fa nell'aprirla, Aladino alza la testa; la riconosce, e la saluta con aria che esprime la sua immensa gioia.
Per non perdere tempo,
gli dice la principessa,
stanno venendo ad aprirvi la porta segreta; entrate e salite.
E richiude la persiana. La porta segreta si trovava sotto l'appartamento della principessa; Aladino la trovò aperta e salì nell'appartamento della principessa. Non è possibile esprimere la gioia che provarono i due sposi rivedendosi dopo essersi creduti separati per sempre. Si abbracciarono parecchie volte e si scambiarono tutte le manifestazioni d'amore e di tenerezza immaginabili, dopo una separazione tanto triste e inaspettata come la loro. Dopo questi abbracci mescolati a lacrime di gioia, si sedettero; e Aladino, cominciando a parlare, le disse:
Principessa, prima di dirvi altro, vi supplico, in nome di Dio, sia per il vostro interesse sia per quello del sultano vostro rispettabile padre, sia in special modo per il mio di dirmi che fine ha fatto una vecchia lampada che avevo messo sulla cornice del salone delle ventiquattro finestre, prima di andare a caccia.
Ah! caro sposo,
rispose la principessa,
avevo immaginato che la nostra disgrazia derivasse da quella lampada; ma quello che più mi addolora è il fatto che io stessa ne sono la causa!
Principessa,
riprese Aladino,
non attribuitevene la colpa; essa è tutta mia, e avrei dovuto aver maggior cura nel conservarla, pensiamo solo a porre rimedio a questa perdita; e perciò fatemi la grazia di raccontarmi come è avvenuto il fatto e in che mani essa è caduta. Allora la principessa Badrulbudura raccontò ad Aladino come era avvenuto lo scambio della lampada vecchia con la nuova, che lei fece portare per mostrargliela; e come, la notte seguente, dopo essersi accorta che il palazzo veniva trasportato, si era trovata in quel paese sconosciuto dove in quel momento gli stava parlando, e che era l'Africa: particolare che lei aveva saputo dalla stessa bocca del traditore che ve l'aveva fatta trasportare con la sua arte magica.
Principessa,
disse Aladino interrompendola,
mi avete fatto conoscere il traditore dicendomi che ci troviamo in Africa. E' il più perfido di tutti gli uomini. Ma non è né il momento né il luogo per farvi un quadro più ampio delle sue malvagità. Vi prego solo di dirmi che cosa ha fatto della lampada e dove l'ha messa.
La porta in petto, avvolta con molta cura,
rispose la principessa;
e posso assicurarvelo poiché egli l'ha tirata fuori e svolta da un panno, in mia presenza, per inorgoglirsene con me.
Mia cara principessa,
disse allora Aladino,
non vogliatemene per tutte le domande con cui vi stanco; esse sono importanti tanto per voi quanto per me. Per venire a ciò che maggiormente mi interessa, ditemi, ve ne scongiuro, come vi tratta quell'uomo così cattivo e perfido.
Da quando sono qui,
rispose a principessa,
è venuto da me soltanto una volta al giorno; e sono sicura che la poca soddisfazione che ottiene dalle sue visite lo induce a non importunarmi più spesso. Tutti i discorsi che ogni volta mi fa vogliono solo convincermi di rompere la fede che vi ho data e di sposarlo, volendo darmi a intendere che non devo più sperare di rivedervi, che voi non siete più in vita e che il sultano mio padre vi ha fatto tagliare la testa. Aggiunge, per giustificarsi, che siete un ingrato, che la vostra fortuna è derivata solo da lui, e mille altre cose che io gli lascio dire. E poiché non riceve da me altra risposta se non i miei tristi sospiri e le mie lacrime, è costretto a ritirarsi così poco soddisfatto come quando arriva. Non dubito, però, che la sua intenzione sia di lasciar passare i miei dolori più vivi, con la speranza che cambierò idea e, infine, di usarmi violenza se continuerò a resistergli. Ma caro sposo, la vostra presenza ha già dissipato le mie inquietudini.
Principessa,
interruppe Aladino,
spero che non si siano dissipate invano, e credo di aver trovato il mezzo per liberarci del vostro e mio nemico. Per questo è necessario però che io vada in città. Sarò di ritorno verso mezzogiorno e, allora, vi comunicherò il mio progetto e che cosa dovrete fare per contribuire alla sua buona riuscita. Ma, finché non ve ne avrò messo a conoscenza, non stupitevi di vedermi ritornare con un altro abito e date ordine che, al primo colpo che busserò alla porta segreta, non mi facciano aspettare. La principessa gli promise che l'avrebbero aspettato alla porta e sarebbero stati pronti ad aprirgli. Quando Aladino fu sceso dall'appartamento della principessa e uscito dalla stessa porta, si guardò intorno e vide un contadino che si avviava verso la campagna. Poiché il contadino passava più in là del palazzo ed era un po' lontano, Aladino affrettò il passo; e, quando lo ebbe raggiunto, gli propose di scambiarsi i vestiti, e tanto fece che il contadino acconsentì. Lo scambio avvenne al riparo di un cespuglio; e, quando si furono separati, Aladino si diresse verso la città. Appena vi fu entrato, infilò una strada che sboccava alla porta, e, evitando le strade più frequentate, arrivò nel quartiere dove ogni specie di mercanti e di artigiani avevano la propria strada particolare. Entrò in quella dei droghieri; e, rivolgendosi alla bottega più grande e meglio fornita, chiese al mercante se avesse una certa polvere di cui gli disse il nome. Il mercante, giudicando il suo abito, pensò che Aladino fosse povero, e che non avesse abbastanza denaro per pagarla; gli disse perciò di averla ma che era cara. Aladino, intuì il pensiero del mercante, tirò fuori la sua borsa e, mostrandogli dell'oro, gli chiese una mezza dramma di quella polvere. Il mercante la pesò, ne fece un involto, e, porgendolo ad Aladino, gli chiese una moneta d'oro. Aladino gliela ficcò in mano; e, fermandosi nella città solo il tempo necessario per mangiare qualcosa, ritornò al suo palazzo. Non dovette aspettare alla porta segreta: gli fu subito aperto ed salì nell'appartamento della principessa Badrulbudura.
Principessa,
le disse,
l'avversione che, come mi avete detto, provate per il vostro rapitore, vi farà forse trovare qualche difficoltà a seguire il consiglio che devo darvi. Ma permettetemi di dirvi che è opportuno che voi fingiate e che facciate anche uno sforzo su voi stessa, se volete liberarvi della sua persecuzione e dare al sultano vostro padre e mio signore la soddisfazione di rivedervi. Se volete dunque seguire il mio consiglio,
continuò Aladino,
dovete cominciare subito con l'indossare uno dei vostri abiti più belli; e, quando arriverà il mago africano, non fate difficoltà a riceverlo con la migliore accoglienza possibile, senza ostentazione e con naturalezza, con il viso sereno; in modo tale però che, se vi resta qualche impronta di tristezza, egli possa accorgersi che con il tempo si dissiperà. Durante la conversazione, dategli a intendere che vi state sforzando di dimenticarmi, e, affinché si convinca maggiormente della vostra sincerità, invitatelo a cena con voi e ditegli che vi piacerebbe gustare un po' del migliore vino del suo paese; egli vi lascerà certamente per andarlo a prendere. Allora, aspettando il suo ritorno, quando le vivande saranno pronte, mettete questa polvere in uno dei bicchieri nei quali siete solita bere, e, mettendolo da parte, avvertite l'ancella che vi serve da bere di portarvelo pieno di vino, a un vostro cenno che stabilirete con lei, e di stare molto attenta a non sbagliare. Quando il mago sarà tornato, mentre state insieme a tavola, dopo aver mangiato e bevuto tanti bicchieri quanti giudicherete opportuni, fatevi portare il bicchiere contenente la polvere e scambiate il vostro bicchiere con il suo; egli giudicherà questo favore così grande che non lo rifiuterà: berrà senza lasciare neppure una goccia nel bicchiere; e, appena l'avrà vuotato, lo vedrete cadere a terra. Se vi ripugna bere nel suo bicchiere, fingete di bere, potete farlo senza timore: l'effetto della polvere sarà così rapido che egli non avrà il tempo di fare caso se bevete o no. Quando Aladino ebbe finito la principessa gli disse:
Vi confesso che devo fare un grande sforzo per acconsentire a rivolgere al mago quegli allettamenti che, mi rendo conto, è necessario fare. Quale decisione non si prenderebbe contro un crudele nemico! Farò dunque quello che mi consigliate, poiché da questo dipende la mia pace non meno della vostra. Prese queste misure con la principessa, Aladino si congedò da lei e andò a passare il resto del giorno nelle vicinanze del palazzo, aspettando la notte per riavvicinarsi alla porta segreta. La principessa Badrulbudura, inconsolabile, vedendosi separata non solo da suo caro sposo Aladino, che lei aveva subito amato e continuava ad amare ancora più per inclinazione che per dovere, ma anche dal sultano suo padre al quale voleva bene e che l'amava teneramente, aveva trascurato sempre la sua persona dal momento di questa dolorosa separazione. Aveva anche dimenticato, per così dire, la pulizia che tanto si addice alle persone del suo sesso; soprattutto da quando il mago africano si era presentato per la prima volta da lei e da quando aveva saputo dalle sue schiave, le quali l'avevano riconosciuto, che era stato lui a prendere la vecchia lampada in cambio della nuova: e, per questa grande furfanteria le era venuto in orrore. Ma l'occasione di vendicarsi, come meritava e più presto di quanto lei avesse osato sperare, fece sì che decidesse ad accontentare Aladino. Perciò, appena egli fu andato via, si mise davanti alla specchiera, si fece pettinare dalle sue schiave nel modo che più le donava, e indossò l'abito più ricco e più adatto al suo piano. La cintura con la quale si cinse la vita era soltanto di oro e diamanti incastonati, i più grossi e i meglio assortiti; e accompagnò la cintura con una collana di sole perle, sei per parte, così proporzionate a quella centrale, che era la più grossa e la più preziosa, che le più grandi sultane e le più grandi regine si sarebbero ritenute fortunate di avere una collana di perle grosse come le due più piccole di quella della principessa. I braccialetti, formati da diamanti e rubini, rispondevano meravigliosamente alla ricchezza della cintura e della collana. Quando la principessa Badrulbudura fu completamente vestita, consultò il suo specchio e chiese il parere delle ancelle su tutto il suo abbigliamento; quindi dopo aver visto che non le mancava niente di tutte le attrattive che potevano lusingare la folle passione del mago africano, si sedette sul divano aspettando il suo arrivo. Il mago africano non mancò di venire alla solita ora. Appena la principessa lo vide entrare nel salone delle ventiquattro finestre, dove lo aspettava, si alzò con tutti i suoi ornamenti di bellezza e di grazia, e gli indicò con la mano il posto d'onore dove lei aspettò che si mettesse per sedersi contemporaneamente a lui: considerevole cortesia che non gli aveva ancora mai riservato. Il mago africano, più abbagliato dallo splendore dei begli occhi della principessa che dal fulgore delle gemme che l'ornavano, fu molto stupito. Il suo aspetto maestoso e una certa aria graziosa con la quale lei lo accoglieva, così diversa dallo sdegno con il quale lo aveva accolto fino a quel momento, lo resero impacciato. All'inizio volle sedersi sull'orlo del divano; ma, vedendo che la principessa non voleva prendere posto finché non si fosse seduto dove lei desiderava, ubbidì. Quando il mago africano ebbe preso posto, la principessa, per tirarlo fuori dall'imbarazzo in cui lo vedeva, ruppe il silenzio guardandolo in modo da fargli credere che egli non le fosse più odioso, come gli aveva fatto capire fino a quel momento, e gli disse:
Vi stupirete certamente vedendomi oggi completamente diversa da come mi avete visto fino ad ora; ma non ne sarete più stupito quando vi avrò detto che il mio temperamento è così opposto alla tristezza, alla malinconia, ai dolori e alle inquietudini, che cerco di dimenticarli al più presto possibile, appena vedo che la causa che li provocava non esiste più. Ho riflettuto su quello mi avete detto sulla sorte di Aladino; e, conoscendo il carattere di mio padre, sono convinta come voi che egli non avrà potuto evitare il terribile effetto della sua collera. Perciò, anche se mi ostinassi a piangerlo per tutta la vita, capisco bene che le mie lacrime non riuscirebbero a farlo risuscitare. Quindi dopo avergli reso, anche fino alla tomba, i doveri che il mio amore esigeva che gli rendessi, mi è sembrato opportuno cercare i mezzi di consolarmi. Ecco le ragioni del cambiamento che vedete in me. Per cominciare, dunque, ad allontanare ogni motivo di tristezza, decisa a bandirla completamente e sicura che voi vorrete tenermi compagnia, ho ordinato che ci preparassero una cena. Ma, poiché ho solo vino della Cina, e mi trovo in Africa, desidererei assaggiare quello prodotto da questa terra, e credo che, se ce n'è, voi possiate procurarmi quello migliore. Il mago africano, che aveva considerato impossibile la fortuna di entrare così presto e così facilmente nelle grazie della principessa Badrulbudura, le dichiarò che non trovava parole abbastanza efficaci per dimostrarle quanto apprezzasse le sue gentilezze; e, infatti, per porre fine al più presto a una conversazione nella quale avrebbe faticato a cavarsela se ci si fosse impegnato oltre, si gettò sul vino dell'Africa, del quale lei gli aveva appena parlato; e disse che, tra i vantaggi di cui l'Africa poteva vantarsi, uno dei principali era quello di produrre un vino eccellente, soprattutto nella regione in cui lei si trovava; che egli ne aveva una botte di sette anni, non ancora cominciata e che, senza volerlo sopravvalutare, era un vino superiore ai più squisiti del mondo.
Se la mia principessa,
aggiunse,
vuole permettermelo, andrò a prenderne due bottiglie, e tornerò subito.
Mi dispiace darvi questo fastidio,
gli disse la principessa,
sarebbe meglio mandare qualcuno.
Devo andarci di persona,
replicò il mago africano;
nessuno tranne me sa dov'è la chiave della cantina, e nessuno conosce il segreto per aprirla.
Stando così le cose,
disse la principessa,
andate e tornate presto. Più tempo impiegherete, più grande sarà la mia impazienza di rivedervi; ci metteremo a tavola appena sarete di ritorno. Il mago africano, pieno di speranza per la sua pretesa felicità, non corse a cercare il suo vino di sette anni: piuttosto volò e tornò quasi subito. La principessa, che era sicura che egli avrebbe fatto molto in fretta, aveva già gettato la polvere portatale da Aladino in un bicchiere che aveva messo da parte e che aveva fatto preparare. Si misero a tavola una di fronte all'altro, in modo che il mago avesse la schiena rivolta alla credenza. Offrendogli quello che c'era di migliore, la principessa gli disse:
Se volete, vi darò il piacere di ascoltare un concerto di voci e strumenti; ma, poiché siamo solo voi e io, penso che la conversazione ci darà maggior piacere. Il mago considerò questa scelta della principessa come un nuovo favore. Dopo aver mangiato qualche boccone, la principessa chiese da bere. Bevve alla salute del mago; e, dopo aver bevuto:
Avevate avuto ragione,
disse,
di fare l'elogio del vostro vino, non ne avevo mai bevuto di così delizioso.
Affascinante principessa,
rispose il mago tenendo in mano il bicchiere che lei gli aveva offerto,
il mio vino acquista una nuova bontà con il gradimento che voi gli riservate.
Bevete alla mia salute,
riprese la principessa;
vedrete voi stesso che me ne intendo.
Egli bevve alla salute della principessa e, rendendo il bicchiere, disse:
Principessa, mi considero fortunato per aver riservato questa botte per una così bella occasione: io stesso devo ammettere che non ho mai bevuto in vita mia nessuna specie di vino così eccellente. Quando ebbero mangiato e bevuto ancora tre altri bicchieri, la principessa, che aveva affascinato completamente il mago africano con le sue cortesie e le sue maniere gentili, diede finalmente il segnale alla schiava che serviva da bere, dicendo nello stesso tempo di portarle il suo bicchiere pieno di vino, e di riempire anche quello del mago africano e di portarglielo. Quando ebbero ognuno il loro bicchiere, disse al mago africano:
Non so quale sia il vostro costume quando ci si ama e si beve insieme come stiamo facendo noi. Da noi, in Cina, i due amanti si offrono scambievolmente i loro bicchieri e, così, bevono l'uno alla salute dell'altra.
Nello stesso tempo gli diede il bicchiere che teneva in mano, tendendo l'altra mano per prendere il suo. Il mago africano si affrettò a fare questo scambio, con tanto più piacere in quanto considerò questo favore come il segno più certo di aver conquistato completamente il cuore della principessa; il che portò al culmine la sua felicità. Prima di bere, con il bicchiere in mano, disse:
Principessa, a noi Africani manca molto per diventare così raffinati nell'arte di condire l'amore con tutti i suoi piaceri, come fanno i Cinesi; e, imparando una lezione che ignoravo, apprendo anche a che punto devo apprezzare la grazia che ricevo. Non la dimenticherò mai, amabile principessa: ho ritrovato, bevendo nel vostro bicchiere, una vita della quale avrei perso la speranza, se la vostra crudeltà fosse continuata. La principessa Badrulbudura, annoiata dal prolisso discorso del mago africano, disse interrompendolo:
Beviamo; riprenderete dopo ciò che volete dirmi.
Nello stesso tempo si portò alla bocca il bicchiere toccandolo solo con la punta delle labbra, mentre il mago africano fece un tale sforzo per prevenirla, da vuotare il suo senza lasciarne una goccia. Quando ebbe finito di bere, poiché aveva piegato un po' la testa all'indietro per mostrare la sua premura, restò per un po' in questa posizione finché la principessa, che aveva sempre l'orlo del bicchiere sulle labbra, lo vide stralunare gli occhi e cadere a terra, privo di sensi. La principessa non ebbe bisogno di ordinare che andassero ad aprire ad Aladino la porta segreta. Le sue schiave, che lo sapevano, si erano sistemate a una certa distanza una dall'altra, dal salone fino in fondo alla scala, in modo che, appena il mago africano fu caduto in terra, la porta gli fu aperta quasi subito. Aladino salì ed entrò nel salone. Appena ebbe visto il mago africano steso sul divano, fermò la principessa Badrulbudura che si era alzata e gli andava incontro per dimostrargli la sua gioia abbracciandolo.
Principessa,
disse;
non è ancora il momento; vi prego di ritirarvi nel vostro appartamento, e fate in modo che mi lascino solo mentre io mi darò da fare per farvi tornare in Cina con la stessa fretta con la quale ne siete stata allontanata. Infatti, quando la principessa fu uscita dal salone con le sue ancelle e i suoi eunuchi, Aladino chiuse la porta; e, dopo essersi avvicinato al cadavere del mago africano, che era rimasto senza vita, gli aprì la veste e ne prese la lampada che era avvolta come la principessa gli aveva detto. La svolse e la strofinò. Subito gli si presentò il genio con il solito complimento.
Genio,
gli disse Aladino,
ti ho chiamato per ordinarti, da parte della lampada, tua buona padrona, di fare in modo che questo palazzo sia riportato subito in Cina, nello stesso luogo e allo stesso posto da dove è stato portato qui. Il genio, dopo aver manifestato con un cenno del capo, che avrebbe ubbidito, scomparve. Infatti, lo spostamento avvenne e lo si avvertì solo da due leggerissime scosse: la prima quando fu sollevato dal luogo dov'era in Africa, e l'altra quando fu deposto in Cina, proprio di fronte al palazzo del sultano; il che accadde in un brevissimo spazio di tempo. Aladino scese nell'appartamento della principessa, e finalmente abbracciandola le disse:
Principessa, posso assicurarvi che la vostra gioia e la mia saranno complete domani mattina. Poiché la principessa non aveva finito di cenare e Aladino aveva bisogno di mangiare, la principessa fece portare dal salone delle ventiquattro finestre i cibi che erano stati serviti e che non erano stati quasi toccati. La principessa e Aladino mangiarono insieme e bevvero il buon vino vecchio del mago africano; dopo di che, senza parlare della loro conversazione che altro non poteva essere se non soddisfacentissima, si ritirarono nel loro appartamento. Da quando il palazzo di Aladino e la principessa Badrulbudura erano stati portati via, il sultano padre della principessa era inconsolabile per averla perduta, come immaginava. Non dormiva quasi né notte né giorno, e, invece di evitare tutto quello che poteva ricordargli il suo dolore, lo cercava anzi con maggior cura. Perciò, mentre prima andava nello stanzino aperto del suo palazzo solo la mattina, per rallegrarsi di quella vista di cui non poteva saziarsi, ora ci andava parecchie volte al giorno a rinnovare le sue lacrime e a immergersi sempre più nel suo profondo dolore, pensando di non vedere mai più ciò che gli era tanto piaciuto, e di aver perso quello che aveva di più caro al mondo. L'alba stava spuntando quando il sultano andò nello stanzino, la mattina stessa in cui il palazzo di Aladino era appena stato riportato al suo posto. Entrandovi, era così assorto e così preso dal suo dolore, che rivolse lo sguardo tristemente verso il lato della piazza dove credeva di vedere solo lo spazio vuoto, senza scorgere il palazzo. Ma, appena vide che questo spazio era occupato, all'inizio immaginò che fosse l'effetto della nebbia. Guardò con più attenzione e riconobbe, senza ombra di dubbio, il palazzo di Aladino. Allora la gioia e la commozione subentrarono ai dolori e alla tristezza. Ritorna nel suo appartamento, affrettando il passo, e ordina di sellargli e portargli un cavallo. Glielo portano, egli sale in sella, parte e gli sembra che non arriverà mai abbastanza in fretta al palazzo di Aladino. Aladino, che aveva previsto ciò che poteva succedere, si era alzato fin dalle prime luci dell'alba; e, subito dopo aver indossato uno dei vestiti più magnifici del suo guardaroba, era salito nel salone delle ventiquattro finestre, da dove vide arrivare il sultano. Scese e fece in tempo a riceverlo ai piedi dello scalone e ad aiutarlo a scendere da cavallo.
Aladino,
gli disse il sultano,
non posso parlarvi finché non avrò visto e abbracciato mia figlia. Aladino portò il sultano nell'appartamento della principessa Badrulbudura. E la principessa, che Aladino, prima di alzarsi, aveva avvertito di ricordarsi che non era più in Africa, ma in Cina e nella capitale del sultano suo padre, vicino al suo palazzo, aveva appena finito di vestirsi. Il sultano l'abbracciò più volte, con il viso bagnato di lacrime di gioia; e la principessa, da parte sua, gli manifestò in tutti i modi il grande piacere che sentiva rivedendolo. Il sultano stette un bel po' senza poter aprire bocca per parlare, tanto era commosso per aver ritrovato la sua cara figlia, dopo averla sinceramente pianta come perduta; e anche la principessa era tutta in lacrime per la gioia di rivedere il sultano suo padre. Il sultano prese infine la parola e disse:
Figlia mia, voglio credere che sia la gioia che provate rivedendomi a farvi sembrare ai miei occhi così poco cambiata. come se non vi fosse successo niente di spiacevole. Sono convinto tuttavia che avete molto sofferto. Non si è trasportati insieme con un intero palazzo, così improvvisamente come è successo a voi, senza sentire molta paura e terribili angosce. Voglio che mi raccontiate che cosa è successo, e che non mi nascondiate niente. La principessa fu felice di dare al sultano suo padre la soddisfazione che chiedeva.
Sire,
disse,
se sembro così poco cambiata, supplico Vostra Maestà di considerare che ho cominciato di nuovo a respirare solo ieri, di buon mattino, grazie alla presenza di Aladino, mio caro sposo e liberatore, che avevo considerato e pianto come perduto per me, e la felicità che ho provato riabbracciandolo mi rimette a poco a poco nello stato in cui ero prima. Però, a dire la verità, tutta la mia pena è stata solo quella di vedermi strappata a Vostra Maestà e al mio caro sposo, non solo per l'amore che ho per lui, ma anche per l'inquietudine in cui ero circa i tristi effetti della collera di Vostra Maestà, alla quale ero sicura che egli sarebbe stato esposto, per quanto fosse innocente. Ho sofferto meno per l'insolenza del mio rapitore, che mi ha fatto dei discorsi che non mi piacevano. Io li ho respinti grazie al potere che ho saputo acquistare su di lui. Per il resto, ero così poco costretta come adesso. Per quanto riguarda il mio rapimento Aladino non c'entra per niente: ne sono solo io la causa, ma innocentissima. Per convincere il sultano che diceva la verità, gli raccontò con tutti i particolari il travestimento del mago africano da mercante di lampade nuove da scambiare con delle vecchie, e la distrazione che lei aveva voluto prendersi scambiando la lampada di Aladino, della quale ignorava il segreto e l'importanza, e il trasporto, dopo questo scambio, del palazzo e di lei stessa in Africa, col mago africano, che era stato riconosciuto da due schiave e dall'eunuco che aveva fatto lo scambio della lampada, quando egli aveva avuto il coraggio di venire a presentarsi a lei per la prima volta, dopo il successo della sua audace impresa, e di farle la proposta di sposarlo; infine, la persecuzione che aveva sopportato fino all'arrivo di Aladino; le decisioni che avevano preso insieme per togliergli la lampada che egli portava addosso; in che modo vi erano riusciti, lei soprattutto, prendendo la decisione di fingere con il mago, invitandolo a cena con lei; infine, gli raccontò del bicchiere con il veleno che lei gli aveva dato.
Quanto al resto,
aggiunse,
lascio ad Aladino di rendervene conto. Aladino ebbe poco da dire al sultano.
Quando,
disse,
mi ebbero aperto la porta segreta e fui salito nel salone delle ventiquattro finestre, e quando ebbi visto il traditore steso morto sul sofà, grazie alla violenza della polvere, poiché non era conveniente che la principessa rimanesse oltre, la pregai di scendere nel suo appartamento, insieme con le sue ancelle e con i suoi eunuchi. Io restai solo; e, dopo aver preso la lampada dal petto del mago, mi servii dello stesso segreto di cui si era servito lui per portare via questo palazzo e rapire la principessa. Ho fatto in modo che il palazzo tornasse al suo posto e ho avuto la fortuna, Sire, di riportare la principessa come mi avevate ordinato. Non vi inganno, Maestà: e, se volete prendervi la pena di raggiungere il salone, vedrete il mago punito come meritava. Per assicurarsi completamente della verità, il sultano si alzò e salì e, quand'ebbe visto il mago africano morto, con la faccia già livida per la virulenza del veleno, abbracciò Aladino con molta tenerezza, dicendogli:
Figlio mio, non me ne vogliate per il provvedimento che avevo preso contro di voi: l'amore paterno mi ci ha costretto, e merito che voi mi perdoniate l'eccesso al quale sono giunto.
Sire,
rispose Aladino,
non ho il minimo motivo di lagnarmi della condotta di Vostra Maestà; voi avete fatto solo quello che dovevate fare. Questo mago, questo infame, quest'infimo uomo è l'unica causa della mia disgrazia. Maestà, quando ne avrete il tempo, vi racconterò un'altra nefandezza che lui mi ha fatto, non meno infame di questa, e dalla quale mi sono salvato per una grazia di Dio tutta particolare.
Mi prenderò appositamente e quanto prima il tempo necessario,replicò il sultano.
Ma pensiamo a star contenti e fate togliere questa cosa odiosa. Aladino fece togliere il cadavere del mago africano con l'ordine di gettarlo nell'immondezzaio affinché servisse da pasto agli animali e agli uccelli. Intanto il sultano, dopo aver ordinato che i tamburi, i timpani, le trombe e gli altri strumenti annunciassero la pubblica gioia, fece proclamare una festa di dieci giorni, per rallegrarsi del ritorno della principessa Badrulbudura e di Aladino, con il suo palazzo. In questo modo Aladino sfuggì per la seconda volta al pericolo quasi inevitabile di perdere la vita, ma non fu l'ultimo; ne corse un terzo del quale ora racconteremo le circostanze. Il mago africano aveva un fratello minore, non meno abile di lui nell'arte magica; si può dire addirittura che lo superasse in malvagità e in artifici terribili. Poiché essi non abitavano sempre insieme o nella stessa città, e spesso uno si trovava a levante mentre l'altro era a ponente, non mancavano, ogni anno, di informarsi, tramite la geomanzia, in che parte del mondo fossero, in quali condizioni si trovassero e se non avessero bisogno l'uno dell'aiuto dell'altro. Poco tempo dopo che il mago africano era stato sconfitto nella sua impresa contro la felicità di Aladino, suo fratello, che non aveva sue notizie da un anno e che era non in Africa, ma in un paese lontanissimo, volle sapere in che parte della terra si trovasse, come stesse e che cosa facesse. In qualunque posto andasse, portava sempre con sé la quadrella geomantica, come faceva suo fratello. Prende la quadrella, sistema la sabbia, fissa i punti, ne ricava le figure, e infine forma l'oroscopo. Osservando ogni figura, scopre che suo fratello non è più al mondo, che è stato avvelenato e che è morto sul colpo; che questo è successo in Cina, e che è successo in una capitale della Cina, sita in un certo posto; e infine che colui dal quale suo fratello fu avvelenato è un uomo di umile origine, che ha sposato una principessa figlia di un sultano. Quando il mago ebbe saputo in questo modo qual era stato il triste destino di suo fratello, non perse tempo in rimpianti che non gli avrebbero ridato la vita. Presa immediatamente la decisione di vendicarne la morte, sale a cavallo e si mette in viaggio, dirigendosi verso la Cina. Attraversa pianure, fiumi, montagne, deserti; e, dopo un lungo viaggio senza fermarsi in nessun posto, con incredibili fatiche, arriva finalmente in Cina e, poco dopo, nella capitale indicatagli dalla geomanzia. Sicuro di non essersi sbagliato e di non avere scambiato un regno con un altro, si ferma nella capitale e vi prende alloggio. Il giorno dopo il suo arrivo, il mago uscì; e, girovagando per la città, non tanto per ammirarne le bellezze che gli erano completamente indifferenti quanto con l'intenzione di cominciare a studiare l'esecuzione del suo terribile piano, si introdusse nei posti più frequentati e ascoltò ciò che si diceva. In un posto in cui si passava il tempo facendo diversi giuochi e dove, mentre alcuni giocavano, altri s'intrattenevano, parlando chi delle notizie e degli affari del momento, e chi dei loro propri affari, egli sentì che si chiacchierava e si raccontavano meraviglie della virtù e della pietà di una donna chiamata Fatima, che viveva ritirata dal mondo e che faceva perfino dei miracoli. Pensando che questa donna potesse essergli utile in qualche modo per quello che aveva in animo, tirò in disparte uno di quelli della compagnia e lo pregò di volergli dire con più particolari chi fosse questa santa donna e che genere di miracoli facesse.
Come!
gli disse l'uomo,
non avete ancora visto questa donna né sentito parlare di lei? Ella suscita l'ammirazione di tutta la città con i suoi digiuni, con le sue austerità e con il suo buon esempio. Tranne il lunedì e il venerdì, non esce mai dal suo piccolo eremo; e i giorni in cui compare in città, compie infinite opere buone, e non c'è persona afflitta da mal di testa che non ottenga la guarigione dall'imposizione delle sue mani. Il mago non volle sapere di più sull'argomento; chiese solo allo stesso uomo in che quartiere della città si trovasse l'eremo di quella santa donna. L'uomo glielo indicò; al che, una volta concepito e stabilito il detestabile piano di cui presto parleremo, con lo scopo di conoscere meglio il luogo, osservò tutti i movimenti della donna il primo giorno in cui lei uscì, dopo che aveva fatto questa indagine senza perderla di vista fino a sera, quando la vide rientrare nel suo eremo. Quando ebbe ben osservato il luogo, andò in uno di quei locali che abbiamo descritto, in cui si beveva una certa bevanda calda e dove, se si voleva, si poteva passare la notte, particolarmente nei periodi di gran caldo durante i quali, in quei paesi, si preferisce dormire sulla stuoia piuttosto che in un letto. Dopo aver soddisfatto il padrone del posto pagandogli il poco che aveva consumato, il mago uscì verso mezzanotte e andò dritto all'eremo di Fatima la santa donna, come era chiamata in tutta la città. Non ebbe difficoltà ad aprire la porta che era chiusa solo da un saliscendi; una volta entrato, la riaccostò senza far rumore e, al chiarore della luna, vide Fatima che dormiva su un divano guarnito da una brutta stuoia, appoggiato alla sua cella. Le si avvicinò e, dopo aver estratto un pugnale che portava al fianco, la svegliò. Aprendo gli occhi, la povera Fatima fu molto stupita vedendo un uomo pronto a pugnalarla. Appoggiandole il pugnale contro il cuore, pronto ad affondarlo, egli le disse:
Se gridi o fai il minimo rumore, ti ammazzo; alzati invece, e fa quello che ti dirò. Fatima, che dormiva vestita, si alzò tremando di terrore.
Non aver paura,
le disse il mago,
ti chiedo solo il tuo vestito; dammelo e prendi il mio.
Si scambiarono i vestiti; e quando il mago ebbe indossato quello di Fatima, le disse: Dipingimi il viso come il tuo, in modo che io ti somigli e che il colore non si cancelli.
Vedendo che quella ancora tremava, affinché facesse con più sicurezza ciò che le chiedeva, le disse:
Non aver paura, te lo dico ancora una volta; ti giuro, sul nome di Dio, che non ti ucciderò. Fatima lo fece entrare nella propria cella, accese la lampada e, prendendo con un pennello un certo liquido da un vaso, glielo strofinò sul viso e gli assicurò che il colore non sarebbe cambiato e che aveva il viso dello stesso colore del suo, senza nessuna differenza. Gli mise poi la propria acconciatura sulla testa con un velo, insegnandogli in che modo dovesse nascondersi il viso andando in giro per la città. Infine, dopo avergli messo intorno al collo una grossa corona che gli pendeva davanti fino a metà del corpo, gli mise in mano lo stesso bastone che lei portava di solito; e, dandogli uno specchio, disse:
Guardate, vedrete che non potreste assomigliarmi di più. Il mago si vide come aveva sperato; ma non mantenne il giuramento che aveva così solennemente fatto alla buona Fatima. Affinché non si vedesse del sangue, invece di trafiggerla con il pugnale, la strangolò; e, quando vide che aveva reso l'anima, ne trascinò il cadavere per i piedi fino alla cisterna dell'eremo e ve lo gettò dentro. Il mago, travestito così da Fatima la santa donna, passò il resto della notte nell'eremo, dopo essersi macchiato di un delitto così orribile. Il giorno dopo, verso l'una o le due del mattino, sebbene fosse un giorno in cui la santa donna non aveva l'abitudine di uscire, egli non tralasciò di farlo, ben convinto che non gliene avrebbero chiesto la ragione; tuttavia, se questo fosse successo, aveva già pronta una risposta. Poiché una delle prime cose che aveva fatto arrivando era stata quella di andare a vedere il palazzo di Aladino, dove aveva progettato di recitare la sua parte, prese quella direzione. Appena ebbero riconosciuto la santa donna, come tutti pensavano, il mago fu presto circondato da un grande accorrere di gente. Gli uni si raccomandavano alle sue preghiere, altri gli baciavano la mano; altri più riservati, gli baciavano solo l'orlo della veste; e altri, sia che avessero mal di testa o che avessero l'intenzione di esserne preservati, si chinavano davanti a lui affinché egli ponesse le mani sul loro capo; cosa che egli faceva borbottando qualche parola a mo' di preghiera; e imitava così bene la santa donna, che tutti lo scambiavano per lei. Dopo essersi fermato parecchie volte per accontentare questo genere di persone, che non ricevevano né bene né male da questa specie di imposizione delle mani, arrivò infine nella piazza del palazzo di Aladino dove, poiché l'affluenza aumentò, vi fu ancora maggior ressa di persone che volevano avvicinarsi a lui. I più forti e zelanti rompevano la calca nel farsi posto; e perciò nacquero discussioni, il cui frastuono si fece sentire nel salone delle ventiquattro finestre, dove si trovava la principessa Badrulbudura. La principessa chiese che cosa fosse quel chiasso; e, poiché nessuno seppe dirgliene niente, ordinò di andare a vedere e di venire a riferirglielo. Senza uscire dal salone, un'ancella guardò attraverso la persiana, e tornò a dirle che il chiasso era causato da una folla che circondava la santa donna per farsi guarire dal mal di testa con l'imposizione delle sue mani. La principessa, che da molto tempo aveva sentito dire un gran bene della santa donna, ma che non l'aveva ancora vista, provò la curiosità di conoscerla e di parlarle. Appena ebbe manifestato il suo desiderio, il capo dei suoi eunuchi, che era presente, le disse che, se lo desiderava, era facile farla venire e doveva solo ordinarlo. La principessa acconsentì; e subito egli mandò quattro eunuchi con l'ordine di condurre la pretesa santa donna. Appena gli eunuchi furono usciti dalla porta del palazzo di Aladino e la gente vide che si dirigevano verso il punto in cui era il mago travestito, la folla si dissipò; e quello, quando fu libero ed ebbe visto che venivano verso di lui, andò loro incontro con gioia tanto maggiore in quanto vedeva che la sua astuzia stava funzionando. L'eunuco che prese la parola gli disse:
Santa donna, la principessa vuole vedervi; venite, seguiteci.
La principessa mi fa un grande onore,
rispose la finta Fatima,
sono pronta a ubbidirle. E nello stesso tempo seguì gli eunuchi che avevano già ripreso la strada del palazzo. Quando il mago, il quale, sotto un abito di santità, nascondeva un cuore diabolico, fu introdotto nel salone delle ventiquattro finestre e vide la principessa, esordì con una preghiera che comprendeva una lunga enumerazione di voti e di auguri per la sua salute, per la sua prosperità e per il compiersi di tutto quanto lei potesse desiderare. Ricorse quindi a tutta la sua retorica d'impostore e di ipocrita per insinuarsi nell'animo della principessa, sotto il manto di una grande pietà; e gli fu tanto più facile riuscirvi, in quanto la principessa, che era buona per natura, era convinta che tutti fossero buoni come lei, soprattutto quelli che facevano professione di servire Dio con una vita ritirata. Quando la falsa Fatima ebbe finito la sua lunga tiritera, la principessa le disse:
Mia buona donna. vi ringrazio per le vostre sante preghiere; ho molta fiducia in esse e spero che Dio le esaudisca: avvicinatevi, sedetevi vicino a me.
La falsa Fatima si sedette con un'ostentata modestia, e allora la principessa, riprendendo a parlare, disse:
Mia buona donna, vi chiedo una cosa che dovete accordarmi; non negatemela, ve ne prego: vi chiedo cioè di restare con me, affinché mi parliate della vostra vita e che io apprenda da voi e dai vostri buoni esempi come debbo servire Dio.
Principessa,
disse allora la finta Fatima,
vi supplico di non pretendere da me una cosa alla quale non posso acconsentire senza distogliermi e distrarmi dalle mie preghiere e dalle mie pratiche di devozione.
Questo non deve preoccuparvi,
riprese la principessa,
ho parecchi appartamenti liberi; potete scegliere quello che più vi piacerà, e vi farete tutte le vostre devozioni con la stessa libertà che avreste nel vostro eremo. Il mago, che non aveva altro scopo se non quello d'introdursi nel palazzo di Aladino, dove gli sarebbe stato più facile mettere in atto la malvagità che progettava, abitandovi sotto gli auspici e la protezione della principessa, piuttosto che essere costretto ad andare e venire dall'eremo al palazzo e dal palazzo all'eremo, non fece più resistenza ad accettare la cortese offerta della principessa.
Principessa,
disse,
nonostante la decisione che una donna povera e miserabile come me ha preso di rinunciare al mondo, ai suoi fasti e alle sue grandezze, non oso prendermi l'ardire di resistere alla volontà e all'ordine di una principessa così pia e così caritatevole.
A questa risposta del mago, la principessa, alzandosi per prima, gli disse:
Alzatevi e venite con me; vi farò vedere gli appartamenti vuoti che ci sono, affinché possiate scegliere. Egli seguì la principessa Badrulbudura; e, fra tutti gli appartamenti che lei gli mostrò, che erano elegantissimi e molto ben arredati, scelse quello che gli sembrò meno lussuoso degli altri, dicendo ipocritamente che era troppo per lei, e lo sceglieva solo per far piacere alla principessa. La principessa volle riportare quel furfante nel salone delle ventiquattro finestre per farlo cenare con lei; ma, poiché per mangiare egli avrebbe dovuto scoprirsi il viso, che fino ad allora aveva sempre tenuto velato, e temeva perciò che la principessa si accorgesse che non era Fatima la santa donna, come lei credeva, la pregò con tanta insistenza di dispensarla, dicendole che lei mangiava solo pane e qualche frutto secco, e di permetterle di consumare quel modesto pasto nel suo appartamento, che la principessa glielo accordò.
Mia buona donna,
le disse,
voi siete libera, fate come se foste nel vostro eremo; vi farò portare da mangiare; ma ricordatevi che vi aspetto non appena avrete finito. La principessa cenò e la falsa Fatima non mancò di ritornare da lei appena ebbe saputo, da un eunuco che aveva pregato di avvertirla, che si era alzata da tavola.
Mia buona donna,
le disse la principessa,
sono felice di avere una donna santa come voi che sarà la benedizione di questo palazzo. A proposito di questo palazzo, che ve ne sembra? Ma prima che io ve lo faccia vedere stanza per stanza, ditemi che cosa pensate di questo salone. A questa domanda, la falsa Fatima, che per meglio recitare la sua parte, era rimasta ostentatamente con la testa bassa fino a quel momento, senza alzarla neppure per guardare da una parte o dall'altra, infine la sollevò e percorse con lo sguardo il salone da un capo all'altro; e, quando lo ebbe bene osservato, disse:
Principessa, questo salone è veramente ammirevole e di grande bellezza. Tuttavia, per quel tanto che può giudicarne un'eremita, che non s'intende di ciò che al mondo è considerato bello, mi sembra che vi manchi una cosa.
Che cosa mia buona donna?
chiese la principessa Badrulbudura.
Ditemelo, ve ne scongiuro. Quanto a me, ho creduto, e ho sentito dire così, che non vi mancasse niente. Se vi manca qualcosa, vi farò porre rimedio.
Principessa,
replicò la falsa Fatima con grande ipocrisia, perdonatemi la libertà che mi prendo; il mio parere, se può avere qualche importanza, sarebbe che se, in alto e al centro di questa cupola, vi fosse sospeso un uovo di "roc" (6), questo salone non avrebbe uguali nelle quattro parti del mondo e il vostro palazzo sarebbe la meraviglia dell'universo.
Mia buona donna,
chiese la principessa,
che uccello è il "roc", e dove si potrebbe trovare un suo uovo?
Principessa,
rispose la falsa Fatima,
è un uccello di grandezza prodigiosa che abita nella parte più alta del Monte Caucaso: l'architetto del vostro palazzo può trovarvene uno. Dopo aver ringraziato la falsa Fatima del suo buon consiglio, come lei lo riteneva, la principessa Badrulbudura continuò a intrattenersi con lei su altri argomenti, ma non dimenticò l'uovo di "roc" e pensò di parlarne ad Aladino appena fosse rientrato dalla caccia. Egli vi era andato da sei giorni; e il mago, che non lo ignorava, aveva voluto approfittare della sua assenza. Aladino tornò quello stesso giorno, verso sera, mentre la falsa Fatima si era appena congedata dalla principessa e ritirata nel suo appartamento. Arrivando, salì nell'appartamento della principessa che vi era appena entrata. Lo salutò e l'abbracciò; ma gli sembrò che lai lo accogliesse un po' freddamente.
Mia principessa,
disse,
non noto in voi quell'allegria che sono solito vedere. E' successo qualcosa, durante la mia assenza, che vi sia dispiaciuto e che vi abbia causato qualche contrarietà o qualche pena? In nome di Dio, non nascondetemelo; non c'è niente che non farei per liberarvene, se è in mio potere.
E' una piccolezza,
rispose la principessa,
e mi preoccupa così poco che non pensavo che si riflettesse sul mio viso tanto di farvene accorgere. Ma poiché, contrariamente a quanto mi aspettavo, voi vi notate un certo turbamento, non ve ne nasconderò la causa, che è di pochissima importanza. Avevo creduto come voi,
continuò la principessa Badrulbudura,
che il nostro palazzo fosse il più splendido, il più magnifico e il più perfetto del mondo. Vi dirò, però, quello che mi è venuto in mente dopo aver bene esaminato il salone delle ventiquattro finestre. Non credete come me che non ci sarebbe altro da desiderare se un uovo di "roc" fosse sospeso in mezzo alla volta della cupola?
Principessa,
rispose Aladino,
basta che voi crediate che vi manchi un uovo di "roc", perché anch'io vi noti lo stesso difetto. Vedrete dalla premura con la quale vi metterò rimedio, che non c'è niente che io non sia disposto a fare per amor vostro. Subito Aladino lasciò la principessa Badrulbudura; salì nel salone delle ventiquattro finestre; e là, dopo aver tirato fuori del seno la lampada che portava sempre su di sé, in qualunque posto andasse, dopo il pericolo che aveva corso per aver tralasciato di prendere questa precauzione, la strofinò. Subito gli si presentò il genio.
Genio,
gli disse Aladino,
a questa cupola manca un uovo di "roc" sospeso in mezzo alla volta; ti chiedo, in nome della lampada che ho tra le mani, di fare in modo di porre rimedio a questo difetto. Aladino non aveva ancora finito di pronunciare queste parole, quando il genio lanciò un grido così acuto e così spaventoso, che il salone ne fu scosso e Aladino vacillò e fu sul punto di cadere lungo disteso.
Che! infame,
gli disse il genio con una voce da far tremare l'uomo più coraggioso,
non ti basta che i miei compagni e io abbiamo fatto tutto per riguardo a te, per chiedermi, con un'ingratitudine senza pari, che io ti porti il mio padrone e che lo sospenda in mezzo alla volta di questa cupola? Questo attentato meriterebbe che voi foste ridotti in cenere all'istante, tu, tua moglie e il tuo palazzo. Ma sei fortunato, perché non ne sei tu l'autore e la richiesta non viene direttamente da te. Sappi chi ne è il vero autore; è il fratello del mago africano, il tuo nemico che tu hai sterminato come meritava. Egli è nel tuo palazzo, travestito con le vesti di Fatima la santa donna, che lui ha assassinato; ed è stato lui a suggerire a tua moglie di fare la terribile domanda che mi hai rivolto. Il suo piano è di ucciderti; tocca a te starne in guardia. Dette queste parole sparì. Aladino non perse una sola delle ultime parole del genio; egli aveva sentito parlare di Fatima la santa donna, e non ignorava in che modo lei guarisse il mal di testa, a quanto si affermava. Ritornò nell'appartamento della principessa e senza parlare di quello che gli era accaduto, si sedette, appoggiandosi la mano sulla fronte e disse che improvvisamente gli era venuto un gran mal di testa. La principessa ordinò subito di far venire la santa donna; e, mentre andavano a chiamarla, raccontò ad Aladino per quale circostanza Fatima si trovasse nel palazzo, in cui lei le aveva assegnato un appartamento. La falsa Fatima arrivò; e, appena entrata, Aladino le disse:
Venite, buona donna, sono molto lieto di vedervi e di avere la fortuna che vi troviate qui. Sono tormentato da un terribile mal di testa, che mi ha appena colto. Chiedo il vostro aiuto, avendo molta fiducia nelle vostre buone preghiere, e spero che non mi negherete la grazia che fate a tanti afflitti da questo male. Dette queste parole, si alzò piegando la testa, e la falsa Fatima avanzò verso di lui, ma portando la mano su un pugnale che aveva infilato nella cintura sotto la veste. Aladino, che l'osservava, le afferrò la mano prima che lo avesse estratto; e, trafiggendole il cuore col proprio pugnale, la gettò morta sul pavimento.
Mio caro sposo, che avete fatto?
esclamò la principessa in preda allo stupore.
Avete ucciso la santa donna!
No, mia principessa,
rispose Aladino senza scomporsi,
non ho ucciso Fatima, ma uno scellerato che stava per assassinarmi, se non l'avessi prevenuto. E' stato questo uomo malvagio, aggiunse togliendogli il velo,
a strangolare Fatima, che avete creduto di rimpiangere accusandomi della sua morte; egli si era camuffato con il suo abito per pugnalarmi. E, affinché lo conosciate meglio, sappiate che era fratello del mago africano, vostro rapitore. Aladino le raccontò poi in che modo avesse saputo questi particolari; dopo di che fece portare via il cadavere. In questo modo Aladino fu liberato dalla persecuzione dei due fratelli maghi. Pochi anni dopo, il sultano morì molto vecchio. Non lasciando figli maschi, la principessa Badrulbudura, come erede legittima, gli succedette e conferì i pieni poteri ad Aladino. Essi regnarono insieme lunghi anni e lasciarono un'illustre discendenza.
Sire,
disse la sultana Sherazad terminando la storia delle avventure che ebbero origine dalla lampada meravigliosa, certamente avrete riconosciuto nella figura del mago africano un uomo pieno della smisurata passione di possedere tesori con mezzi condannabili, che gliene fecero scoprire d'immensi, ma che lui non godette affatto perché se ne rese indegno. In Aladino, voi avrete visto invece un uomo che, da un'umile origine, si eleva fino alla regalità, servendosi degli stessi tesori, che gli vengono senza cercarli, solo man mano che ne ha bisogno per giungere al fine che si è prefissato. Nel sultano, avrete riconosciuto come un sovrano buono, giusto ed equo può correre molti pericoli e rischiare perfino di essere detronizzato quando, con un'ingiustizia gravissima e contro ogni norma di equità, osa con irragionevole improntitudine condannare un innocente senza volerne ascoltare le giustificazioni. Infine avrete avuto orrore delle scelleratezze dei due abominevoli maghi, uno dei quali sacrifica la vita per possedere dei tesori, e l'altro la vita e la religione per vendicare uno scellerato come lui e che, come il primo, riceve il castigo per la sua malvagità. Il sultano delle Indie disse alla sultana Sherazad sua sposa che era molto soddisfatto di aver ascoltato la storia dei prodigi della lampada meravigliosa, e che i racconti che lei gli narrava ogni notte gli piacevano molto. Infatti, erano divertenti e quasi sempre conditi da una buona morale. Egli si rendeva conto che la sultana li faceva accortamente succedere gli uni agli altri, e non si irritava che lei gli desse, con questo mezzo, l'occasione di tenere in sospeso, per ciò che la riguardava, il suo solenne giuramento di possedere una moglie soltanto per una notte e di farla morire il giorno dopo. Non aveva quasi più altro pensiero se non quello di vedere se sarebbe riuscito a farle esaurire i suoi racconti. A questo scopo, dopo aver ascoltato la fine della storia di Aladino e di Badrulbudura, completamente diversa da quelle che Sherazad gli aveva raccontato fino ad allora, appena sveglio, prevenì Dinarzad e la svegliò egli stesso chiedendo alla sultana, che si era appena svegliata anche lei, se fosse arrivata alla fine dei suoi racconti.
Alla fine dei miei racconti, Sire!
rispose la sultana con tono di protesta a questa domanda;
ne sono ben lontana: ne conosco così tanti che non sarebbe possibile neppure a me stessa dirne il numero esatto a Vostra Maestà. Ho paura, Sire, che alla fine vi annoierete e vi stancherete di ascoltarmi, prima che io finisca le storie da raccontarvi.
Liberate il vostro animo da questa paura,
rispose il sultano,
e vediamo che cosa mi raccontate di nuovo. La sultana Sherazad, incoraggiata da queste parole del sultano delle Indie, cominciò a raccontargli una nuova storia.